Vuoi sapere cosa mi innamora?

Cosa mi innamora? di Sergio Daniele Donati

Vuoi sapere cosa mi innamora?
Se ti avvicini a me e sei meravigliosa  -o meraviglioso, poco importa- ti ammiro, certo. 
Vedo il tuo sguardo, dritto e deciso. Il tuo tatuaggio sulla spalla; la tua voce posata sul futuro.
E ammiro. 
L'uomo -o la donna- che sa indossare maschere dorate mi fa sospirare.
Le vedo aderire ai volti di ciascuno e le ammiro; da sempre.

Poi, però, ti vedo camminare e la tua caviglia si torce verso l'interno e una spalla è più alta dell'altra; e, se ti chiedo un caffè, e ti guardo negli occhi, tu abbassi lo sguardo.

È là che mi innamoro; quando cade la tua maschera e ti riconosco, e mi riconosco. 

In una caviglia incerta, in uno sguardo che si abbassa io sento la forza che chiamano amore e taccio; le mie parole sono soffi di un uomo che fuma; sul Sacro.

Io mi innamoro sempre dell'incertezza, del passo zoppo, del centimetro guadagnato a fatica e anche della maschera da samurai su un volto da bambino.

Mi innamoro dei tuoi (dei nostri) Carnevali e Purim in cui indossiamo maschere che sappiamo non descriverci, ma che tanto dicono sui nostri sogni.

E, se inciampi, io, innamorato, mi stendo a terra, perché la tua caduta, che poi è tanto (ma tanto davvero) simile alla mia, non sia troppo dolorosa.

L'asfalto fa male se ci sbatti il cranio. 
Possa il mio corpo essere il materasso che ne evita l'urto.
Possa il tuo proteggere le mie cadute.

Io amo l'uomo e la donna quando cadono perché mi ricordano il valore della mia mano

E amo le loro mani quando cado perché mi ricordano ciò che sono stato e potrei essere di nuovo.

Vuoi sapere cosa mi innamora?

Chiedilo a una caviglia torta verso l'interno, a un bimbo il cui pianto non viene ascoltato, a un uomo rifiutato, a una donna che vorrebbe essere altro dal suo passato.

Di questo si innamora un avvocato pazzo, che però ha visto caviglie torte e spalle asimmetriche danzare danze che nemmeno Nurejev avrebbe mai potuto immaginare.

Mi innamora l'uomo che balza e, nel salto, si libera della polvere che ha raccolto in una vita, a terra.
E poco conta se il suo balzo è di pochi centimetri.
La terra ci richiama sempre, non siamo comete; siamo alberi.

Mi innamorano le memorie che diluiscono di un anziano e quello sguardo di supplica (ricorda tu al posto mio, sembra dire).

E mi innamora lo sguardo di mio figlio. 
Vuole vita, pretende vita, anche dietro la mascherina e una voce che cambia e si fa baritonale. 

Mi innamora il fiore, delicato e tenace, nell'asfalto milanese, e il passo distratto della gente che non ne coglie la bellezza. 
Lo immagino resistere ai tubi di scarico e persistere nel suo piano sovversivo, a guardia chissà di cosa.

Mi innamora il mio grido sotto la pioggia, cinquantenne di tredici anni,  che nulla ha spostato nel corso delle cose (perché a me? perché a me?)
Ma quella signora che passava di lì si è fermata e mi ha sorriso.  
"Le cose capitano a chi le può reggere", mi ha detto, prima di scappare via per non bagnarsi troppo. 
E mai sino allora avevo notato quanto potesse essere salata la pioggia. 
Ecco, mi innamora il sale, anche se brucia.
E pure il miele; di chi inciampa e mentre rotola ha la forza di ricordarsi di tendere una mano a chi sta rotolando al suo fianco.

Questo mi innamora.
Ma tu non chiedermene mai la ragione, che l'amore non ha ragioni, né ragiona.
L'amore è una parola da non pronunciare se non davanti a sacri testimoni.
Sappi solo che se immergo ogni giorno le mani nei fanghi miei e del mondo è per estrarne, quando sono fortunato, un suono di cembalo e lanciarlo lontano da me. 

Io sono il soffio di un uomo che fuma, sul Sacro. 
Un giullare, nemmeno tanto ilare. 
Un saltimbanco della parola.
Un muro a secco mezzo diroccato, del quale resistono memorie antiche. 
Niente più di questo; niente più.





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