"Un diario di luci alterne" - A proposito "Un astro piccolo piccolo" di Cinzia Coppola (Ed. Delta3, 2025) - nota di lettura di Carlo Di Legge




Un libro di poesia è un insieme di componimenti in versi, che a differenza di una raccolta vengono tenuti insieme da un comune divisore: può trattarsi dell’argomento, del tipo di linguaggio usato, dello stile, o di altre componenti. Questo di Cinzia Coppola, con prefazione di Eleonora Rimolo, è un testo con evidenti riflessi autobiografici, proposto in una modalità abbastanza distante ma non sempre lieve, a cominciare dal titolo, in cui il bagliore dell’astro immaginato per l’analogia tende a perdersi nell’immensità dei punti dell’universo, dove un astro è comunque “piccolo piccolo”: ma serve pubblicare a proporcene la dimensione, perché qualcosa venga comunicato e resti, per “dire/una parola che ci sopravviva” (52). Ancora una volta il ricorso alla poesia sembra essere funzione di relazione, di comunicazione e di espressione.
Se in questo caso è così, si potrebbe parlare, a titolo del tutto indicativo e mai con pretese di esaurire la complessità presente, del doppio registro in cui un lettore potrebbe percepire il sentire il mondo e la vita dell’autrice, tessuto quasi d’opposti che si offrono anche in composizioni contigue e fors’anche in una stessa poesia.
A prescindere dalle parti in cui il libro è diviso, ma guardando trasversalmente, il “si comicia a morire già da vivi” (17) ha a che fare poco con l’antica sapienza, piuttosto è connesso al malessere della “deriva” e del “disordine” a cui non si trova la forza di opporsi: negativo, tale è la “giostra scardinata/che chiamiamo vita” (25) tra “elementi discontinui,/dispersi” (54); tale viene sentita una perdita decisiva (73), quella del padre. Tale, sentita in negativo, è “solitudine” (26), più volte, ripetuta (cfr. 64), in cui “La mancanza/mi accompagna” (57); tali sono la “mestizia” che scende con la sera “Per le vie di questa città” (45), il “ricordare certi baci,/lontani giri di parole/spessi come promesse non mantenute” (60, e cfr. 63) e “i silenzi” per cui “ero fuori misura” (65), il farsi “mostro” dell’altro (66), il rivelarsi del suo narcisismo (70). Essere uomini infine “non è un sorriso, /è un ghigno” (32) ed è “strana religione di credere/nel progresso degli uomini” (33), progresso che fa paura, fino a venire accostato all’ “orco delle fiabe” (41).
All’estremo opposto, l’“essere albero” tra i cui rami “il cielo/diventerà un’oasi” e le cui radici “affonderanno/nei pensieri buoni dei bambini” (18) giunge a modalità d’espressione paniche e rasserenanti; essere un fiore con la sua “vita estrema” sembra fruire della divina inconsapevolezza delle cose e dei viventi (22), dove “Nulla è separato da me” (39) – per cui “Invano resto,/ mi sfugge ogni momento” (cors. nel testo, 44).
Compare la parola “amore” con diverse intenzioni, da p. 28 ma anche nel titolo d’una sezione (55), con la promessa – mantenuta – di dirne “senza barare”, senza usare “amore e fiore” (cors. nel testo, 49).
Forse si tratta d’essere in grado di uguagliarsi all’albero e al fiore partecipando al “non sappiamo più cosa siamo” (25).
Le stesse cose vengono viste in un colore che può cangiare secondo il momento che si vive e i versi lo registrano. I versi in questo caso sono dunque una verbalizzazione dell’esistenza, di cui la componente emotivo-sentimentale è parte decisiva, di fronte alla barriera del reale in cui tuttavia siamo dentro, con cui ci si misura.
Più risolto, “non importa se devo andare” (30), una possibile meta, a mio parere, del cammino di Cinzia Coppola e di ognuno di noi. Oppure

Dicono che sono fatta di luna
e sarò nuova,
un quarto alla volta (31).

Semplificando, dunque, si potrebbe indicare un modo positivo di sentire la vita e uno opposto. È molto umano, “personale” come si suol dire, l’avvertire il colloquio che l’autrice come ognuno di noi intrattiene con dio:

ho cominciato a credere
che sapevi solo giocare a dadi…

Pur ammettendo che dio possa amarci “nonostante tutto”, a volte stornando lo sguardo da quel che di noi gli si mostra, egli che non ci ha “dato il giardino” ben sapendo “che avremmo esagerato” (27).
Lo stile di questa scrittura è tendente alla trasparenza, al fine di esprimere ciò che s’intende, tende a essere secco e pulito e rifugge da complicazioni e virtuosismi. In questo caso, il verso libero, concepito secondo tale cifra stilistica, distingue la poesia.
Un libro di poesia o di letteratura è sempre una tela confezionata di molteplici intenzioni, alcune delle quali si mostrano e altre sfuggono. Così è qui: il lettore ne coglie alcune, forse ne fraintende altre, altre ne manca, e se legge più volte altro si mostra: la molteplicità dei fili è un carattere della scrittura d’arte.

(Carlo Di Legge)


NOTE BIOBIBILIOGRAFICHE
Cinzia Coppola, nata nel 1968 ad Avellino, dove vive. Insegna Lettere. Pubblica versi dal 1997. Nel 2018 il suo racconto intitolato Avellino City entra a far parte della raccolta di autori vari Punti Cardinali Chance Edizioni. Nel 2023 ha pubblicato Rêveries prima raccolta poetica, con Delta3 Edizioni. Un astro piccolo piccolo (maggio 2025) esce nella collana Letture Meridiane di Eleonora Rimolo, Delta3. La plaquette Partea și întregul (La parte e il tutto) Editura Cosmopoli agosto 2025.
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Carlo Di Legge (1948) ha pubblicato di filosofia (2000, 2003, 2008, 2024); un libro sul tango argentino (2011); libri di poesia (2002, 2008, 2018, 2024). Poesie e recensioni sono su riviste e blog. Titolo dell’ultima pubblicazione di poesia, Buenos Aires, Benares, Ed. Delta3, Grottaminarda (AV), 2024.


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