Maschere


“In fondo progettiamo tutti le nostre piccole strategie per restare in piedi”. 
Lo pensavo tra me e me prima, mentre studiavo una sbrodolata di documentazione per l'udienza di domani. Mi chiedevo cosa potesse portare una persona a costruirsi un'immagine di sé così lontana dalla sua realtà quotidiana. 
E per cosa, poi? Poche migliaia di euro in più in banca giustificano una scelta così radicale? 
Non entro nei dettagli per non farvi addormentare, ma davvero un caso anomalo, dai profili sia penali che di diritto commerciale delicati. 
È in verità il profilo umano che mi “disturba”; è ciò che si legge tra le righe di un'esistenza al limite della finzione a suonarmi dissonante. 
“si può davvero fingere di esistere?”. Lette le carte, pare di sì. Io lo trovo terribile, ma è possibile. 
L'aspetto tecnico della questione è tutto sommato semplice e non del tutto irrisolvibile.
Finito il processo, mi chiedevo cosa resterà della necessaria ricostruzione di una persona entro confini reali, non fittizi. 
Perché, questo è certo, un processo significa per chi lo subisce dover tornare in asse, a confronto con se stessi. E ciò avviene a volte in modi poco urbani e troppo diretti. 
Il diritto non usa i guanti di velluto con le finzioni, forse perché il diritto stesso è teatro e finzione, e non accetta concorrenti. 
Quel “disturbo” poi è chiaramente anche un richiamo alla condizione di tanti di noi. Al nostro giocare con immagini di noi stessi senza accorgersi che sono tizzoni ardenti coperti di materiale infiammabile. 
Sono stato qualche minuto a guardare quelle tre o quattro identità inventate, così pesanti da sembrare scritte in grassetto, e mi sono chiesto cosa fosse rimasto della vera identità di quella persona. 
Poi ho smesso di farmi domande e sono tornato, come dovere deontologico mi chiede, a occuparmi degli aspetti tecnici della questione. Io dopotutto sono un avvocato, e niente più. 
Ma dietro l'uomo (o l'azienda) che difendo vedo sempre volti. Non riesco a fare diversamente. 
È allo stesso tempo un punto di forza e una debolezza del mio modo di lavorare. 
Dicevo che vedo volti, e non sono sempre volti gradevoli da incontrare. 
D'altronde sono certo che anche certe particolari declinazioni dei miei volti non siano facili da gestire. 
Fa parte del gioco antico che chiamiamo vita, o forse del nostro ancora più antico anelito a una teatralità dell'esistenza che nasconda banalmente la fatica di cercare la propria autenticità.


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