"L'immanenza del gesto poetico" - a proposito de "La gioia elementare" (Luigi Pellegrini Editore, 2025) di Ivan Fedeli - nota di lettura di Sergio Daniele Donati





La raccolta La gioia elementare di Ivan Fedeli (Luigi Pellegrini Editore, 2025) si configura, ad avviso di chi qui vi scrive, come un’opera di lirica-pensante, dove appunto il poeta, in un quotidiano che si situa tra il simbolico ed il reale, riesce  a descrivere un proprio spazio interiore quasi-ontologico. 
In evidente, anche se sotteso, costante dialogo con autori anche storicizzati della poesia italiana ed europea del Novecento, Fedeli costruisce qui una poetica dell’essenziale, fondata sulla minuziosità del gesto e su una certa salita verticale del linguaggio adottato e degli artifici retorico-ritmici eletti. 
È parso a chi vi scrive di sentire, leggendo le raccolta, riecheggiare voci del Novecento storicizzato, in un confronto morbido e dialettico con autori come Caproni, Sereni, Loi,  Rilke e, sicuramente, molti altri.
Ogni componimento della raccolta è, infatti, un’entità autonoma di senso, formalmente e interiormente compatta, in un richiamo costante, come sopra si accennava, all'unità ontologica e bipolare gesto/pensiero (pensiero generativo di gesto e gesto generativo di pensiero)
Anche l'uso di un ritmo tendenzialmente lento e di una rara interpunzione ci hanno portato a percepire come una costante presenza una poetica con enormi richiami al novecento, come sotto vedremo, nella quale il senso, pur sempre presente, non è mai completamente appreso, ma sempre e solo intuito.
In altre parole, è un senso della cui esistenza si è certi tanto quanto si resta incerti della sua definibilità.
Di qui la nostra scelta di presentarvi un solo estratto dell'opera, sicuri che sia nel vostro più puro interesse di lettori, riconoscere nella complessità e nel suo essere corpus coeso, il senso profondo di una raccolta la cui lettura è un vero e proprio viaggio. 
Fedeli esplora il quotidiano, come si diceva, ed anche le presenze inanimate (ma sarà poi vero che non hanno anima?) di un città palpitante come Milano. 
Gli oggetti che animano la città (può un inanimato dare anima?) sono una delle fonti della gioia che il poeta richiama nel titolo.
Una gioia, appunto, elementare, sobria e trattenuta (tre caratteristiche tipicamente meneghine!), una sorta di compagna di viaggio silenziosa e onnipresente nei versi, benché raramente detta. 
Una sobrietà dunque, quella di Ivan Fedeli, anche e soprattutto linguistica, che molto ha richiamato in chi vi scrive la memoria sia di Caproni che di Sereni: il primo per una sicura, e condivisa con Fedeli, esplorazione del frammento e di una ontologia del quotidiano; il secondo per il diverso ruolo e tempo di richiamo. 
Se pare, infatti, di poter dire che Sereni sia il poeta della coscienza storica e che Ivan Fedeli ne eredita qui la sobrietà linguistica, si dovrebbe anche dire che mentre Sereni registra la ferita del Novecento, Fedeli registra la fatica di un vivere postmoderno del tutto disincarnato dalle fatiche di Sereni. La sua poesia è filosofia incarnata, mai mera testimonianza.
Di tutta evidenza poi il richiamo a Loi autore che, come si sa, trasfigura Milano in  uno spazio di riflessione non scevra, a tratti di un misticismo nemmeno troppo celato, elevante. 
Pare di poter dire che in Ivan Fedeli, pur essendo del tutto assente l'uso del dialetto, persiste al stessa  densità simbolica, soprattutto, come si diceva, in un gesto, che si tinge spesso di sacralità.
Anche i richiami alla grande poesia europea del novecento sono presenti.
È parso, leggendo l'opera, di poter percepire in Ivan Fedeli una certa tensione verso un invisibile, non dicibile, condivisa con Rilke ma con una spiritualità nel primo del tutto laica.
Dove Rilke cerca l’Angelo, Ivan Fedeli cerca la gioia elementare, un elemento direzionale forse più di discesa (sempre etica, intendiamoci) che di ascesa
Il dettaglio concreto in Fedeli resta tale e non diviene, come in Rilke simbolo metafisico.
La gioia elementare è un’opera che si colloca tra lirismo civile, fenomenologia urbana e ontologia del gesto. Fedeli costruisce una poetica dell’essenziale, dove ogni parola è necessaria, ogni verso è un atto di presenza. La sua scrittura è filosofia incarnata, resistenza minima, traccia di senso.
In un tempo che dissolve, Fedeli raccoglie. In un mondo che urla, Fedeli sussurra. In una lingua che si spezza, Fedeli resiste.

Per la Redazione de Le parole di Fedro
il caporedattore - Sergio Daniele Donati



La poesia estratta dall'opera

Conserveremo forse una matrioska 
i tuoi diari scritti a mano l’alba 
dell’autunno di città quando i tram 
passano in silenzio e sai della vita 
che c’è. Altro lo daremo alla memoria la tua 
la mia numerando ogni cosa 
affinché non si perda. Così il tappeto 
di canapa le tinte da capelli
i sacchi gialli della spesa noi. 
Ne terremo conto un po’ alla volta 
dopo i cambi nell’ armadio e le nuvole 
a novembre se una dolcezza inquieta 
avrai negli occhi prima di un giorno 
nuovo. Dirai poi dell’azzurro da dare 
alla camera di altre vernice
che fanno colore pensando al cielo 
a quanto mondo c’è per chi lo vuole. 
E tutto sarà compiuto sarà 
per sempre anche le mensole in cucina 
l’odore del caffè un bacio il tempo 
accade questo in modo naturale 
come nella poesia d’amore.
___________
Ivan Fedeli, poeta milanese, ha pubblicato, tra l'altro, e oltre la raccolta qui in esame, Dialoghi a distanza, “Virus”, “A margine”, Campo lungo, Gli occhiali di Sartre, La meraviglia, La buona educazione , Cose di provincia.
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