A proposito di Giorgio Simonotti Manacorda - di Raffaele Floris
Giorgio
Simonotti Manacorda, (1915-1971), è uno dei tanti poeti
ingiustamente dimenticati del ‘900 italiano. Figlio del forse più
noto Oreste (il Sire di Villabella, luogo tuttavia inapprezzabile
come la ventilazione di Sandro Ciotti), ingegnere, Grand’Ufficiale
e presidente del Casale Calcio, nonché, per un biennio,
dell’Ambrosiana Inter, di Giorgio non si avrebbero molte notizie né
su Wikipedia né su Wikipoesia, almeno sino al 2020, anno in cui chi
scrive propose questo articolo all’International Web Post (che
sentitamente ringraziamo per la gentile concessione), ora rieditato
per Le Parole di Fedro.
![]() |
| Giorgio Simonotti Manacorda |
Un’analisi
critica, sia pure parziale, dell’opera di Giorgio Simonotti
Manacorda è ora reperibile on line al seguente link: (l’articolo è del 2023).
“Negli
anni Cinquanta si costituì un circolo di scrittori, poeti e critici
che si riunivano nel milanese “Blu
Bar” in
piazza Filippo Meda: c’erano, tra gli altri, Luciano
Erba, Vittorio Sereni e Piero Chiara;
avrebbero prodotto saggi teorici e testi poetici ascrivibili a una
corrente letteraria del Secondo Novecento nota come “Linea
Lombarda”,
termine derivante dal titolo che Luciano Anceschi diede a
un’antologia pubblicata nel 1952, che includeva editi ed inediti
di Vittorio
Sereni,
Roberto
Rebora, Giorgio Orelli, Nelo Risi, Renzo Modesti e Luciano Erba.
Autori
uniti, oltre che da un’appartenenza geografica nordico-lacustre,
da un’attenzione
ai rapporti tra poesia e realtà,
definita da Anceschi come poetica
degli oggetti, poesia in
re Tra
l’altro, essi «operano
la corrosione dall’interno dei modi di vita, della mentalità e
della cultura borghese, per una disperazione più o meno evidente che
li porta a distruggere, con le armi dell’ironia e della corrosione
del linguaggio borghese, i miti di quel mondo dal quale vorrebbero
chiamarsi fuori».
È
ascrivibile alla Linea Lombarda anche la produzione poetica
di Giorgio
Simonotti Manacorda, caratterizzata
da «un’ironia
incantata, preziosa e allusiva come una luce lunare che insieme svela
e nasconde un paesaggio corroso, arido, amaro, ma percorso da
favolose, ilari figure».”
La
figura di Simonotti non è secondaria rispetto a un altro grande,
Gennaro Pessini - Castelnuovo Scrivia (AL), 1941-1989 - su cui
potremmo soffermarci in altra occasione. Una poesia tratta da I
banchi di Terranova di Giorgio Simonotti Manacorda (Giulio
Einaudi Editore, 1967), fu meritoriamente pubblicata sul sito
www.larecherche.it.
Altrove
il nulla. Almeno sino a questo momento.
Raffaele
Floris (per gentile concessione International Web Post)
È l'anima del vino che ritorna
nelle sere d'ottobre
quando nel fuoco danzano i folletti
batte alla porta il vento
come un brigante un vecchio bracconiere.
E tu l'accogli come i sogni
di frodo al fondo dei bicchieri:
è il grande amico è l'avventura
sulla spiaggia battuta di libeccio,
non rinchiuderlo l'uscio
appare la fanciulla in giustacuore
la favola vissuta e non ridetta mai.
Anche torna il dolore
(le bottiglie stanno laggiù
come soldati pazienti allineati
nelle trincee degli anni)
adagio si alimenta dentro l'anima
e si decanta illimpidisce
di scorie, non rimane che l'essenza
del puro sentimento il fiore.
Non contarli i bicchieri
senti il grido sottile degli aironi
(se ne vanno sul filo del fiume
e tu con essi ne hai la grazia
inconsapevole l'istinto
sei nuvola alto fiuto sospeso),
lascia la nebbia che si impigli
nei tralci deserti del cuore.
E' questa l'anima del vino
è il sole sprigionato di un ottobre
il tempo che fu di tua madre
che ai dolci clivi sbocciava
ragazza in fiore; stasera
nel tempio dell'anima
sui muri che ondulano le ombre
ritornano quelle tue sere
padane persuase nel sonno.
____
I
banchi di Terranova
I ponti bluastri di neon
(respira dentro l'alba il neon
alito rado immoto)
già vanno le stazioni invisibili
le voci strascicate di sonno
(antichi dialettali accenti l'infanzia
dei treni... Terrasa... Terrranova..)
si salpa verso i banchi di nebbia
di pesca delle secche cimitero di navi;
la nebbia, e ne saremo statue
a queste soglie consumate di giorni.
Negli odori di fumo la primula
fiorisce la ragazza
che ha in bocca la magnolia,
dentro le rogge la nuvola sospesa
la secca trama di pioppi sul filo
si allontana del tempo... Terranova...Terranova.
Candia nel tuo giro disseccato di canali
il bilancino vola dei giorni
(nelle pozze diguazzano pesci e ragazzi),
qui mi prende il mio tempo,
d'acqua mi faccio di fiume e dei palustri
uccelli sono il grido
che ripiana i greti.
Al vento sulle pensiline di pioggia
un po' di cielo trascorre, la bandierina
rossa dolcemente si accheta,
la campanella ti accompagna di là.
Il ferroviere è chino sulla primula
l'ora ritorna
pigra distratta nel fondo alla pupilla
hai lontananze d'infinito
ragazza di magnolia.
Trema dentro le fibre
la vecchia littorina che vide
i baraccani oscillanti i miraggi
la bionda galoppata di gazzelle.
“A Terrasa i viaggiatori
sono ammessi senza supplemento
a munirsi di biglietto in treno”,
dice il cartello,
qui non si allacciano cinture
qui la rete dei fossati si ripassa
nel bianco grido del tempo.
(respira dentro l'alba il neon
alito rado immoto)
già vanno le stazioni invisibili
le voci strascicate di sonno
(antichi dialettali accenti l'infanzia
dei treni... Terrasa... Terrranova..)
si salpa verso i banchi di nebbia
di pesca delle secche cimitero di navi;
la nebbia, e ne saremo statue
a queste soglie consumate di giorni.
Negli odori di fumo la primula
fiorisce la ragazza
che ha in bocca la magnolia,
dentro le rogge la nuvola sospesa
la secca trama di pioppi sul filo
si allontana del tempo... Terranova...Terranova.
Candia nel tuo giro disseccato di canali
il bilancino vola dei giorni
(nelle pozze diguazzano pesci e ragazzi),
qui mi prende il mio tempo,
d'acqua mi faccio di fiume e dei palustri
uccelli sono il grido
che ripiana i greti.
Al vento sulle pensiline di pioggia
un po' di cielo trascorre, la bandierina
rossa dolcemente si accheta,
la campanella ti accompagna di là.
Il ferroviere è chino sulla primula
l'ora ritorna
pigra distratta nel fondo alla pupilla
hai lontananze d'infinito
ragazza di magnolia.
Trema dentro le fibre
la vecchia littorina che vide
i baraccani oscillanti i miraggi
la bionda galoppata di gazzelle.
“A Terrasa i viaggiatori
sono ammessi senza supplemento
a munirsi di biglietto in treno”,
dice il cartello,
qui non si allacciano cinture
qui la rete dei fossati si ripassa
nel bianco grido del tempo.
____
Tu
non conosci i viali
Tu non conosci i viali
di una stagione spenta,
(l'aria che sa di mandarini,
le soglie inglesi delle pensioni).
Vano fu il vischio,
il Natale coi cappelli di carta
e Dio salvi il Re.
Ignori queste cose,
antiche, ingenue,
nelle quali credemmo.
Fummo insipienti,
noi ragazzi degli anni venti,
con l'Europa franammo,
ed ora accanto a te
come riprendere il passo?
Se vuoi, le getteremo queste cose
e l'ingombro del cuore,
il tempo trastullato
sulle sedie di ferro
ad ascoltare la banda colorita
i mattini domenicali,
le speranze pazze falciate,
noi ragazzi insipienti
degli anni venti
e uomini, tragicamente,
agli anni quaranta.
Ma come e quando mai
potremo accanto a te
riprendere il passo?
Reclute vecchie saremo,
d'un colpo sbiancate,
facile preda gioco ai sergenti.
Tu che porti negli occhi
rosari di neon ed il sorriso è
freddo orlo di jazz,
altro chiedi, lo so.
La filigrana di ieri è spenta.
Noi sappiamo donare
gli ultimi fiori alle ragazze,
noi con le nostre radici
che stanno giù coi morti.
Ma il tempo è poco
ed i giardini immensi.
Arriveremo tardi ancora
(le nostre deplorevoli abitudini)
addio, addio, altra è la vita
le nuove radici del tempo.
Tu non conosci i viali
di una stagione spenta,
(l'aria che sa di mandarini,
le soglie inglesi delle pensioni).
Vano fu il vischio,
il Natale coi cappelli di carta
e Dio salvi il Re.
Ignori queste cose,
antiche, ingenue,
nelle quali credemmo.
Fummo insipienti,
noi ragazzi degli anni venti,
con l'Europa franammo,
ed ora accanto a te
come riprendere il passo?
Se vuoi, le getteremo queste cose
e l'ingombro del cuore,
il tempo trastullato
sulle sedie di ferro
ad ascoltare la banda colorita
i mattini domenicali,
le speranze pazze falciate,
noi ragazzi insipienti
degli anni venti
e uomini, tragicamente,
agli anni quaranta.
Ma come e quando mai
potremo accanto a te
riprendere il passo?
Reclute vecchie saremo,
d'un colpo sbiancate,
facile preda gioco ai sergenti.
Tu che porti negli occhi
rosari di neon ed il sorriso è
freddo orlo di jazz,
altro chiedi, lo so.
La filigrana di ieri è spenta.
Noi sappiamo donare
gli ultimi fiori alle ragazze,
noi con le nostre radici
che stanno giù coi morti.
Ma il tempo è poco
ed i giardini immensi.
Arriveremo tardi ancora
(le nostre deplorevoli abitudini)
addio, addio, altra è la vita
le nuove radici del tempo.
.jpg)
.jpg)

Commenti
Posta un commento