(Redazione) - Anfratti - 04 - L'odio
di Alessandra Brisotto
L’odio. In realtà non ci sarebbe nulla da dire o, meglio, da aggiungere a riguardo, in quanto facente parte di un linguaggio suburbano, se per urbano si intende simbolicamente umano. Tuttavia, anche quest’ultimo termine, “umano”, sta mutando il proprio significato, accasandosi nell’emisfero digitale, impalpabile ed evanescente.
Stiamo evaporando nell’universo, perdendo la cognizione dei confini “persona”, maschera o uomo che si intenda, e con noi si espandono e sprigionano incontrollatamente anche i sentimenti, le percezioni, le avversioni, l’amore e l’odio, ormai privi di confini tattili.
Il tatto, che ha le sue radici nella mente, come la parola, le concezioni, i dolori, l’evaporazione, è in attesa. Eccoci ora immersi in una mescolanza invisibile e informe di vapori umani, oggetti naturali e artificiali, sentimenti e affetti, molto simile al brodo primordiale costituito principalmente da quark e gluoni, con temperature e densità infinite, instabile al punto da rischiare di esplodere da un momento all’altro. Un ritorno affannato verso il punto di origine, la grande esplosione, il Big Bang.
È in questa immensità che si deve ritrovare l’odio, e non solo, ritrovare tutto, tutto il nostro io, riportarlo nei confini tattili della coscienza, delineare i contorni di ogni tempo e di ogni spazio che ci appartengono e di cui siamo concretamente responsabili.
È qui incontro Italo Calvino.
“Le città invisibili”(1) hanno nomi, date di nascita, esperienze, mani e piedi, sorgono e crescono ovunque, incoscienti o coscienti, ma sempre a partire dall’io.
NOTA
1 - Italo Calvino, Le città invisibili, collana Collezioni Supercoralli e Nuovi Coralli; n. 182, 1ª ed., Einaudi, 1972.
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