(Redazione) - Estratto da "Prima dell’estate e del tuono" di Luca Pizzolitto (peQuod, 2025 – con prefazione di Gianfranco Lauretano) - con nota di lettura di Sergio Daniele Donati
Leggendo la magnifica ultima raccolta di Luca Pizzolitto dal titolo "Prima dell’estate e del tuono" (peQuod, 2025 – si segnala a rafforzarne la bellezza la stupenda prefazione di Gianfranco Lauretano), si ha la netta impressione che essa rappresenti un punto di non ritorno nella poesia del poeta, in cui sacro, silenzio e mistero della parola divengono gli assi centrali di un particolare movimento a spirale (verso il centro) che si può percepire leggendo l'intera opera.
Il titolo stesso evoca un senso di profonda sospensione, di attesa di una qualche rivelazione, descritta a tratti coi suoi effetti esplosivi, e altrove con una delicatezza che commuove.
Quella di Pizzolitto è qui una poesia da un lato sobria e poco enfatica, che non cade mai nei tranelli di una lirica meramente autocelebrativa, e dall'altro fatta anche di ritmi apparentemente sincopati, in cui pause e ripetizioni, accentuate da una netta carenza di interpunzione, hanno un ruolo centrale.
È facile dunque ritrovare nella raccolta tutti i profumi e gli odori di un sacro uso della parola evocativa, quasi che l'autore, in modo del tutto sapienziale, conoscesse le formule di precise chiamate.
Per questo motivo, forse, il poeta evita ogni inutile enfasi nelle sue linee poetiche e, in questo modo, trasmette al lettore proprio l'idea di un sacro che si manifesta nella quotidianità e, in un certo senso, semplicità di alcuni gesti e situazioni, che rasentano le caratteristiche della ripetizione creatrice di ogni ritualità.
Analizziamo ad esempio, a mero scopo esemplificativo, i versi che seguono:
Dove la rabbia confina col grano
dove trattieni il respiro
per ogni mancata carezza
la febbre scesa da poco
l’aria sporca dell’ospedale
le sei di mattina.
È del tutto evidente in questi versi come il poeta giochi sull'effetto sospensivo che si citava prima attraverso l'uso di immagini descrittive di una vita che non fatica a manifestarsi con tutta la sua potenza rivelatrice negli angoli, anche bui, dell'esistenza.
"L'esistenza è ciò che è", sembra dirci qui l'autore, "ma la Vita – ah, la Vita! – risiede nel senso che diamo alle cose, proprio uscendo dalla loro mera elencazione e descrizione".
In Pizzolitto è sempre presente una tensione che però non gioca tanto su metafora e simbolo, come in altri autori, anche storicizzati, ma cerca di affondare nell'esperienza sia quotidiana che spirituale o meglio, spirituale perchè quotidiana.
È il ritorno quello del poeta – da chi vi scrive tanto auspicato e purtroppo carente nel contemporaneo panorama poetico – a una scrittura capace di delineare l'elemento sacro e spirituale senza eradicarlo dai fanghi da cui sorge, dalle argille in cui si forgia, come si dovrebbe a ogni esplicazione della Vita, nel terreno umido delle nostre intuizioni.
“Del fuoco conservi antica memoria, / la misura del passo prima della caduta…”
E certo, non poteva essere altrimenti, proprio perché dai presupposti anche etici della poesia di Pizzolitto non si poteva non ricavare, in funzione di medium tra vita ed esistenza, il ruolo di un equilibrio il cui Maître non può che essere la memoria stessa.
Sembra un dialogo celato, quello del poeta, con altre voci immense della poesia del secolo scorso, con Celan in particolare, e con un'idea profondamente etica dello scrivere.
Un raccolta, dunque dai richiami profondi e precisi, che si inserisce a buon titolo nell'ambito delle scritture capaci di sorgere da (e quindi di creare in chi legge) un pensiero profondo, una rielaborazione del vissuto, che sono esattamente ciò che dovremmo chiamare Vita.
per la Redazione de Le parole di Fedro
il caporedattore - Sergio Daniele Donati
ESTRATTO DALL'OPERA
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Ora che tutto brucia
e tace la peonia in fiore
ora che i nostri corpi
sono carne senza riparo– si apre la terra al piantotra le mani un volto,
un corpo che non è più il mio.
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Qui dove la nebbia è vetro
e il giorno terra nascosta alle mani
ferito l’affanno delle lenzuola
l’istante di cera arde di rosso la sera
ora che Etesia stringe le vene di Chora
minuscole case a picco sul mare.
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Dopo la lotta è breve il respirol’assenza del tulipano
le bottiglie riverse nel fiume
sotto i muri del caprifoglio
sotto i muri del caprifoglio
nella cenere di calce crocifissa
dal sole il fuoco sacro della gioia
la mano stanca del buio
la mano stanca del buio
la preghiera del vento
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Abitare il corpo dei non ritorni
indossare la veste austera del silenzio
in vertigine di sangue
memoria d’assedio rossa terra
impestata dal fuocoanche stanotte l’angoscia del nulla,
respiro, fatica– pietà di noi, Signore, pietà di noi.
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NOTE BIOBIBLIOGRAFICHE
Luca Pizzolitto
nasce a Torino il 12 febbraio 1980, città dove attualmente vive e
lavora come educatore professionale. Da più di vent'anni si
interessa ed occupa di poesia.
Tra
i suoi libri, figurano: Dove non
sono mai stato (Campanotto), Il
tempo fertile della solitudine
(Campanotto), Tornando
a casa (Puntoacapo).
Con
la casa editrice peQuod ha pubblicato, nella collana Rive:
La
ragione della polvere (2020),
Crocevia
dei cammini (2022),
Getsemani
(2023, prefazione di Roberto Deidier).
Del 2025 è la plaquette
deserti,
edita da Ilglomerulodisale.
Da
fine 2021 dirige la collana di poesia Portosepolto,
sempre per conto della casa editrice peQuod.
È ideatore e caporedattore del blog
poetico “Bottega
Portosepolto”.
Collabora in
maniera stabile con i blog “Poesia del nostro tempo”,
“L’Estroverso” e “La poesia e lo spirito” curando
rispettivamente, per i diversi siti, le rubriche Discreto
sguardo, Nostos
– ritorno alla parola e Terra
d’esilio.


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