(Redazione) - Fisiologia dei significati in poesia - 15 - Il poeta e la sua parola (parte sconda)

 

di Giansalvo Pio Fortunato

L’evidenza che risiede nel relazionarsi alla lingua costituita e la forza data dall’immensa possibilità di disporre di questa lingua, fa sì che si possa concepire anche con una certa nettezza quanto sia intima la relaziona tra il poeta e la sua parola. In tal senso, infatti, la parola, nell’accezione da me intesa [1], punta a riconoscere l’atto esatto di enunciazione; ossia: il momento in cui un’espressione linguistica prende corpo ed edifica un mondo di senso. Per la poesia, ovviamente, è quasi d’obbligo parlare di enunciazione e non di un enunciato almeno per due motivi:
  1. la poesia sfugge ad ogni atto di formalizzazione rigorosamente logico-tradizionale;
  2. nell’atto stesso del “pronunciamento” della poesia, si sviluppa una nuova e complessa sfera di senso, che non si riduce mai semplicemente in un mero atto di significato. Implica, piuttosto, un far essere.
Se ci trovassimo innanzi ad enunciati, infatti, il verso non solo sarebbe definito come una semplicità unità segnica, avente specifiche di verificabilità, non solo dipenderebbe da una percettività esatta e riproponibile, che andrebbe a caratterizzarne la più o meno esatta capacità rappresentativa, non solo renderebbe la sua struttura lessicalo-grafica assolutamente ininfluente (a meno che questa non vada a precluderne la distinzione segnica [2]); ma soprattutto si presterebbe ad un atto di mera significatività a-posteriori, essendo portatrice di un’esperienza del linguaggio e non di un’esperienza del senso e, per di più, di un’esperienza di senso vista come oggettualità ideale. Va chiarito, in questo contesto, che il riferimento ad un’oggettualità ideale non punta a far rinvenire in poesia una pura astrattezza o un’azione minimalista di mero esercizio noetico, che plasmi le cose in una modalità di presentazione più ingegnosa ed artigianale. Per oggettualità ideale, si intende, invece, un dato anche abbastanza ovvio: ciò che evidenzia, infatti, la poesia non è, ponendolo davvero in maniera grossolana, un contenuto rigorosamente concreto e materiale; non si avvale – per intenderci – di un riferimento determinato che si compone in una modalità di presentazione determinata e che è immediatamente riconducibile ad un significato o ad un uso determinato nella lingua, tramite il linguaggio. La poesia, piuttosto, iper-trofizza questa capacità di nuotare entro contenuti dati, per generarne di nuovi, talvolta attraverso ontologie totalmente rinnovate ed esperienze di senso riconducibili alla sola poesia stessa, talvolta attraverso la costruzione di oggettualità che sono rinvenibili solo ed unicamente nel lavorio della parola e dei significati posseduti o, capita anche questo, attraverso un’emotività suggestiva che compone oggettualità attraverso esperienze del linguaggio.
Ciò che mi preme, per l’appunto, è proprio questo carattere di esperibilità del linguaggio, anche per portare a compimento il discorso su una grande fluidità e dinamicità che il linguaggio istituisce rispetto alla lingua che gli è data.
Il/la poeta ed il suo/a lettore/lettrice attraverso la poesia edificano un viaggio perpetuo di interscambio che, tramite la sola parola, lascia segni emotivi e caratteri determinati o allusivi di senso (li definirei: caratteri soglia), senza passare in alcun’altra sfera ontologica che non sia quella della parola e delle sue architetture intrinseche. Perché se è chiaro, in un’ontologia che risente di una logica rigorosamente fenomenologica, che lo stato del reale – ossia dell’esperibile – non sia solamente compiuto da ciò che è materialmente, da ciò che esiste fisicamente, non è altrettanto chiaro come questo stato ontologico non si ponga in un contesto di linguaggio ricorsivo o di linguaggio finemente educato nella sua manovrabilità, nella sua composizionalità guidata e ben calibrata.
Per facilitarci il compito: se l’esperienza che si fa di x (oggetto fisico) è reale proprio perché percepita e, dinanzi ad ogni ragionevole dubbio, la prova o verifica dell’esperienza che si fa di x (oggetto fisico) passa anche e necessariamente per un’inter-esperienza. Se l’esperienza che si fa di x (situazione fisica – dunque di stati di cose) è reale proprio perché percepita e, dinanzi ad ogni ragionevole dubbio, la prova o la verifica, così come la richiesta di condivisione, che si fa di x (situazione fisica – dunque di stati di cose) passa anche e necessariamente per un’inter-esperienza (p.es: pongo nella mia stessa situazione reale). Se è possibile un’esperienza di x (oggetto fisico o situazione fisica) del tutto fittizia, quindi data per ipotesi, creata ad arte, inventata, posta come esempio, e quest’esperienza è comprensibile, anche empaticamente, in virtù del suo ricorso a componenti costitutive delle quali si è già fatta esperienza. Se è possibile l’esperienza di un contenuto x (contenuto puramente concettuale ed ideale) in virtù del ricorso ad un significato individuato e più volte avuto sotto mano e, tra l’altro, porto nell’esatta forma sintattico-grammaticale comunemente d’uso. Com’ è possibile che questa esperienza avvenga per x, che non è un oggetto fisico, che non è una situazione fisica, che non è un oggetto o una situazione fisica fittizia, che non è un contenuto concettuale ed ideale ricorsivo?
L’esperienza che si fa della poesia, insomma, è un’esperienza davvero particolarissima ed è possibile in quanto enunciativa, in quanto finemente ideale. In quanto enunciativa perché, come già anticipato, essa dipende dal momento esatto in cui il verso è “pronunciato” – dall’atto di parola – che tiene conto di una rinnovabilità dell’esperienza, del sentire e della comprensione del verso (quante volte, infatti, si sostiene che si sia naturalmente inclini ad in-tendere un verso in maniera diversa nelle varie tappe della propria vita o della propria stessa giornata?). Ma non basta: essa è enunciativa anche perché rende irrimediabilmente contingente il senso generato in virtù della scelta o della costruzione delle parti che la compongono, in maniera del tutto indipendente rispetto alla linearità tra significato e significante; dunque indipendente rispetto al senso comunemente posto dalla lingua. Ideale, perché l’esperienza costitutiva e costituita della poesia non fa ricorso ad alcuna materialità e non è assolutamente denotatrice di alcuno stato fisico; ma conduce ad una materialità di senso e di pensiero che si compone come suggestione e come ripensamento empatico-emotivo. Nel momento esatto della deflagrazione ontologico, emerge il senso solamente.

NOTE
[1] Parola: come atto minimo, pratico, concreto e di proferimento dell’espressione linguistica.
[2] Per valenza: quando lo sostituzione di una lettera ad un’altra lettera cambia il senso, perché cambia l’identità della parola.

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