Lettere a una persona speciale (1- 10)


IB e suo marito - LUCIAN FREUD

1 Qualità 

Se forse una (una sola) dote io ho, è percepire al primo respiro la qualità dell'altro, nell'altro.
Non a caso mi chiamano Fedro.
Tu hai il passo del petalo e lo sguardo, dolce, su un orizzonte lontano, in cui non si sperde l'umano. E la cadenza della tua voce è tratto nobile, anche per un orecchio plebeo, come il mio.
Al tuo passo si chiudono gli occhi, pudici, e la memoria torna a corti antiche.
Perché non è con sguardo baldanzoso che si incrocia la bellezza.
La bellezza la si riconosce al tatto delle ciglia e ci si ritira ritrosi, sperando che non abbia fine, allo splendore eterno della vita.

2 Sofferenze e gelati 

C'è troppa sofferenza nel mondo.
Ci sono occhi che si chiudono per non guardare più.
E labbra che si serrano, fino a diventare pallide, per non dire l'indicibile.
Ci sono pianti troppo trattenuti, che si tramutano in rabbia.
E poi paure, paure; paure così tanto vissute da far credere che non possa esserci un'alternativa.
E il cuore batte, sì, continua a battere, ma a ritmo soffuso, giusto per mantenere il vitale presente.
Si sopravvive alla nostre stesse speranze, a volte.
C'è troppa sofferenza nel mondo e in tanti, in troppi, la lucina la spengono, dopo aver inumidito le dita con la saliva, perché è meglio non credere, non credere che sia ancora possibile.
Ma io vengo da un popolo folle, che insegna ai suoi figli a farsi guardia di una luce perenne.
Un popolo di disabili, di balbuzienti, di sognatori che però la lucina non la spegne, mai.
E gonfia il petto contro i venti che la vorrebbero farsi fumo, come gonfia il petto un bambino davanti a un grizzly che minaccia il suo giocattolo.
E diviene popolo (di gnomi) e la lucina la mantiene viva e corrusca.
Io le sofferenze del mondo le ho navigate tutte, nella vita (come nel lavoro), e tante volte ho sentito l'impulso di inumidirmi le dita e accettare che la lucina si spegnesse.
Ma poi ho sentito l'urlo di David, il nano, davanti a Golia il gigante.
Del poeta, del salmista, davanti al guerriero.
E il mio petto si è gonfiato.
E il mio sassolino in tasca è diventato fionda...e sono qui a raccontartelo.
Ho visto minori senza riferimenti materiali e famigliari piangermi sulla spalla gridando: " Cos'ho io dalla vita?" - a dodici anni -.
Ho visto amici credere nell'amore per l'ultima volta e poi vederlo infrangersi in parole di menzogna. Ho visto morire chi non meritava di morire, e sopravvivere in questo folle mondo l'orrido, il brutto, l'indecente.
Ho visto gente affossarsi nell'uso malsano della parola, e gente cadere con le faccia nel fango mentre il mondo intorno rideva, riveda, rideva,
E ho visto padri incapaci di una parola di incoraggiamento, perché il loro dolore di bimbi straziati era troppo grande, troppo grande.
Ho visto, e mille volte ho chiuso gli occhi per non vedere più.
Ma poi ho sempre sentito le vocine, piccole, d'infanti, canti lontani, e ho sognato fate e elfi e boschi magici.
E ho conosciuto l'amore, quello che ti trasforma gioioso e a cui tu non resisti, perchè tanto non si può resistere a ciò che trasforma in uomo l'informe.
Ho sentito la mia schiena raddrizzarsi mentre difendevo chi aveva subito troppo dalla vita, e la mia voce, non più mia, farsi tramite del Giusto.
Ho visto milioni di piccole bellezze contrastare, dalla loro piccolezza, la sofferenze del mondo.
Carezze date ai cani, e giochi con bimbi sconosciuti in carrozzina con sguardi di complicità coi padri, come a dire "che spettacolo suo figlio".
Ho sentito mani sulle mie spalle quando erano scosse dai singulti e ho posato le mie milioni di volte su spalle amiche.
Ho visto una volpe nel bosco fermarsi e guardarmi nella notte in cui dicevo addio a mio padre, e il cielo in montagna era silenzio e stelle, e l'immenso mi diceva che non era finita lì.
E poi ho conosciuto la scrittura, che apre i miei cassetti, li scardina e lancia parole ovunque, nella speranza che vengano raccolte, anche a brandelli da un mondo pronto ad ascoltare; un unico messaggio: la lucina esiste.
E ne siamo a guardia ma allo stesso tempo lei ci custodisce, trasformando in vita la nostra sopravvivenza.
E poi ho visto te, e i tuoi occhi, e ascoltato la tua voce, e mi sono fermato, con gli occhi spalancati, come un bimbo in gelateria.
Non eri possibile. Dopo la sofferenza, il gelato, come dopo il mal di gola.
Ed eri limone, fragola e cioccolato fondente.
E la lucina mia ha cambiato colore, ora è di nuovo azzurra.
Dopo che per lungo tempo tendeva al grigio, è di nuovo color del cielo e parla con stelle lontane che nemmeno i passi di Debussy nel sogno possono descrivere.

3 Vibrazione e volti 

Oggi ho dormito bene, profondo. Senza sogni da ricordare.
Poi mi sono svegliato; cioè mi ha svegliato il gatto alle cinque. Aveva fame.
Ero riposato e invece di tornare a letto ho fatto i miei esercizi di Aikitaiso. (di solito li faccio la sera prima di dormire).
Il più potente, il Furitama (scuotimento dell'anima in giapponese), è un esercizio vibratorio davvero forte che coinvolge totalmente mente e ogni fascia muscolare in una percezione totale del proprio corpo.
E così l'ho fatto per quaranta minuti - avevo tempo e qualcosa mi spingeva a andare più a fondo dei soliti dieci -
Poi mi sono seduto in meditazione.
Tutto era silenzio fuori e dentro di me.
A occhi chiusi ho visto il tuo viso e il mio volto, serio, concentrato - da vero samurai - si è aperto in un sorriso da bambino.
Ormai entri nei miei luoghi più nascosti e io accolgo, sorridendo, questa tua presenza.
Poi doccia, caffè: e ora sono in studio.
Devo scrivere un atto che richiede impegno.
E chissà che non appaia il tuo volto anche nel programma di Office.
Non me ne stupirei.

4 “Lei è triste” 

Stavo camminando poco fa verso il tribunale.
Una signora anziana mi ferma e mi chiede un'informazione.
"Piazzetta Umanitaria, se avanza cento metri, se la trova davanti, signora".
"Grazie davvero", dice, "lei però è triste".
"No, solo concentrato, signora".
"Mmm, secondo me anche triste".
"A segnó se faccia un po' un par de chili de c***i sua", avrei voluto dire.
Invece, da vero gentleman, ho salutato e me ne sono andato.
Perché te lo dico?
Perché tu non l'avresti mai fatto.
Perché è la ritrosia il tuo taglio e la tua bellezza.
Forse mi avresti guardato, si, e la trist...ehm concentrazione sarebbe sparita, senza nemmeno nominarla.
Tu sei con me anche quando taci e questo fa di te emblema di bellezza, ecco

5 Ivano Fossati e ritrosie 

Io volevo dirtelo meglio di Fossati; volevo far volare le mie parole alte per te.
Così in alto da toccare le stelle.
Poi l'ho riascoltato, e riascoltato, e riascoltato: e non ci riesco, petalo, non ci riesco.
L'ha già detto lui. L'ha detto come avrei voluto essere in grado di dirlo io.
Forse una sera in montagna tra il profumo degli abeti, lo avrei sussurrato tra me e me così, con le stesse parole.
Perché l'amore non si dichiara, prima di averlo borbottato tra sé e sé.
E si lascia poi agli sguardi il compito di dirlo, prima della parola.
Ma se non lo borbotti tra te e te, lo sguardo poi si perde nei laghi salati di cui già ti ho parlato.
"come se dopo tanto amore, bastasse ancora il cielo".

6 La timidezza della bellezza 

Dunque si parlava del bello e oggi ho poche parole.
Ma ho pure tra le palpebre un'immagine del bello (prima che si manifesti) prima che lo si ammiri, ancora racchiuso in sé, mentre rimugina il momento in cui darsi al mondo.
C'è sempre timidezza nella bellezza e bellezza nella ritrosia.
Nell'occhio che si abbassa per celare il desiderio, incapace di parola.
Perché le parole sono fiume in piena.
E la bellezza di cui parlo è passo delicato, non travolge. Commuove a ritmo lento.
Sono semi di bellezza, di belle di notte, di bellezza lunare, ritrosa e signora.
Sì la signorilità di una bellezza sobria e trattenuta. La tua.

7 Mi chiedi di scrivere 

Mi chiedi di scrivere, e io non voglio tacere.
E sarà l'ora tarda o le grida in mascherina nei bar.
Oppure lo sguardo furbetto di un bimbo o la perla bianca sul collo di una donna.
Mi hai chiesto di scrivere e io non voglio tacere.
E sarà che sono stanco di navigare tra le parole, ma il silenzio mi atterrisce e mi fa planare su deserti che voglio dimenticare.
E allora scrivo e mi ricordo un sorriso, ironico e timido, e un accento che sa di grappa e gondole e un taglio, di ampiezza infinita, in uno sguardo solo. Il tuo.
Poi, lo sai, io sono distratto e avevo una bella immagine in mente ma il sorso di birra l'ha portata giù, lontano dalla penna.
Allora, poiché mi chiedi di scrivere, ne cerco un'altra tra le tasche della camicia - macchiate d'inchiostro che non ho chiuso bene la stilografica - e tiro fuori un biglietto che dice:

RICORDATI DI DIRLE CHE SAI ASPETTARE. 
MA DIGLIELO BENE. CHE NON CREDA CHE SIA VERO! 

8 Gocce d'ambra e biglie sulla spiaggia 

Lo sai la bellezza trasuda, come gocce d'ambra, dai tuoi respiri, e io non so se sia il mio cuore pieno o gli affanni, o il canto del merlo nel giardino davanti il mio studio a immergermi in questa nostalgica via.
So per certo che quando si alza il velo e mi apro alla bellezza, troppo a lungo negata, mi pare di rivivere le estati in cui si giocava a biglie (quelle dei ciclisti) su piste di sabbia.
Se c'è una cosa che la tua delicata bellezza mi porta a fare è prendermi cura di te, di me e del mondo, con mano finalmente docile.
Tu mi hai fatto riporre la spada nel fodero, e il fodero in un cassetto segreto che solo una chiave fatta di lettere può aprire.
La tua bellezza (e scusami se uso ancora quella parola) è per me una dolce resa.
Mi arrendo a ciò che, lo sai, è immensamente più grande di me. E sposto docili pensieri come se fossero quelle biglie, con Gimondi o Merx dentro.
È ora - che ho davanti a me l'incontro - che il Samurai abbandoni spada e armatura.
Fuori, nel giardino, c'è un lieve vento.
In studio musica di Bach, l'atto è concluso, i sogni di Mordechai hanno avuto buon esito e guarda, mano nella mano con Rivka, un cielo colore indaco.
Il cielo che la tua nobile parlata e il taglio dei tuoi occhi mi hanno portato a descrivere.
Non c'è più scrittura, né silenzi, né taccuini.
Solo gli occhi aperti di un uomo di 54 anni che sa di aver incontrato, nel più insperato dei momenti, la delicata qualità del petalo.
E piange, e ride, e canta felice, in studio da solo, canzoni in lingue inventate.

9 Io so che tu sai 

Io so che tu sai.
Abbasso lo sguardo verso una terra che custodisca questo mio segreto a te conosciuto.
Io so che tu sai e che non sono necessarie parole; non certo le mie, che inciampano.
Mi basta sapere che sai e che accogli, così com'è, il cuore mio che batte.

10 Parlare del bene 

Si può parlare del bene che si sente, senza timore del giudizio.
Che il timore del giudizio nasce da quel lago salato che abbiamo tutti dentro e che ci fa temere il rifiuto e l'abbandono.
Ma la parola vera non aspira ad essere accolta (e proprio per questo viene accolta).
E il bene che si prova per chiunque non aspira ad essere ricambiato, ma semplicemente a essere.
Compreso questo, il lago salato si trasforma in una sorgente pura, e ti trovi, come un bimbo col pongo in mano, a formare parole per la gioia di farle esistere.
E poi le depositi.
E io le deposito nelle tue mani.
Ti voglio bene.
Fai l'uso che vuoi di queste parole.
A me dà gioia che siano uscite da una fonte pura.
E la tua bellezza non è stata poca cosa nella purificazione di un cuore che forse ha sofferto troppo.
Sei una regale presenza.
Non ti idealizzo.
Immagino che anche a te a volte si fermino pezzetti di prezzemolo tra i denti.
Ma sei regale (e reale) nell'anima e dolce nelle movenze.
Oh, immagino che queste cose te le avranno dette in tanti, alcuni dai loro laghi salati e altri da fonti pure.
Ma so anche che saprai accettare un dono fatto di parole di pongo da questo bambino con gli occhi sgranati mentre ti guarda



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