Sinestesia, poesia e meditazione ebraica
Per chi si diletta nella scrittura la "sinestesia" rientra senza dubbio nell'ambito della figurazione retorica e viene dagli stessi definita come un particolare tipo di metafora in cui un termine di uno specifico registro sensoriale ne richiama un altro di registro sensoriale diverso (ad es: il suono dei tuoi colori, il colore della tua voce)
Eppure non ogni ricorso alla scrittura sinestetica si limita ad essere "escamotage" meramente retorico, potendosi ben immaginare che l'uso di locuzioni sinestetiche sia testimonianza di altro, di un'esperienza reale dell'autore.
In questo ci conforta molto la moderna psicologia.
La sinestesia, da un punto di vista medico, infatti, è una condizione in cui la stimolazione di un senso provoca automaticamente percezioni in altro/i sensi.
In altre parole, non è semplicemente una metafora o uno strumento del registro espressivo e di linguaggio, ma una reale esperienza percettiva vissuta da alcune persone, anche se assai raramente.
Esempi comuni includono: vedere colori quando si ascolta musica (sinestesia uditivo-visiva), gustare sapori leggendo parole (sinestesia lessico-gustativa), percepire numeri o giorni della settimana come colori (sinestesia grafema-colore), sentire forme o texture quando si ascoltano suoni (sinestesia tattile-uditiva).
Queste associazioni sono costanti e involontarie, spesso presenti fin dall’infanzia.
Le neuroscienze ci suggeriscono che nella sinestesia ci sia una connessione atipica tra aree sensoriali del cervello.
Quando una "persona sinestetica" riceve uno stimolo, si attivano simultaneamente più aree percettive, creando un'esperienza multisensoriale unica.
Si stima che solo una piccola percentuale della popolazione (circa il 4%) abbia vissuto nel corso della sua vita forme di esperienza sinestetica.
Tuttavia, molti sinesteti non ne sono consapevoli fino all’età adulta, perché per loro tale esperienza è una modalità percettiva “normale”.
Molti artisti, musicisti e scrittori sinestetici hanno usato questa condizione per potenziare la creatività: Kandinsky associava colori e suoni, Nabokov vedeva lettere colorate, Pharrell Williams ha parlato di colori musicali.
La sinestesia può anche essere legata a una maggiore sensibilità cognitiva e percettiva, rendendo l’esperienza del mondo più ricca e stratificata.
La sinestesia come figura retorica nasce dall’imitazione linguistica del fenomeno neurologico: accostare sensazioni di natura diversa per creare immagini più intense, evocative o stranianti.
Dal greco syn (“insieme”) + aisthánomai (“percepisco”) → “percepire insieme”, la sinestesia, come figura retorica, consiste nell’accostare parole che appartengono a sfere sensoriali diverse, ad esempio: “silenzio dorato” (udito + vista), “voce ruvida” (udito + tatto), “profumo dolce” (olfatto + gusto).
Queste combinazioni creano immagini multisensoriali che intensificano l’effetto poetico o descrittivo.
In altri termini, che tali espressioni, specie in poesia, risultino comprensibili anche per chi non ha doti sinestetiche non deve stupire, atteso che è proprio del dominio della parola la non perfetta traslabilità e comunicabilità tra ciò che l'autore intende dire e ciò che il fruitore percepisce.
Nella letteratura classica la sinestesia era usata sporadicamente, ma non codificata come figura retorica. Solo nel Romanticismo e, ancor più, nello Ermetismo diventa centrale per esprimere stati d’animo ineffabili.
Oggi è presente anche nel parlato comune (“colori caldi”, “musica dolce”), cosa che è evidente segno della sua diffusione.
Esempi celebri includono:
- Giovanni Pascoli “voci di tenebra azzurra”,
- Salvatore Quasimodo “urlo nero”,
- Fabrizio De André “il colore del vento”.
La sinestesia in funzione meramente retorica non descrive forse sempre una vera esperienza sensoriale, ma ne simula l’effetto per evocare emozioni e immagini più profonde.
A volte invece è proprio tal esperienza ed essere evocata.
Nel libro dell'Esodo 20:18 (nella versione ebraica), ad esempio, troviamo un passaggio straordinario e anche poeticamente, molto toccante:
“E tutto il popolo vedeva le voci…” (וְכָל־הָעָם רֹאִים אֶת־הַקּוֹלֹת)
Questa frase è un esempio potente di sinestesia biblica, dove la percezione uditiva (“le voci”) è descritta come visiva (“vedevano”).
Il contesto è quello, centrale, della rivelazione sul Sinai, quando Dio pronuncia i cosiddetti (è un grave errore di traduzione farlo) Dieci Comandamenti (le "Dieci Parole" per la tradizione ebraica e nella traduzione letterale, se vogliamo le dieci comunicazioni).
Cerchiamo di analizzare le enormi implicazioni di quel "pasuch" (versetto)
- Esperienza multisensoriale: la rivelazione divina è così intensa da trascendere i confini sensoriali ordinari.
- Lingua ebraica: il verbo ro'im (“vedevano”) è usato per kolot (“voci” o qui, forse, “suoni”), creando un effetto sinestetico che non è figura retorica, ma descrizione mistica e collettiva, perchè riguarda l'intero popolo.
- Ciò non può mancare di mettere in evidenza la straordinarietà dell'evento a cui un intero popolo è testimone.
- Si fa presente che alcune incerte traduzioni moderne spesso attenuano l’impatto, rendendo il versetto come, ad esempio, “percepivano i tuoni e i lampi”, ma il testo ebraico è inequivocabilmente sinestetico se ci si richiama al dato letterale, che pur nella stratificazione delle ermenutiche, non deve essere mai disatteso.
Rav. Aryeh Kaplan, mente brillantissima e il massimo teorizzatore e storico moderno della meditazione ebraica, interpretava il versetto di Esodo 20:18 — “E tutto il popolo vedeva le voci” — come testimonianza di uno stato meditativo profondo raggiunto dall'intero popolo durante la rivelazione sul Sinai.
Nel suo libro "Meditazione e Kabbalah", Kaplan spiega che questo tipo di percezione multisensoriale (vedere ciò che normalmente si sente) è tipico di stati alterati di coscienza indotti da pratiche meditative avanzate, che lo stesso autore descrive e fa risalire con certezza quantomeno ad epica profetica.
La tradizione mistica ebraica, in particolare quella della cd. Kabbalah meditativa, secondo Kaplan, descrive tecniche che portano alla trascendenza dei limiti sensoriali, dove l’anima può “rivestirsi di pensiero” e percepire realtà superiori.
Questa idea di un pensiero come abito, tra l'altro, attraversa almeno un millennio di interpretazioni ebraiche, essendo già elaborato ed esplicitato in epoca alto medievale, benché in nuce presente sin dalle origini.
Aryeh Kaplan, quindi, collega questo "pasuch" (versetto) alla possibilità che gli Ebrei abbiano sperimentato nel frangente della rivelazione una forma collettiva di comunicazione dello Ruach HaKodesh (Spirito Santo nella vulgata crisitiana, Vento Sacro in quella ebraica), una condizione di illuminazione spirituale accessibile attraverso la meditazione; una collettivizzazione della esperienza mistico-meditativa.
In sintesi, per Kaplan, “vedere le voci” non è solo una metafora potente o un mero "escamotage" retorico, ma una descrizione letterale di un’esperienza mistica, resa possibile da uno stato di coscienza espanso — un momento in cui il linguaggio divino si manifesta come luce, suono e visione simultanea.¹
Mi pare che il monito dello studioso sia di massimo interesse per chiunque, ebreo e non, si cimenti con scrittura e/o lettura di poesia.
Sempre dovremmo chiederci, infatti, a fronte di una espressione sinestetica, se essa per l'autore sia semplice formula retorica ad effetto quasi certo o, al contrario, figlia di una primogenita esperienza sinestetica reale come nella poesia "delle origini".
È una domanda non di poco conto, almeno per me, tanto più vera ed importante perché la sinestesia è stata lo strumento espressivo precipuo di grandi penne del secolo scorso e di quello che l'ha preceduto.
Per la redazione de Le parole di Fedro
il caporedattore - Sergio Daniele Donati
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¹ Sintesi biobibliografica di Aryeh Kaplan:
Biografia:
- Nome completo: Aryeh Moshe Eliyahu Kaplan
- Nascita: 23 ottobre 1934, Bronx, New York
- Morte: 28 gennaio 1983, Brooklyn, a soli 48 anni
Formazione:
- Studi rabbinici presso Torah Voda’as e Mir Yeshivot di Brooklyn
- Ordinazione rabbinica a Gerusalemme
- Laurea in fisica, con attività anche nel campo scientifico
Kaplan è stato uno dei pensatori più prolifici dell’ebraismo moderno, noto per la sua capacità di rendere accessibili concetti complessi di Torah, Talmud, filosofia e misticismo ebraico. Ha avuto un ruolo centrale nel movimento Baal Teshuva, favorendo il ritorno all’ebraismo ortodosso di molti ebrei laici.
Opere principali;
I - Misticismo e meditazione
- Meditation and Kabbalah
- Jewish Meditation: A Practical Guide
- Sefer Yetzirah: The Book of Creation
- Bahir (traduzione e commento)
II - Filosofia e pratica ebraica
- The Handbook of Jewish Thought (vol. I e II)
- The Real Messiah? A Jewish Response to Missionary Christianity
- The Living Torah (traduzione e commento della Torah)
- La meditazione ebraica. Una guida pratica (Giuntina, 1996)
- Le acque dell’Eden. Il mistero della mikvah (Edizioni Dehoniane, 1996)
- Lo Shabbat. Giorno di eternità (Centro Culturale Naar Israel, 2009)
Aryeh Kaplan ha lasciato un’eredità intellettuale e spirituale profonda, integrando scienza, misticismo e pratica religiosa con rara chiarezza.
Un articolo da urlo, da brividi!!
RispondiEliminaGrazie Sergio!!
Interessantissimo grazie Sergio 🌹
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