A proposito de "La tera coverta" (La terra coperta) di Carlo Rettore (Puntoacapo ed, 2023)


Prima ancora di essere dialogo - o forse per poterlo diventare - la poesia è incontro.
E ogni incontro, come sosteneva Freud, nasce come un primigenio inciampo disturbante nell'alterità. 
L'altro da noi è, primariamente, elemento di disturbo per il piccolo equilibrio instabile che costruiamo attorno a noi stessi, come se fosse uno scudo.
L'incontro con l'altro ci obbliga ad uscire da una zona di conforto per riconoscere nell'alterità i semi della nostra stessa identità - non c'è nulla di più rifiutato della conoscenza del proprio Sé - e del nostro possibile viaggio di ritorno in noi stessi

La poesia, dicevo, ha anche questa spinta inziale - faticata e faticosa - soprattutto perché chi la legge è, in un certo senso, obbligato a lasciare che le altrui parole lo modifichino, che lo spostino da dove pensava, fallacemente, di aver messo radici per esplorare territori nuovi o, quantomeno, dimenticati. 
L'incontro con l'altro, quindi, inizialmente è sempre una porta che scricchiola sui suoi cardini, ed è così almeno finché non sviluppiamo abbastanza coscienza da percepire che a dover essere oliati sono i nostri stessi cardini. 

Tuttavia, una volta aperta quella porta, ci si presenta davanti il nuovo o, almeno, il déjà-vu, dipinto da colori nuovi. 
La scrittura dialettale - anzi, siamo precisi, in lingua locale -  amplifica questo fenomeno e lo rende ancora più prezioso. 
Ed è ancora più vero per chi legge poesia che tale tipo di scrittura ci parla di territori e vite distanti dalla nostra esperienza che, pur parlando della modernità, per forza di cose ci richiamano al ricordo dell'antico, dello stratificato, della potenza di arricchimento del locale - del particolare - sull'universale
In un certo senso, voglio dire, la scrittura in  lingua territoriale ci obbliga ad un doppio spostamento, come lettori.
Da un lato quello di cui parlavo sopra, che è di ogni lettura, e, dall'altro, alla percezione di sonorità che possiamo sentire più o meno vicine ma che, in ogni caso, non ci appartengono mai del tutto, a meno di non essere della stessa regione, cosa che porterebbe ad altri ragionamenti, con esiti, peraltro, del tutto simili. 

Il miracolo della poesia in lingua locale, se di qualità estrema come quella in esame, però, è in fondo l'archetipo della meraviglia del lavoro di scavo che l'alterità provoca in noi, nel profondo. 
Con gli occhi sgranati di bambini ci troviamo a leggere e ascoltare suoni a noi non familiari aprirci i varchi della nostra memoria personale e intima. 
Ci troviamo, in altre parole, a ricordare grazie allo sconosciuto, al non frequentato.
Ne "La tera coverta" (La terra coperta) di Carlo Rettore (Puntoacapo ed, 2023) questo miracolo si produce ad ogni componimento e sedimenta, in noi che lo leggiamo, la certezza che non c'è nulla di più falso che sostenere che, in fondo, la differenziazione linguistica e stilistica non abbia peso.
Anzi, è proprio perché questa differenziazione esiste che si può produrre l'incontro e la memoria di sé di cui sopra parlavo.

Il poeta Carlo Rettore, le cui liriche hanno sempre un ritmo lento e posato saldamente sulle terre venete che gli hanno dato i natali, ci trascina, dicevo, in questa raccolta, alla scoperta dell'universale che ci abita, attraverso il particolare. 
E, con una maestria che ha le delicate sfumature del bisbiglio, riempie di colori e suoni inusitati l'esperienza nostra stessa. 
Ci troviamo, leggendolo, a ripercorrere la nostra stessa esistenza, trascorsa in lande e con lingue diverse, e, non senza una pulsante commozione, a ri-rapprensentarcele nel presente. 
Tutto questo avviene proprio grazie all'uso di quella lingua locale che, nel manifestarsi a noi estranea, ci unisce al poeta, invece che dividerci dai suoi lemmi.
Miracolo? Certo, ma tanto umano davvero. 
O forse miracolo delle potenzialità di una parola i cui contorni non riusciamo da millenni a definire.

La parola, questa piccola particella di senso, che ci manifesta in ogni istante la sua capacità di trascinamento delle nostre pesantezze e staticità, là dove tutto diviene lieve ricordo. 
 
L'esperienza quotidiana dell'autore, descritta con la sua lingua quotidiana, diviene quindi, quasi per miracolo, la nostra stessa esperienza come ci fosse narrata da una lingua nuova. 
Come lettori, dunque, ci troviamo in un certo senso a essere ri-descritti da un bardo giunto da terre altre, che divengono per noi lettori/letti terre d'elezione.

Gli effetti per me di questo miracolo?
Gratitudine, solo un immensa gratitudine e riconoscenza, che si fonda su un riconoscimento reciproco tra autore e lettore che rare volte ho trovato (per questo ho impiegato del tempo a poterne scrivere).

Vi lascio dunque in estratto due poesie tratte dalla raccolta, così, come mero stimolo a non perdere una lettura che ha tutti gli odori speziati di un viaggio in cui, percorrendo lande mai viste, ci si ritrova; e trasformati.

Per la Redazione de Le parole di Fedro
il caporedattore - Sergio Daniele Donati

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Sto tenpo el jera pi che bastansa; no te podevi 
mia mizurarlo co le scoele de tè, ma pa febraro 
ghevo in doso colcosa de suto. 
Vegnèvimo fora da 'l Lidl co le sporte, i ciari sora de la testa 
i feva ista. Ghemo inpastà i gnochi, versà 
la late so 'l formajo. Do goti, na ciacola.
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Questo tempo era più che abbastanza; non lo potevi 
misurare con le tazze di tè, ma per febbraio
avevo addosso qualcosa di asciutto. Uscivamo 
dal Lidl con le borse, i lampioni sulla testa
facevano estate. Abbiamo impastato gli gnocchi, versato 
il latte sul formaggio. Due bicchieri, una chiacchierata


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I me dizeva che no ghe zé razon. Ghe jera 
pólvare so le scarpe da festa e el mestro 
el lezeva co i oci sarai. Ghe jera el sfalto 
sora de la tera e, soto, tera.
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Mi dicevano che non c'è motivo. C'era 
polvere sulle scarpe da festa e il maestro 
leggeva con gli occhi chiusi. C'era l'asfalto 
sopra la terra e, sotto, terra.

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BREVI NOTE BIOGRAFICHE TRATTE DALL'OPERA

Carlo Rettore è nato a Conegliano (IV) nel 1994 e ha vissuto fra la provincia padovana, Padova città e Parigi. A seguito della laurea in Filologia moderna ha ottenuto il dottorato di ricerca in Studi storico- filologici e linguistico-letterari, rispettivamente presso le università di Padova e Cagliari.
Negli ultimi anni è risultato finalista in diversi pre- mi letterari, oltre che vincitore del Premio Gozzano 2020 per la poesia dialettale e dell'Italian Poetry To- day Poetry Prize 2021: suoi testi sono apparsi in linea per Nuovi Argomenti e Formavera, di cui è oggi redattore.
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