(Redazione) - "La fragile geometria dell'amore" - A proposito della raccolta di Antonella Caggiano "La vena delle viole" (Capire edizioni, 2023) - Nota di lettura di Sergio Daniele Donati

 


Io non so parlare d'amore (né in poesia, né in altri contesti) e provo sempre una sorta di imbarazzo a scriverne perché il dato emergente per me è sempre quello di un certo incaglio tra parola e il principe dei sentimenti.
"Io non so parlare o scrivere sull'Amore", dicevo, eppure non per questo non sono capace di leggerne, né disconosco che le diverse declinazioni dell'amore fanno parte dell'ossatura del poetare dall'alba dei tempi. 
Eros e Thanatos sono uno dei registri fondamentali su cui si muove da sempre l'arte poetica. Certo ne esistono altri ma ben pochi hanno avuto nella storia della poesia uno sviluppo così ampio, perché, in fondo (ma anche in superficie) l'essere umano da sempre si questiona sul rapporto con l'altro da sé , e l'amore ne è una delle manifestazioni più persistenti.
Saper leggere, poi, e saper anche valutare il valore delle parole che sulla geometria mobile dell'amore poggiano, senza false modestie, è un dono che in un certo senso mi è sufficiente. 
"Io non so parlare d'amore", ma, in altre parole, amo che altri ne parlino e lascio spesso alle parole altrui, se le considero prive di una banalità purtroppo imperante, il compito arduo di definire anche il mio mondo amoroso.
Con questo esordio confessorio voglio introdurre una mia nota di lettura alla splendida raccolta di Antonella Caggiano "La vena delle viole" (Capire ed., 2023), in cui la tematica amorosa viene accolta, approfondita e sviluppata con una profondità linguistica, sintattica e di contenuto del tutto particolari. 
La poeta ci fa compiere un viaggio attraverso un sentimento che, sia per antichità che per contemporaneità, ci mostra da sempre tutta la sua duttilità e capacità trasformativa, ruolo che - appare banale dirlo - è proprio anche del dire e del dominio del linguaggio.
E, infatti, percorrendo come se fosse un tracciato boschivo in cui il lettore muove i suoi passi, più di una volta - una quasi-costante - ci si ritrova spesso a sovrapporre parola ed amore come se fossero quasi-sinonimi, o quantomeno dinamiche mosse dalla stessa ragione profonda. 
L'assenza poi di una metrica predefinita e di una costanza nella lunghezza di componimenti e versi assume poi in questa raccolta un ruolo centrale, definendo proprio la mobilità sia descrittiva che rielaborativa del principe e del principio amoroso.

Una primavera di netto
trafigge il cuore
del mio giardino stinto

È questo uno dei componimenti centrali della raccolta il cui primo verso avrebbe potuto ben essere il titolo di questa interessante raccolta. In esso cogliamo un primo ossimoro (primavera-trafigge ma anche primavera-stinto) che ci trasmette appieno la qualità primaria e revitalizzante dell'amore, inteso come fonte profonda di mutamento e spinta verso il nuovo; nuovo certamente ma che non disconosce la fatica e la ferita per crescere. Della primavera, infatti, noi, osservatori distratti, cogliamo il virgulto, le prime foglie sui rami. 
Qui la poeta ci lancia, in brevi e incisivi versi, il monito a non dimenticare le fatiche, forse invernali, che hanno permesso a quel virgulto di essere. 
E di primavera, ancora una volta, la poeta parla in un componimento successivo. 

Tienimi lì
nello stipite scomodo
di quel pensiero orfano

Primavera
del tuo cuore risorto
col mio

Dopo la fatica e la ferita che aveva caratterizzato la prima composizione ecco una primavera che è anche resurrezione (e si risorge per antonomasia dal regno dei morti, ovvero dal regno che sta in opposizione polare e diretta con quello dell'amore).
Restano tracce di pensieri orfani, ma la comunanza, o almeno la vicinanza, con l'alterità (del tuo cuore risorto/col mio) permettono la vita nuova.
È l'altro a permetterci di rinascere e, se il nostro cuore batte, è solo perché trova risonanza con l'altrui battito. 

Antonella Caggiano non disdegna poi richiamarsi al mito che sa però ridipingere di colori del tutto inusuali come nella composizione dal titolo Penelope il cui testo sotto si riporta. 

Ti vedo
Penelope
con le mani cariche di spesa
e il pensiero di far da mangiare
a chi non ama
Affannata sul sudario
 della tua tela
corri dietro a Telemaco
a non essere abbastanza
certa di non bastare

Ti vedo
versare anche l'ultima lacrima
sui grani di rosario
e - sempre di notte- 
confidi la tua stanchezza
Al mattino ti stiri il vestito,
asciughi i pensieri cupi

Lo specchio ti rimanda la luce.

Il primo stacco dal mito classico di Penelope è di tipo lessicale, nella scelta di rifiutare una descrizione del personaggio ricoperta di aulicismi e richiami ad un linguaggio "elevante". 
L'amore sofferto di Penelope, al contrario, è descritto attraverso la sua quotidianità. Penelope diviene "donna contemporanea" proprio attraverso questi versi in cui una certa tenacia nell'agire (cucinare, stirare) è bilanciata da una fragilità interiore e preziosa ( ... non essere abbastanza/certa di non bastare) che la poeta attribuisce anche al ruolo del figlio Telemaco.
Ci sono poi richiami per contrasto ad altri miti, specie di natura cristiana (sudari, rosari) e un finale che è lezione etica. 
Perché quella fragilità, quelle lacrime versate di notte, la stanchezza nell'ora che sarebbe deputata al riposo per tessere una tela di speranze, diviene la luce che lo specchio rimanda alla eroina dell'incertezza che la poeta così ben descrive. 
E la notte torna - e torna ancora -  nella raccolta come elemento allo stesso tempo di travaglio e, ossimoricamente, anche di rivitalizzazione. 

Capiterà che ti cercherò
ancora, solitudine di notte
che solleva i muri
mette fiato alle statue

Non si può non notare come le due poesie riportate per ultime parlino tra loro di un amore che è attesa e attesa e attesa...solitaria; ricerca di un'assenza potente...capace però di spostare ciò che è immobile per definizione (solleva i muri) e dar vita a ciò che per definizione è solo imago di esseri animati (mette fiato alle statue).
Allora, ed è questo il motivo del titolo che ho scelto per questa breve nota di lettura, l'amore che è costituito di spine, di incertezze, si attesa angosciosa e notturna, di ferita e della sensazione di non poter bastare mai si manifesta proprio perché la fragilità è la dote primaria della sua preziosità e in essa persiste la capacità di mettere in movimento il nuovo...anche in me, che non so parlare d'amore.

Per la Redazione de Le parole di Fedro
il caporedattore - Sergio Daniele Donati

N.d.R: Di Antonella Caggiano sono comparsi su Le parole di Fedro degli inediti che potrete trovare qui e qui
Inoltre la poeta è apparsa in dialogo poetico con Sergio Daniele Donati nella sezione "Poeti allo specchio". Potrete trovare il dialogo completo e questo link


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