(Redazione) - Figuracce retoriche - 13 - Analessi, Prolessi, Histeron proteron


 
A cura di Annalisa Mercurio

Allacciate le cinture! Ho affittato solo per oggi la macchina del tempo. Posti limitati, affrettatevi a salire a bordo! Le tre figure retoriche di oggi infatti, ci faranno viaggiare avanti e indietro nella dimensione temporale della narrazione.


ANALESSI
A(h!) (u)NA (volta) LESSI! Questo esordio se non fossimo in ‘figuracce retoriche’ potrebbe sembrare del tutto fuori luogo, ma, in questo caso, non solo si tratta solo del ‘gioco’ di associazione di idee per poter meglio memorizzare il nome della figura retorica del giorno. infatti, coniugando il verbo lèggere al passato remoto, ho fatto un flashback. Avrei potuto continuare descrivendo ciò che mi circondava mentre leggevo, sensazioni, odori… Avrei fatto così un salto indietro nel tempo: un’analessi.
Nell’etimologia della parola, analèssi deriva dal greco ἀνάληψις  (análēpsis): ἀνά (aná) di nuovo e λῆψις (lēpsis) prendere. Si tratta di un periodo, o di alcuni versi, in cui si inseriscono avvenimenti che precedono il tempo del racconto. È come se il narratore aprisse una parentesi portando le lancette indietro di ore, giorni, anni, andando a colmare dei vuoti su fatti o immagini fondamentali.
Quindi, ogni volta che in uno scritto compaiono ricordi di eventi passati, ci troviamo di fronte a un’analessi; il caro Snoopy sa di cosa stiamo parlando.

L’analessi può essere interna o esterna. Si tratta di analessi interna quando si fa un salto indietro nel tempo ma si resta all’interno del tempo della narrazione, mentre parliamo di analessi eterna, quando il salto supera l’arco temporale del racconto. Se scrivessi un romanzo sulla mia vita il tempo della narrazione andrebbe dal 1969 a oggi 2023, quindi, se arrivata al 2020 aprissi una parentesi riguardante il 1990 si tratterebbe di analessi interna, se invece, andassi indietro a un qualche episodio legato alla mia vita (qualche decisione presa dai miei genitori) avvenuto nel 1960, prima della mia nascita, si tratterebbe di analessi esterna.
Ma vediamo alcuni esempi decisamente più classici:
Alessandro Manzoni nel nono capitolo dei Promessi Sposi riguardo la Monaca di Monza scrive:

(…) Noi crediam più opportuno di raccontar brevemente la storia antecedente di questa infelice; quel tanto cioè che basti a render ragione dell’insolito e del misterioso che abbiam veduto in lei, e a far comprendere i motivi della sua condotta e a far comprendere i motivi della sua condotta, in quello che avvenne dopo (…)

e, dopo questa introduzione, inizia un salto indietro nel tempo col quale racconta la storia di Gertrude per far sì che il lettore possa comprendere meglio la psicologia del personaggio. Pare che Manzoni abbia molto amato questa figura retorica, stesso romanzo infatti, l’analessi compare anche nel capitolo IV in cui racconta la storia di padre Cristoforo, nel capitolo XIX dedicato all’Innominato e nel capitolo XXII in cui narra la storia del cardinale Federico Borromeo.
Sempre parlando di grandi classici, nell’Odissea (sec. XI/VIII a.C) ci troviamo difronte all’analessi nel libro IX quando Ulisse alla corte di Alcínoo inizia il racconto del suo avventuroso viaggio.
L’analessi, non è una caratteristica esclusiva della letteratura occidentale, quindi ora facciamo un breve viaggio a oriente, più precisamente in India e, dato che in qualche modo parliamo di ‘viaggi’ nel tempo, facciamo nuovamente un salto indietro fino a un vasto arco temporale che va dal IV secolo a.C. fino al IV secolo d.C. quando nei grandi poemi epici  Rāmāyaņa e Mahābhārata, la narrazione del racconto principale giunge attraverso altri racconti ambientati in tempi differenti.
Questo è indice di quanto culture tra loro ampiamente differenti, in epoche tra loro distanti, possano trovare un punto d’incontro nell’uso dell’analessi, dimostrando che questa è una necessità narrativa  insita nella natura nell’uomo il quale non può esimersi dall’utilizzare una narrazione storica.
Parlando di narrativa per ragazzi, citiamo l’amatissima saga di Harry Potter in cui, per fare salti nel passato, l’autrice Joanne Rowling introduce un oggetto magico, chiamato Pensatoio, il quale rende l’analessi non solo un espediente narrativo, ma un potere consegnato ai personaggi della saga che diventano parte attiva del flashback.
L'analessi, nella sua struttura, può a volte confondere e necessita di una buona capacità di concentrazione come nel caso di Mattatoio n. 5 di Kurt Vonnegut, in cui (dato che il protagonista viaggia nel tempo e nello spazio in maniera del tutto casuale) le retrospettive vengono presentate in ordine non cronologico. In questo tipo di narrazione può risultare complicato individuare il tempo presente cui fare riferimento. Per spiegare meglio ciò che intendo, ve ne lascio un breve stralcio.

(…) Billy è andato a dormire che era un anziano vedovo e si è svegliato il giorno delle sue nozze. È passato per una porta nel 1955 ed è uscito da un'altra nel 1941. È tornato indietro per quella porta per trovarsi nel 1963. Ha visto la propria nascita e la propria morte molte volte, dice, e rivive di tanto in tanto tutti i fatti accaduti nel frattempo (…) Billy nacque nel 1922 a Ilium, New York, figlio unico di un barbiere di lì. Era un bambino dall'aria stramba che diventò un ragazzo dall'aria stramba - alto e gracile, e fatto a forma di bottiglia di Coca-Cola. Si diplomò al liceo di Ilium piazzandosi tra i primi tre della sua classe, e frequentò i corsi serali della Scuola d'optometria di Ilium per un semestre, dopo di che fu arruolato nell'esercito per la seconda guerra mondiale. Il padre morì in un incidente di caccia durante la guerra. Così va la vita.(…)

Da questo romanzo è stato tratto il film So it goes (diretto da George Roy Hill) vincitore del Premio della giuria al 25º Festival di Cannes e del Saturn Award per il miglior film di fantascienza.
Un altro esempio magistrale di analessi in filmografia è il romanzo Il ponte di San Luis Rey (Thornton Wilder 1927). Ambientato nel 1714, parla della morte di cinque persone provocata dal crollo di un ponte che univa Lima a Cuzco. Questo incidente fa sì che un frate che ha assistito al dramma cominci a porsi una serie di domande: chi erano quelle cinque persone? Per quale motivo si trovavano proprio in quel luogo a quell'ora? Si è trattato di caso o di disegno divino? Questi interrogativi lo porteranno a ricostruire la vita delle vittime per capire se avessero qualcosa in comune, qualcosa per cui poter dare un senso all'accaduto. Lo scrittore americano, con questo romanzo vinse, nel 1928, il Premio Pulitzer e, questo libro, vanta ben tre versioni cinematografiche: la prima è del 1929 per la regia di Charles Brabin, in seguito uscì nel 1944 con la regia di Rowland V. Lee e infine nel 2004 la versione di Mary McGuckian.
Come possiamo notare da questi ultimi esempi, l’analessi risulta essere una figura retorica particolarmente interessante da rappresentare nella settima arte. Rispetto alla letteratura, il cinema incontra qualche difficoltà in più nel segnalare il flaschback, ma registi, fin dagli esordi, hanno trovato diversi espedienti per segnalare il salto temporale attraverso le immagini, dando allo spettatore la possibilità di riconoscerlo per poter riordinare mentalmente i fatti: tra questi i più usati sono le dissolvenze o l'alternanza di scene a colori con altre in bianco e nero. Uno dei pionieri dell’analessi sul grande schermo è David Wark Griffith. Il suo Intolerance, capolavoro del film muto del lontano 1916, è infatti uno dei primi esempi di questa tecnica.

Fotogramma di Intolerance di David Wark Griffith (1916)



Ed eccoci alla prima figuraccia del giorno:
ἀνάληψις
Baciavi questi occhi
che trasformano ombre
in svaporate impronte
in distillati di frutti amari
protetti dalle tue mura.
Resto – in pasto ai sogni –
dove trascorriamo ore
ad attendere rifioriscano
foglie morte e comunione d'intenti.

Annalisa Mercurio
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PROLESSI

Prolessi dal greco πρόληψις (pròlēpsis, anticipare, prendere prima), quindi, penserete voi, è il contrario dell’analessi! Eh lo pensavo anch’io, ma qui la faccenda si complica. Ci sono infatti varie definizioni per questa figura.
Partiamo dalla più semplice, quella sintattica: sintatticamente si definisce prolessi quando, all’interno di una frase, incontriamo anticipatamente alcune parole che per regola andrebbero messe dopo. Incoronerei a frase regina della prolessi la straordinaria espressione sarda “capito mi hai?” anzi, “capitto mi hai?”
Ma la prolessi non è strettamente legata ai dialetti:

Voglio tu lo sappia: sei per me importante.
oppure:
Questo voglio dirti: ci sarà molto lavoro da fare.

Un altro tipo di prolessi l'abbiamo quando, in un discorso, si previene una possibile obiezione confutandola, o quando semplicemente si anticipa il pensiero dell’interlocutore. Insomma, quella classica cosa che fanno gli avvocati nelle arringhe (no, non quelle affumicate, ma quelle con due R! Va bene, va bene, vi accontento e le mettiamo entrambe)

Immagine da web (Ovviamente l’aringa è stata da me aggiunta per l’occasione. Chiedo per questo venia a Honoré Daumier)


Torniamo seri, e chiediamo qualche esempio al nostro amato Dante:

Potrebbe già l'uomo opporre contra me e dicere che non sapesse a cui fosse lo mio parlare in seconda persona
(Vita nova XII 17)

Potrebbe qui dubitare persona degna da dichiararle onne dubitazione.

(Vita nova XXV 1)

E se l'avversario, volendosi difendere, dicesse..., E se l'avversario pertinacemente si difendesse, dicendo...

(Convivio XIV 5, 6).

In filosofia invece (ed è il terzo caso), secondo gli epicurei la prolessi (detta anche anticipazione) è una coscienza data da azioni e sensazioni ripetute e conservate nella memoria, che servono ad anticipaci ciò che accadrà in futuro.

Diogene Laerzio (180 d.C. - 240 d.C.) a tal proposito scrive:
Non potremmo ricercare ciò che è oggetto della nostra ricerca se prima non ne avessimo avuto conoscenza.

E ancora Sesto Empirico (160 d.C. circa – 210 d.C. circa):

Così non direi che la vista ci inganna quando da una grande distanza vede una torre piccola e rotonda, da vicino grande e quadrata, ma che è verace, sia quando l’oggetto appariva piccolo e di quella particolare forma, poiché veramente era tale essendosi consunti i contorni dei simulacri durante il movimento attraverso l’aria, sia quando invece grande e di forma diversa, poiché anche allora aveva tali caratteri; poiché l’oggetto non era lo stesso in ambedue i casi. Questo infatti è lasciato alla falsa opinione, pensare che la cosa che causava rappresentazioni fosse la stessa, sia vista da vicino che da lontano.
(da Epicuro e la filosofia della mente Francesca Guadalupe Masi)

E ora vediamo finalmente il caso in cui la prolessi è l’esatto contrario dell’analessi, cioè quando nel corso di una narrazione vengono anticipati eventi che accadranno in futuro: un flashforward, un salto nel futuro.
Come nelle analessi, ci sono prolessi esterne (che si riferiscono a un tempo successivo al termine della narrazione) e prolessi interne (che si collocano tra il tempo presente e il termine della narrazione).
Un esempio di prolessi è l’incipit di Cent’anni di solitudine:

Molti anni dopo, di fronte al plotone di esecuzione, il colonnello Aureliano Buendía si sarebbe ricordato di quel remoto pomeriggio in cui suo padre lo aveva condotto a conoscere il ghiaccio.
(Gabriel Garcìa Màrquez)

In Confessioni di un ottuagenario di Ippolito Nievo invece, la prolessi serve a commentare qualcosa che Carlino Altoviti ha appena dichiarato:

[…]perchè mi pareva che una persona a cui si auguravano tante belle cose dovesse essere di grande rilievo e di un merito infinito. Andando poi innanzi nella vita corressi questa mia strana opinione.
Ed ecco la seconda figuraccia:

Πρόληψις
Quando girererà a scirocco
ubriachi di rumore bianco
tatueremo a luce missive
su foglie cieche poi verrà l'attesa
e la caduta di tutte le voglie
che si faranno sonore
ai nostri piedi d'autunno.

Annalisa Mercurio

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HISTERON PROTEON

Si dice non ci sia due senza tre, ed è per questo che vado ad aggiungere ad analessi e prolessi una figura retorica semplice dal nome complicato.
Come nei due casi precedenti si tratta di una inversione dell’ordine temporale. Che io abbia a volte piccoli attacchi histerici e sia, detta alla milanese pro ‘terun’, non ha nulla a che fare con quella che si chiama histeron proteron: che prende nome dal greco ὕστερον πρότερον: histeron successivo, e proteron precedente.



E cosa c’entra adesso il tenente Colombo? Ve lo spiego subito.
L’histeron proteron è la figura retorica per antonomasia dei gialli, racconti nei quali spesso la narrazione inizia dalla fine. Si parte dal delitto per ricostruire successivamente il caso.
Questa figura retorica è spesso usata anche nel giornalismo, soprattutto nei titoli, per attirare l’attenzione sul fulcro della notizia:

Banca rapinata. I ladri entrano mascherati…

Ovviamente prima i ladri sono entrati e solo in seguito hanno svaligiato la banca, ma, tra i due fatti, il più importante è il furto avvenuto in banca; invertendo l’ordine temporale, il giornalista fa sì che la prima cosa che andremo a leggere nel titolo, sarà la notizia principale.
Ma anche i grandi classici facevano uso di histeron proteron, ne abbiamo un bellissimo esempio nell'Eneide:

Moriamur et in media arma ruamus, cioè: moriamo e lanciamoci in mezzo alle armi
(II, 353)

Allora, a meno che non si tratti di un film di zombie, la sequenza logica sarebbe: lanciamoci in mezzo alle armi e moriamo, ma, in questo caso, Virgilio invertendo la sequenza accentua notevolmente l’enfasi della frase.
E dalla Divina Commedia (che a quanto pare contiene tutte le figure retoriche)

Tu non avresti in tanto tratto e messo
nel foco il dito
(Dante, Paradiso XXII 109-110)

E torno ancora una volta a parlare di cinema. Ecco brevemente alcuni film che iniziano dalla fine: Quarto potere, Fight Club, Pulp fiction e il mio preferito tra questi, Memento.
E ora un consiglio spassionato: nel quotidiano cercate di andare sempre in ordine, evitate di bere prima di versare l’acqua, o di spogliarvi dopo aver fatto la doccia!
Temo proprio stia suonando la campana, vi aspetto alla prossima.
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