(Redazione) - Figuracce retoriche - 12 - Anacoluto

A cura di Annalisa Mercurio

L’anacoluto potrebbe essere definito scherzosamente il brutto Anatroccolo (notare l’allitterazione) delle figure retoriche. In questa puntata di Figuracce retoriche scopriremo perché, ma prima, come sempre, diamo uno sguardo all’etimologia della parola: il termine anacoluto deriva dal greco ανακολουθόσ (anakoluthos), composto da αν (an) privativo e ακολουθία (akólouthia) seguace. Quindi, nella sua traduzione completa significa che non segue’.
Già nell’antica grecia questo termine era usato con l’accezione di anomalo, irregolare. A questo proposito, Bice Mortara Garavelli scrive:Questo elemento, lasciato senza l’appoggio di una funzione sintattica congruente, rimane «sospeso» e nello stesso tempo viene messo in evidenza. La moderna linguistica testuale spiega tale irregolarità come un «cambiamento di progetto», intervenuto quando si mette in opera il discorso”. In parole semplici possiamo parlare di anacoluto quando siamo di fronte a una frase zoppa, mancante di un sano sostegno; una frase che muta in corso d’opera perdendo le fondamenta, eppure, nonostante ci si trovi in presenza di una frase imperfetta, accade qualcosa di affascinante: il “difetto” accende uno spot, un occhio di bue (intendo il faro sul palcoscenico, non l’uovo al tegamino) sul soggetto. L'anacoluto attira l’attenzione ottenendo così l’effetto desiderato.
Quindi l’anacoluto è sì un errore grammaticale, ma, nonostante questo, nella nostra lingua è comunque molto diffuso. A questo punto azzarderei un consiglio per gli studenti: se in un compito in classe vi viene segnalata in rosso una frase che non fila, provate a ‘venderla’ come anacoluto, potreste fare un figurone! Questa figura retorica infatti è un costrutto (ordine di parole in una frase) che, se scritto da uno studente, può essere considerato un errore madornale, un bruttissimo anatroccolo, ma usato da penne illustri, come Cesare Pavese, o Joyce, si trasforma in un magnifico cigno. Però, prima che utilizziate questa figura retorica come scusa per potervi salvare in corner, mi sento in dovere di spiegare meglio di cosa si tratta.
In sostanza, ci troviamo di fronte a un periodo con due differenti costruzioni; la prima incompiuta e una seconda che termina regolarmente. Questa figura retorica è nota anche come tema sospeso, ed è molto frequente nel linguaggio parlato e nei proverbi. Sempre la Garavelli, nel capitolo dedicato all’anacoluto del suo Parlar figurato, non a caso usa il termine inòpia, cioè povertà assoluta, indigenza. Questo ci porta a pensare che l’anacoluto possa essere una struttura derivante da una povertà di linguaggio tale da essere incapace di padroneggiare la morfologia grammaticale. Riporto alcuni esempi:
Tanti galli a cantar non fa mai giorno
Io questa è l’impressione che ho
Chi s’aiuta, il ciel l’aiuta

Diciamo quindi, che è un cambio improvviso di soggetto, una virata a effetto dopo una botta in testa. Scherzi a parte, vi mostro come questa figura retorica non sia usata solo nei proverbi e di come sia stata utilizzata in epoche differenti proponendovi alcuni esempi classici.
Iniziamo da una citazione tratta dalla sesta novella dell’ottava giornata del Decamerone di Boccaccio, in cui Bruno e Buffalmacco si beffano di Calandrino facendogli credere di poter scoprire il ladro di un maiale (accusando lo stesso Calandrino) facendo un incantesimo sul cibo che sarebbe stato offerto a tutto il paese in occasione di una cena: al colpevole le polpette sarebbero sembrate amarissime. Fanno così preparare polpette per tutti, e ne fanno fare due amare, due, che saranno premeditatamente servite al povero, innocente Calandrino il quale sputa la prima, e la seconda gli pare ancor più amara.

Calandrino, se la prima gli era paruta amara, questa gli parve amarissima”

Cerchiamo di “correggere” la frase: “Se a Calandrino la prima era paruta amara, questa gli parve amarissima”. In questo modo risulta sintatticamente più corretta, ma perde quello spot su Calandrino, sul suo imbarazzo, su quell’amarezza che non si riferisce solo al senso del gusto, ma, metaforicamente parlando, sposta l'attenzione del lettore sull’amaro boccone dell’inganno che l’ignaro protagonsta non può comprendere.
Anche Giovanni Pascoli, nella sua poesia Romagna ignora le regole della logica per aumentare il pathos o, non lo sapremo mai, potrebbe essere il risultato di un ottimo Sangiovese:

io, la mia patria or è dove si vive”

Aiuto! Qual è il soggetto? La patria? Allora cosa c’entra il pronome ‘io’? Eppure quel ‘io’ diventa un rafforzativo, un modo per ribadire il fatto che si parla di me, di ciò che sento e provo.
Nei Promessi Sposi, Alessandro Manzoni ci regala fior di anacoluti:

quelli che moiono, bisogna pregare Iddio per loro” (Renzo cap. XXXVI) che Olivier Reboul nell’Introduzione alla retorica (ed. Il Mulino1996, p. 158) così commenta: “Non è un errore, è l'irruzione del codice orale in quello scritto, che rende così l'espressione più personale e l'argomentazione più vivace”.
Lo stesso vale per le frasi che seguono:
i soldati, è il loro mestiere di prendere le fortezze” (cap, VII)
il coraggio, chi non ce l’ha non se lo può dare” (cap. XXV)

E Giovanni Verga scrive:
il primo che va in giro di notte gli faremo la pelle” (Novelle)
chi cade nell’acqua è forza che si bagni(I Malavoglia)

A inizio articolo ho citato non a caso Cesare Pavese, al quale va la paternità di uno dei miei anacoluti preferiti:
La luna bisogna crederci per forza” (La luna e i falò).

È giunta l’ora della mia figuraccia retorica, quindi, citando il famigerato film che dell’anacoluto ha fatto tesoro, io speriamo che me la cavo con un piccolo distico.

Tu così vicino
mi casca in testa il cielo.
(Annalisa Mercurio)

Dopo questa carrellata di esempi, sento di poter dire che l’anacoluto è giustificabile quando la rottura del discorso avviene a causa di un’urgenza emotiva o nel caso in cui si cerchi di mettere su carta un profluvio di pensiero, un dialogo interiore. Infatti, il linguaggio che utilizziamo per comunicare con altri, per permetterci di essere comprensibili, necessita di una costruzione sintattica regolare e deve piegarsi alle regole grammaticali; tutto questo invece, in un dialogo intimo con sé stessi non è necessario, in quanto ognuno di noi possiede tutti gli strumenti per comprendere (per quanto questo possa essere scomposto) il filo logico del proprio pensiero. Di questo caso abbiamo un esempio straordinario nell’Ulisse di James Joyce, che, usando l’espediente di eliminare la punteggiatura, fa sì che nel monologo finale di Molly Bloom vi sia un continuo spostamento di soggetto rendendo questo brano un immenso, complesso, incredibile anacoluto. Il risultato rende magistralmente l’idea di ciò che è il flusso di pensiero di una persona.
Per chiudere questa puntata in bellezza, vi lascio le ultime pagine di questo capolavoro.

DAL MONOLOGO INTERIORE DI MOLLY BLOOM
Da Ulisse di James Joyce.
[…]lo lascerò guardare il soffitto ora dov’è andata farmi desiderare non c’è altro mezzo due e un quarto che ora bestiale mi dà l'idea che in Cina si stanno alzando a quest'ora e si pettinano i codini per la giornata tra poco le monache suoneranno l'angelus non c'è nessuno che vada a disturbare i loro sonni se non qualche prete per le funzioni della notte la sveglia di quelli accanto al primo chicchirichì si fa uscire il cervello a forza di far fracasso guardiamo un po' se riesco ad addormentarmi 1 2 3 4 5 che razza di fiori sono quelli che hanno inventato come le stelle la carta da parati di Lombard street era molto più carina quel grembiule che mi ha dato assomigliava un po' solo che l'ho portato solo due volte meglio abbassare la lampada e provare ancora in modo da alzarsi presto voglio andare da Lambes là vicino a Findlaters e farmi mandare dei fiori da mettere per casa nel caso lo portasse qui domani cioè oggi no o il venerdì porta male prima voglio fare un po' di pulizie la polvere sembra che si ammucchi mentre dormo poi un po' di musica e qualche sigaretta posso accompagnarlo prima devo pulire i tasti del piano col latte cosa mi devo mettere porterò una rosa bianca o quelle brioches di Lipton mi piace l'odore di un bel negozio di lusso a sette penny e mezzo la libbra o quelle altre con le ciliegine e lo zucchero rosa 11 pence un paio di libbre di quelle e poi una bella piantina in mezzo alla tavola si trova a minor prezzo da un momento dove le ho viste non è mica tanto Io amo i fiori vorrei che la casa traboccasse di rose Dio del cielo non c'è niente come la natura le montagne selvagge poi iI mare e le onde galoppanti poi la bella campagna con campi d'avena e di grano e ogni specie di cose e tutti quei begli animali in giro ti farebbe bene al cuore veder fiumi laghi e fiori ogni specie di forme e odori e colori che spuntano anche dai fossi primule e violette e questa la natura e quelli che dicono che non c'è un Dio non darei un soldo bucato di tutta la loro sapienza perché non provano loro a creare qualcosa gliel'ho chiesto spesso gli atei o come diavolo si chiamano vadano e si lavino un po' prima e poi strillano per avere il prete quando stanno per morire e perché perché perché hanno paura dell'inferno per via della loro cattiva coscienza ah si li conosco bene chi è stato il primo nell'universo prima che ci fosse qualcun altro che ha fatto tutto chi ah non lo sanno e nemmeno io eccoci tanto vale che cerchino di impedire che domani sorga il sole il sole splende per te disse lui quel giorno che eravamo stesi tra i rododendri sul promontorio di Howth con quel suo vestito di tweed grigio e la paglietta il giorno che feci fare la dichiarazione si prima gli passai in bocca quel pezzetto di biscotto all'anice e era un anno bisestile come ora si 16 anni fa Dio mio dopo quel bacio così lungo non avevo più fiato si disse che ero un fior di montagna si siamo tutti fiori allora un corpo di donna si è stata una delle poche cose giuste che ha detto in vita sua e il sole splende per te oggi si perciò mi piacque si perché vidi che capiva o almeno sentiva cos'è una donna e io sapevo che me lo sarei rigirato come volevo e gli detti quanto più piacere potevo per portarlo a quel punto finchè non mi chiese di dir di si e io dapprincipio non volevo rispondere guardavo solo in giro il cielo e il mare e pensavo a tante cose che lui non sapeva di Mulvey e mr Stanthope e Hester e papà e il vecchio capitano Groves e i marinai che giocavano al piattello e alla cavallina come dicevano loro sul molo e la sentinella davanti alla casa del governatore con quella cosa attorno all'elmetto bianco povero diavolo mezzo arrostito e le ragazze spagnole che ridevano nei loro scialli e quei pettini alti e le aste la mattina i Greci e gli Ebrei e gli Arabi e il diavolo chi sa altro da tutte le parti d'Europa e Duke Street e il mercato del pollame un gran pigolio davanti a Larby Sharans e i poveri ciuchini che inciampavano mezzi addormentati e gli uomini avvolti nei loro mantelli addormentati all'ombra sugli scalini e le grandi ruote dei carri dei tori e il vecchio castello e vecchio di mille anni si e quei bei mori tutti in bianco e turbanti come re che chiedevano di metterti a sedere in quei buchi di botteghe e Ronda con le vecchie finestre delle posadas fulgidi occhi celava l'inferriata perché il suo amante baciasse le sbarre e le gargotte mezzo aperte la notte e le nacchere e la notte che perdemmo il battello ad Algeciras il sereno che faceva il suo giro con la sua lampada e Oh quel pauroso torrente laggiù in fondo Oh e il mare il mare qualche volta cremisi come il fuoco e gli splendidi tramonti e i fichi nei giardini dell'Alameda sì e tutte quelle stradine curiose e le case rosa e azzurre e gialle e i roseti e i gelsomini e i geranei e i cactus e Gibilterra da ragazza dov'ero un Fior di montagna sì quando mi misi la rosa nei capelli /come facevano le ragazze andaluse o ne porterò una rossa sì e come mi baciò sotto il muro moresco /e io pensavo beh lui ne vale un altro e poi gli chiesi con gli occhi di chiedere ancora sì allora mi chiese se io volevo sì dire di sì mio fior di montagna e per prima cosa gli misi le braccia intorno sì e me lo tirai addosso in modo che mi potesse sentire il petto tutto profumato sì e il suo cuore batteva come impazzito e sì dissi sì voglio sì.

Vi aspetto il prossimo mese!
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