La piccola Chouchou: pupazzi e figura paterna (di Tiziano Mario Pellicanò)




Un’illustrazione di Arthur Rackhalm di una fata in bilico su un filo, tratta da un’edizione di Peter Pan and the Kensington Gardens, regalata da Debussy all’amata figlioletta Peter Pan nel 1912, è lo spunto per uno dei pieces pianistici più funambolici dei Préludes, libro secondo – Les Fées sont d’exquises danseus. La tonalità scelta, il re bemolle maggiore, dona leggerezza e grazia al brano ricco di trilli e arpeggi giocati sui toni del valzer. Amante della cultura anglosassone, cui si deve il titolo in inglese della raccolta pianistica (Children’s Corner), il riferimento a Matthew Barrie è già di per sé significativo di un humus che molto deve agli interscambi tra le due culture, francese e inglese, affacciate sullo stesso lembo di mare che le ha divise e unite per secoli. Sorvolando sulla componente fairy che permea il tessuto narrativo del primo Peter Pan, ci preme soprattutto mostrare come tale componente entri a far parte integrante di un testo con un codice specifico. Il mondo fiabesco e infantile irrompe già all’epoca della composizione di questo pezzo, come a voler dimostrare l’interesse, non certo peregrino o occasionale di Debussy per il mondo favolistico. Ma sarà con Children’s Corner (1906-8) che il compositore porterà a compimento le sue incursioni nel mondo dell’infanzia. Rispetto alle altre raccolte pianistiche – Images, Préludes, Estampes – i Children’s Corner si caratterizzano per una minore difficoltà compositiva ed esecutiva, ma ciò non deve lasciare intendere una minore complessità, specialmente sul piano simbolico. L’apparente naïveté è, in realtà, il frutto di un’attenta e calibrata ricerca compositiva e intellettuale. Il mondo infantile che ne risulta è fatto di sottili sfumature, di angoli lasciati deliberatamente in ombra. La stessa dedica – A ma chère petite Chouchou – è una dichiarazione programmatica con un vezzeggiativo che trae forza e sostanza dall’accostamento di due fonemi ripetuti, onomatopeici e pregni di un gioco linguistico e sonoro che sarà una delle caratteristiche delle pièces. I rapporti affettuosi, di amore paterno verso la figlioletta, sono ben documentati dalle lettere che Debussy inviava a conoscenti e amici (1). Chouchou nel lessico affettivo sta a indicare un piccolo animale domestico, un pet, che tiene compagnia e cura – ma chou in francese vuol dire cavolo, e il vocabolo sembra racchiudere in sé, appunto in un gioco linguistico, regno animale e vegetale secondo una visione scherzosa, infantile appunto. La nostra analisi si concentrerà soprattutto sui contenuti letterari e le idee che stanno alla base delle singole composizioni, lasciando ai margini, o accennando solo per sommi capi, considerazioni di natura puramente musicologica, ambito dal quale esula il seguente contributo. C’è un immaginario proustiano dietro le note che contrappuntano la devozione di Debussy per Chouchou – quasi una incarnazione di Gilberte che gioca nei giardini delle Tuileries con le sue bambole – una componente ben presente nel mondo compositivo e immaginario di Debussy, come ben si sa (2). Com’è noto, nella Recherche si fa largo una riflessione metafisica sulla musica. Come la scrittura musicale lavora sulla ripresa di temi già ascoltati, allo stesso modo la madeleine che Proust inzuppa nel tè stimola l’affiorare di ricordi sprofondati nel passato’ (3). L’ombra di Debussy si cela nell’incarnazione dell’immaginario Vinteuil e nella ricorrenza quasi ossessiva del settimino, plasmato su La mer. La composizione della raccolta è un atto di devozione nei confronti della figlia bambina, adorata e desiderata. L’attaccamento del padre assume quasi i tratti di una sottomissione, come si evince dalla dedica (4). L’amore paterno si trasforma nel dominio della piccola verso i sostituti-simulacri rappresentati dai pupazzi che costellano il suo immaginario infantile. Ritorneremo più avanti su questo aspetto. Per il momento basterà osservare come anche in questo caso le istanze di origine psicanalitica giocano un ruolo determinante nel delineare un quadro aderente alla realtà dei fatti. Padre-Figlia costituisce un binomio che è soprattutto una polarità non priva di scarti, istanze sottaciute, desideri inespressi.

Jimbo’s Lullaby, pupazzi, clownerie e figure paterne

Già in Jardins sous la plui, contenuto nelle Estampes (1903), Debussy aveva utilizzato materiale tratto dalle filastrocche per bambini – Dodo, l’enfant do e la canzone per fanciulli Nous n’irons plus au bois – ma è solamente con i Children’s Corner che Debussy entra con prepotenza dentro l’immaginario infantile (5). L’edizione con dedica è accompagnata dal logo di un elefantino di pezza, Jimbo, fido compagno di giochi che la figlia bambina di Debussy aveva composto da pupazzi, bambole e oggetti animati-simulacri? La funzione simbolica di simulacri non esclude la loro utilizzazione in un contesto fortemente caratterizzato dalla presenza di elementi che rimandano a una dimensione a-logica, pre-umana. La carrellata di fantocci è sintomatica di un predominio della bambina su un mondo subalterno, perfettamente dominabile e controllabile. I simulacri sono agli ordini di una ragazzina che ne dispone a suo piacimento. Le connotazioni di dominio si caratterizzano specialmente nell’estrazione bassa e subalterna dei pupazzi: sono entità inferiori, di colore, alcune storpie, deformi. Volendo spingere il paradosso fino alle estreme conseguenze, si potrebbe dire che il dominio della fanciulla sui suoi pupazzi riflette l’ideologia dominante della politica occidentale dell’exploitation. Anche il suo è un depredare. E in questo contesto la negritudine di Golliwog, fantoccio-bambina, è il concentrato di una entità ridotta a mero strumento di divertimento in virtù proprio del colore della pelle: un carattere che non fa che accentuarne l’inferiorità. Il mondo di Chouchou è una costellazione di dominati: il piccolo pianista costretto alla ripetitività di esercizi giornalieri sotto l’occhiuta vigilanza di un maestro-carceriere, l’elefantino che, nonostante la dolcezza, è anche lui costretto a fungere da parodia di sé stesso, la bambola congelata in una fissità da reclusa. Solo il pastorello costituisce un elemento destabilizzante. La sua dimensione mitica e arcadica lo proietta fuori dal raggio d’influenza della bambina, in virtù della sua natura divina. Il pastorello rappresenta un centro di forza che polarizza gli opposti, annullandoli. Ma l’immaginario di cui si nutre è lo stesso che ha alimentato lo stesso Debussy. Il riferimento a Syrinx e all’Après midi d’un faune è immediato. Se i pupazzi restano entità subalterne e sfruttate, il pastorello gode di un’autonomia che lo svincola dall’essere un mero giocattolo e lo proietta in un universo che rimanda a quello paterno. The little shepherd è un fauno che condivide molte delle caratteristiche di un’altra creatura silvana, Peter Pan, ma che fa anche scattare inesplorate ramificazioni verso il mondo della paternità. Il pastorello fa parte dell’immaginario simbolico-mitico di Debussy stesso, è la fascinazione per un Mediterraneo libero regno del mare e popolato da figure mitologiche – il Fauno in primis. Insieme a Parnassus, The little shepherd è dove la psicanalisi trova modo di sfogarsi. Il piccolo pianista vessato potrebbe rimandare al vissuto stesso di Debussy che si rivede intento nella pratica quotidiana di scale, esercizi e diteggiature. Il duo composto da allievo-maestro getta luce sul rapporto padre-figlio. Senza addentrarci troppo lungo sentieri scivolosi, questa polarità sta forse a indicare un’intromissione inconscia del compositore nel mondo della figlia. All’interno della raccolta possiamo isolare due entità tematiche che si contrappongono e si definiscono: il mondo di Chouchou con il suo dominio e quello di Debussy bambino. Il tutto immerso nella dimensione spezzata di The snow dancing, con il controtempo che opera e genera fratture all’interno del tessuto narrativo e temporale, come cifra conclusiva di questo mondo sincopato.

Immaginario letterario e musicale: specificità e differenze

Children’s Corner è la realizzazione di un desiderio: far felice una figlia a lungo desiderata e farla divertire con la musica. Debussy parla in queste composizioni di un desiderio, quello di paternità, a lungo perseguito e agognato. Il progetto che ne risulta è un esempio di come un sistema di segni particolare, quello musicale, riesce a rendere sfumature e sottigliezze facendo affidamento alle proprie peculiarità. Debussy fa ricorso a un codice, quello musicale, che naturalmente ha forti addentellati con quello linguistico, ma che allo stesso tempo gode di uno statuto del tutto particolare. Un codice complesso che non solo fa riferimento al contesto culturale – segnatamente gli impressionisti in pittura e l’estetica simbolista in letteratura – ma che soprattutto mette in campo le specificità del proprio linguaggio. Un linguaggio che, onnicomprensivo e predominante a partire dall’antica Grecia, ha subito una complessa evoluzione tanto da essere riassorbito in una sorta di subalternità sotto l’egida dell’imperativo del segno linguistico nel corso del Novecento. Tutti i codici sono stati subordinati al codice linguistico che ne diventava per così dire la matrice (6).

L’intento, dunque, di Debussy è quello di preservare al segno musicale una sua centralità, una specificità che lo proietti verso la pura dimensione del sentire, dove ogni cosa si traduce in puro percettivismo. Il percorso del compositore si nutre di un incontro tra istanze sonore e percettive che spesso sconfina nell’indicibile. Il segno musicale, a differenza di quello linguistico o pittorico, in virtù della sua intrinseca astrattezza non distingue tra forma e contenuto. I due piani si confondono e la traduzione del materiale sonoro in sensazioni visive si risolve spesso in una approssimazione evanescente. Ma allo stesso tempo la lezione del simbolismo e dell’espressionismo contribuisce a rendere la materia sonora perfettamente adeguata nella resa del disegno concettuale che sta dietro il mondo di Chouchou.

NOTE

(1) Claude Debussy, I bemolli sono blu. Lettere 1884-1918, Archinto, 2012.

(2) A Reynaldo Hahn, Proust scriveva di Debussy in relazione al Pélléas et Mélisande che ascoltava direttamente dalla sua stanza con il servizio ad abbonamento del teatrofono dall’Opéra Comique e cantata da Perrier e Maggie Tayte. Preferiva le parti orchestrate che lo lasciavano respirare, liberandolo dal tormento dell’asma. Nella Recherche – e specificatamente in “Sodoma e Gomorra” – è sempre alla stessa opera a cui si accenna, in riferimento ai gusti musicali della Marchesa di Chambremer e della giovane nuora Marchesa Chambremer-Legrandin. Nella Sonata di Vinteuil, infine, che contrappunta l’amore di Swann per Odette, ci sono sicuramente echi e riferimenti a Debussy.

(3) Andrea Malvano, Claude Debussy, La mer, Albisani Editore, 2011, p. 61.

(4) La dedica è la seguente: “A ma chère petite Chouchou, avec les tendres excuses de son Père pur ce qui va suivre. C.D”.

(5) L’incursione di Debussy nel fanciullesco aveva già alle spalle, specie nell’Ottocento, un repertorio più che consolidato – Le scene infantili e L’album per la gioventù di Schumann, o La camera di bambini di Musorgskij.

(6) Cfr. Umberto Eco, Il codice del mondo, Prolusione svolta in apertura del XIV congresso della Società Internazionale di Musicologia (Bologna, 27 agosto – 1 settembre 1987), poi in Intersezioni,VIII, 2, 1988.

NOTIZIE BIO-BIBLIOGRAFICHE SULL'AUTORE

Tiziano Mario Pellicanò si è laureato in Lettere con Giulio Ferroni all'Università di Roma "La Sapienza". Si occupa di Letterature comparate e critica letteraria, in particolare del periodo storico tra la fine dell'Ottocento e i primi del Novecento. Ha pubblicato, oltre a interventi in varie riviste specializzate: Identità e mascheramento in Proust, in AA.VV., And love finds a voice of some sort, Roma, Carocci, 2020; Albertine e i fiori di syringa, Edizioni Scientifiche Italiane, Napoli, 2022, e il romanzo Villa Lysis, Abrabooks, 2021. In preparazione il volume: Le rose di Eliogabalo. Identità, Trasgressione, Marginalità: incursioni nella letteratura moderna (1850-1915).
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