(Redazione) - Speciale "I Romantici" - "Il Romanticismo Spagnolo - José Ignacio Javier Oriol encarnacion de Espronceda y Delgado" di Vito Davoli

 
 
di Vito Davoli
 
THEODORE GERICAULT - UN CAVALLO DA TIRO

I Romantici hanno aperto sulla nostra contemporaneità, hanno coniato mutamento radicale del modo di sentire e pensare mondo.
La Redazione de Le parole di Fedro ha progettato uno Speciale sui Romantici mettendo a fuoco taluni aspetti di Autori del XIX sec. Ad una fase di progettazione redazionale è seguita la stesura relativa agli Autori che ognuna/o ha proposto. Ne è nata una tavolozza di sguardi su quest’epoca e le sue innovazioni. Nulla di esaustivo ma, tutto nel segno del piacere della condivisione con Lettrici e lettori di Le parole di Fedro.
 
La Redazione de Le Parole di Fedro
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Dedico questa riflessione al poeta ispano-peruviano Alfredo Pérez Alencart
che mi ha offerto la possibilità di conoscere e vivere
la città di Salamanca in ogni suo anfratto


Espronceda: voce del verbo “Romanticismo”
Il dialogo continuo fra classicismo e nuove istanze
 

Nessuna figura di poeta, scrittore, letterato o – a maggior ragione, come si vedrà più avanti – di intellettuale del primo Ottocento iberico potrà mai essere compresa a pieno senza che sia calata profondamente all’interno del contesto e della temperie politica e culturale che, in quel preciso periodo, viene lentamente e peculiarmente a modularsi e svilupparsi in Spagna. Il romanticismo spagnolo, infatti, segue un percorso appena differente da quanto accadeva nel resto d’Europa e questo percorso finisce inevitabilmente anche per influenzare i temi, i soggetti e le sfumature, più o meno intense, che esso assunse nella penisola iberica e, in specie, in Spagna dove è comunemente ritenuto si attesti tardivamente rispetto al resto del continente.  
La condizione della letteratura spagnola di inizio Ottocento sembrerebbe piuttosto “palustre” e stagnante, incapace o impossibilitata a recepire tutti i nuovi fermenti culturali che invece germogliavano in Europa. Le guerre per l’indipendenza contro Napoleone e soprattutto le censure e le persecuzioni a cui aveva dato vita il regime assolutista di Ferdinando VII (1784-1833), aveva spinto gran parte dell’intellighèntzia ad abbandonare il paese e a farvi ritorno solo a partire dagli anni Trenta del secolo: paradossalmente fu anche il modo più rapido che consentì alla classe intellettuale di entrare in contatto e fare proprie le nuove istanze culturali che nel continente, Germania e Francia in primis, andavano organizzandosi sotto il nome di Romanticismo. Tuttavia, al loro rientro, questa classe colta e liberale non trovava un terreno del tutto arido rispetto alle nuove correnti culturali. Vero è che con la morte di Ferdinando VII e la scomparsa di certi diktat e divieti, si era venuto a creare un qualche clima favorevole alla ricezione e alla meditazione di e su certi nuovi temi e istanze già in territorio nazionale ma è altrettanto vero che, anche in virtù di un certo tipico e radicato conservatorismo politico e letterario spagnolo, «tanto sul terreno della critica quanto nel più vasto campo della produzione letteraria, il movimento romantico assume immediatamente un carattere suo particolare; anzi si moltiplicano, da ogni parte, gli inviti a comporre opere di carattere nazionale e si ambisce subito, non senza punte di xenofobia, a distinguere la letteratura romantica spagnola da quella degli altri paesi d'Europa»1. Una delimitazione identitaria così netta e rapida non sarebbe stata certamente possibile se già preliminarmente l’humus culturale nazionale non avesse intrapreso un percorso di osservazione e meditazione rispetto alle nuove proposte letterarie sulle quali si andava innestando il Romanticismo stesso.
Senza approfondire in questa sede la pur fondamentale esperienza de El Europeo nell’ambito della cultura spagnola del tempo (per la quale si rimanda al bel testo di Ermanno Caldera2 sopra citato), basterà qui sottolineare come le istanze di libertà artistica e di insofferenza alle regole, ascrivibili a caratteristiche tipiche del Romanticismo, trovino in realtà, non senza qualche forzatura, radici pregresse già nel settecento spagnolo e in specie in quella parte anticlassicista del XVIII secolo che si opponeva al fervore del classicismo al tempo imperante. È il McClelland3 a tentare di fare il punto sulle controversie letterarie settecentesche fra classicisti e anticlassicisti ma, come chiosa il Caldera, «non è ora il caso di discutere sull'opportunità del termine romanticismo applicato a certe manifestazioni della cultura settecentesca; tuttavia è interessante notare come talune argomentazioni dell'anticlassicismo del secolo XVIII rivelino analogie con quelle dei romantici ottocenteschi»4. E aggiunge «C'incontriamo insomma in quel romanticismo perenne di cui discorre il Croce e che molti, troppi forse, hanno considerato come una costante della storia letteraria di Spagna»5.
In questo clima e in questo solco particolare di continuo dialogo fra classicismo e romanticismo, vogliamo collocare la figura di Espronceda, non già a ricusare gli accenti evidenziati dal Caldera quanto, al contrario, a corroborare un atteggiamento di consapevolezza artistica che, più che a porsi nell’alveo della tradizione classicista riesumandome alcuni temi facilmente assorbibili anche dal Romanticismo, tenta invece esattamente l’operazione contraria: evidenziare le punte di classicismo derivanti dalla tradizione per relegarle in un ambito di passata, trascorsa e ormai conclusa esperienza letteraria che lascia il passo alle nuove esplosioni di irrazionalità, mistero, sregolatezza e libertà portate avanti dal Romanticismo. Sarà anche utile, in questa sede, specificare un’importante “dettaglio” rispetto agli studi sul romanticismo spagnolo e alla corretta contestualizzazione di cui una figura come quella di Espronceda dovrebbe godere, tanto più oggi che pare aver pagato un prezzo piuttosto alto in termini di visibilità e memoria. Riportiamo, pertanto, un brano tratto da uno studio di Sergio Arlandis e Agustín Reyes Torres che bene esplicita e spiega alcuni utili passaggi che andranno tenuti in buona considerazione sebbene non approfonditi nello specifico di questo studio:
«stanchi di leggere che il Romanticismo in Spagna era scarso e tardivo per definizione, Martínez Torrón ha sottolineato che "bisogna tenere presente che la Spagna non è arrivata tardi e male alla modernità e che il nostro Romanticismo. era contemporaneo a quello inglese, francese o tedesco, che sono quelli originari. Ciò che si verifica è che il Romanticismo è diverso in ogni paese, per il nazionalismo specifico ad esso associato" (Martínez Torrón, 2006: 15). Tuttavia (e per non radicalizzare erroneamente le sue parole), è pure comprensibile che le difficoltà politiche del paese durante questi anni di sconvolgimento sociale abbiano tagliato alla radice una linea evolutiva che – proprio nelle considerazioni dello stesso Torron – non sarebbe mai andata in coda all’Europa, come alla fine è successo, se non per un percorso diverso e, anche, dissidente. E questo dibattito, così immerso nella valutazione di ciò che si intende per romanticismo spagnolo e per la natura bifacciale del suo sviluppo nelle lettere spagnole, ha colpito direttamente uno dei massimi rappresentanti di quel periodo, perché se il romanticismo spagnolo ha finito per essere considerato come passivo ricettacolo dello spirito romantico europeo, di stirpe più pura e rivoluzionaria (per convinzione e non per moda), l'opera di Espronceda è stata messa in secondo piano, per la sua novità contestuale e per la sua trascendenza letteraria»6.
Prenderemo in esame, pertanto, l’opera nella quale meglio riteniamo Espronceda abbia dato vita a questa operazione “evolutiva” sia dal punto di vista contenutistico che – più sorprendente e fascinosamente – da quello stilistico, Lo studente di Salamanca, in relazione anche ad un’altra fra le più celebri opere del romantico spagnolo: La canzone del pirata, precedente alla prima e nella quale le punte di classicismo, pur presenti, non sono ancora maturate in una consapevolezza letteraria che ne faccia qualcosa di più di una matrice e radice culturale a cui fare riferimento, così come accade per i primi accenni al classicismo contenuti nella prima produzione dell’Espronceda del Pelayo. Prima però sarà opportuno brevemente concludere quell’accenno iniziale alla cornice tematica del Romanticismo e in specie dell’elaborazione spagnola dello stesso. Va subito detto che, così come tardi arrivò, parimenti presto scomparve (almeno in senso strettamente riassuntivo dal momento che la discussione sul romanticismo spagnolo, così come quella sulle matrici byroniane della Canción del pirata, a cui accenneremo più avanti, resta ancora aperta7) cedendo il passo al successivo Realismo; ma pure in quel caso è peculiare e singolare lo sviluppo della storia letteraria spagnola se consideriamo – molto rapidamente – che il costumbrismo, più tipico della prosa, nato da una costola proprio del romanticismo e delle sue istanze libertarie nella critica del corpo sociale da un punto di vista più liberamente individualistico, fini per essere la fonte vitale del successivo realismo che ne soppiantò ogni istanza. La creatività, l’ibridazione, la spontaneità, sulla scorta anche di un recupero dell’immaginario del periodo medievale e del Siglo de oro, sono quei binari su cui si muove il nuovo Romanticismo in contrapposizione alla razionalità, all’ordine, alla misura che avevano idealmente nutrito le precedenti idee illuministe e neoclassiche. L’espressione dell’individualità e la legittimità delle emozioni umane, anche irrazionali e violente, fino ad allora sacrificate sull’altare della centralità della società come soggetto collettivo, vengono in auge in modo dirompente se, come scriveva Agustín Durán8, «la poesía no es otra cosa que el modo ideal de expresar los sentimientos humanos»9. Insomma la letteratura non può né deve più porsi l’obiettivo di educare, quanto piuttosto quello di fornire uno strumento – “ideal”, appunto – per esprimere sé stessi e per affermare la propria libertà in una società che a lungo ha tentato di soffocarla. Va da sé che l’esplorazione e l’approfondimento dell’animo umano non può permettersi di tralasciare anche i suoi aspetti più oscuri quali l’irrazionalità, la fantasia, il mistero, la follia fino ad arrivare alla morte, sfumature in virtù delle quali meglio si comprende la matrice medievale e barocca. E si comprende altresì come, nel percorso evolutivo romantico, l’accentrare l’attenzione sull’individuo porti inevitabilmente a concentrarsi su figure umane singole, sebbene ancora tipi sociali, fino ad arrivare ai reietti, a coloro che vivono ai margini della società o completamente al di fuori di essa, come la figura del pirata. Il passo verso il Realismo ormai è breve. Dove meglio lo scandaglio dell’animo umano può trovare elaborazione e compimento è di certo l’ambito legato al teatro e alla poesia. Tralasciando, in questa riflessione, il primo, sarà opportuno concentrarsi sulla poesia, della quale il romanticismo spagnolo assume tra i massimi rappresentanti da un lato Gustavo Adolfo Bécquer (1836-1870) più concentrato sui temi dell’amore, dell’introspezione psicologica e su una lirica intimista e dolorosa e, cronologicamente prima di lui, fra gli altri, il nostro José Ignacio Javier Oriol Encarnación De Espronceda y Delgado (1808-1842), più sinteticamente riconosciuto come Espronceda. E sulle sue due poesie citate pocanzi ci soffermeremo non senza un breve accenno alla biografia dell’autore, raramente così aderente e collimante, almeno nella fase iniziale, con alcune figure letterarie di sua stessa creazione al punto da far notare a parte della critica quasi una sovrapposizione fra le due: il pirata innanzitutto.
Emblema di libertà assoluta e paradigma di insofferenza alle regole, il pirata è colui A quien nadie impuso leyes, con la sua vita avventurosa lontana dai codici e dai sistemi sociali; personaggio e protagonista che sembra incarnare il romantico della prima ora e delineare la figura archetipica che tenta di tradurre e rimodulare le pulsioni anche contraddittorie all’interno della natura del romanticismo spagnolo. Evidentemente, quest’ultimo per quanto già sopra accennato, complesso e ancora confuso, con grandi contraddizioni che vanno dalle idee rivoluzionarie al ritorno della tradizione cattolica e monarchica. In merito alla libertà politica, alcuni la interpretarono semplicemente come la restaurazione dei valori ideologici, patriottici e religiosi che i razionalisti del XVIII secolo avevano cercato di sopprimere. Non Espronceda che, a soli 15 anni fonda una società segreta per vendicare la morte del generale liberale Rafael Del Riego. Esperienza che gli valse la deportazione a Guadalajara, periodo durante il quale cominciò a comporre il Pelayo, un poema epico sulla conquista musulmana della Spagna, rimasto incompleto ma pur sempre interessante nell’ottica di quanto andiamo sottolineando in questa sede. Già nella sua primissima produzione Espronceda fa riferimento ai classici10 – diremmo inevitabilmente, dal momento che quella temperie risultava dominante prima dell’attestarsi del romanticismo – che andrebbero considerati come punto di partenza di una evoluzione tanto stilistica quanto contenutistica che lo porterà all’elaborazione definitiva delle stesse tematiche proprio ne Lo studente di Salamanca. Valga per un attimo, a titolo esemplificativo, soffermarsi sulle matrici letterarie che il Moreno sottolinea a proposito di alcuni versi del Pelayo: un passaggio
«che consideriamo senza dubbio mutuato da Virgilio, è quello che possiamo osservare nel Pelayo III, 30 quando si narra la morte di un campione per mano del figlio di don Rodrigo, il giovane Sancho, paradigma di virtuoso guerriero che, come Palante nell'Eneide, cerca la gloria in battaglia. Dice così:
Y audaz tirando de la cruda espada,
que cual cometa, cuando deja el lecho del mar, resplandeció desenvainada,
la esconde toda en el alarbe pecho.
De los disueltos miembros huye airada, dando un gemido de mortal despecho, aquel alma feroz, y vuela impía
del negro Averno a la región sombría.

Si tratta di versi che riproducono, con un'amplificazione consistente all'interno di una similitudine, gli ultimi tre versi dell'Eneide:

hoc dicens ferrum aduerso sub pectore condit
feruidus; ast illi soluuntur frigore membra
uitaque cum gemitu fugit indignata sub umbras

Come si può osservare in entrambi i testi, la spada «si nasconde» nel petto del guerriero nemico; le «membra» del caduto «si dissolvono»; lo «spirito vitale» esce dal corpo con un «gemito indignato»; e, infine, «va verso l'inferno», chiamato «regione tenebrosa». Il debito di un testo con un altro è totale.

Questi stessi versi sono ripresi dal Tasso nella Gerusalemme, XVIII, 89:

Lasciâr gemendo i tre spirti maligni
l’aria serena e ‘l bel raggio celeste,
e sen fuggîr tra l’ombre empie infernali.

E dall’Ariosto nell’ultima ottava dell’Orlando Furioso:

E due e tre volte ne l’ orribil fronte,
alzando, più ch’ alzar si possa, il braccio,
il ferro del pugnale a Rodomonte
tutto nascose, e si levò d’ impaccio.
Alle squalide ripe d’ Acheronte,
sciolta dal corpo più freddo che giaccio,
bestemmiando fuggì l’alma sdegnosa,
che fu sì altiera al mondo e sì orgogliosa.

Ci si chiede, dunque, da quale fonte abbia preso la scena Espronceda. Se confrontiamo le tre serie di versi, non c'è dubbio che a chi il nostro poeta si avvicina di più è a Virgilio»11. Prosegue il Moreno in una serie di analisi comparative del testo del Pelayo e delle matrici classiche di riferimento che, al di là della semplice citazione, non ci sembra abbiano ancora raggiunto quel grado di consapevolezza che porterà Espronceda prima ad isolarle e poi, da romantico maturo, a liberarsene letterariamente proprio nello Studente di Salamanca, non senza passare attraverso un testo “intermedio” quale fu La Canzone del Pirata. Si rimanda, per il resto delle comparazioni, al testo originale del Moreno. 
Proseguendo, invece, con le note di una biografia piuttosto movimentata, Espronceda viaggia per tutta Europa: Portogallo, Belgio, Paesi Bassi, Francia e Inghilterra; partecipa ai moti rivoluzionari del 1830 per poi tornare in Spagna alla morte di Ferdinando VII insieme ad altri liberali amnistiati. Lungo tutta la sua vita si susseguirono carcerazioni ed espulsioni a causa delle sue idee, le stesse che lo portarono anche a dedicarsi alla politica e al giornalismo: nel 1841 fu nominato segretario del consolato spagnolo all'Aia; poi eletto deputato progressista ad Almería e infine parlamentare per il Partido Progresista. La vita evidentemente di colui A quien nadie impuso leyes come si legge proprio nel Pirata che così recita:

Que es mi barco mi tesoro
Que es mi dios mi libertad
Mi ley la fuerza y el viento
Mi única patria la mar

La mia nave è il mio tesoro
Il mio Dio è la mia libertà
la mia legge, la forza e il vento
La mia unica patria, il mare

Come sosteneva Marrast, «uno dei più produttivi specialisti di Espronceda: "La Canción del pirata è la sua prima poesia romantica [di Espronceda] e la prima poesia romantica spagnola, nel senso in cui si definisce il Romanticismo non come un repertorio di orpelli letterari, ma come una inquietudine morale, religiosa e metafisica, come mancanza di fede e non come una fede, come espressione di una sensibilità dolorosamente eccitata dal sentimento che un mondo intero è ormai tramontato”»12.

La poesia di Espronceda è linguisticamente ricca di aggettivazione, asseconda un certo gusto per l’accostamento di elementi contrastanti e per le minute descrizioni (certamente più evidenti ne Lo studente di Salamanca13) ed è stilisticamente organizzata su un’architettura finemente cesellata di figure retoriche. Si vedano anche solo questi quattro versi appena citati che oltre a sintetizzare una fervida aspirazione alla libertà assoluta, racchiudono in sé una metafora, una similitudine, un’anafora e un parallelismo.

È inevitabile accostare La Canción del pirata a The Corsair di Lord Byron tanto che buona parte della critica parla, studia e approfondisce il cosiddetto byronismo di Espronceda, talvolta in senso esaltante, talaltra denigrante. Ma più che sulle matrici romantiche della Canción, sulle quali sono state scritte innumerevoli pagine di critica, ci preme, in questa sede, ancora una volta sottolineare il costante dialogo fra il romantico Espronceda e le matrici classiche che, anche in questo caso sono ben presenti nell’opera. In merito al byronismo di Espronceda basti qui sintetizzare quanto scrive Tamara R. Williams: «Il fatto che Espronceda sia stato indicato per evidenziare questo tema non sorprende affatto, dato che è noto che la sua Canzone del pirata [sic.] oltre ad essere canzone di pirati è canzone piratesca, cioè disvela diverse somiglianze con due opere precedenti: The Corsair di Lord Byron e L'Ami de la tempete, imitation de Lord Byron»14. Tuttavia, Arlandis e Torres sottolineano come «Sicuramente, uno degli esempi più chiari di questo dibattito lo troviamo nella sempre controversa discussione intorno al byronismo di Espronceda. Una questione che già conta su un ampio elenco tanto di detrattori quanto di seguaci anche coetanei dei due poeti. Per esempio, il critico (e poeta) Marcos Arróniz scriveva nel 1851 un articolo intitolato Espronceda, in cui affermava che il poeta pacense non aveva rivali poetici sul territorio spagnolo e che solo Byron, in Europa, era in grado di raggiungere le sue stesse vette letterarie»15. Ci soffermiamo un po’ di più sui dettagli di questo dibattito, giacché il cosiddetto byronismo di Espronceda16 finirà per investire anche la successiva opera Lo studente di Salamanca il cui protagonista Félix de Montemar finisce per essere tradizionalmente assimilato al Don Juan di Byron. «Fu Robert Marrast – proseguono Arlandis e Torres – a proposito del testo stesso de Lo studente di Salamanca, che cercò di collocare il personaggio esproncediano nella stessa gamma di personaggi di stirpe romantica come il Moro di Schiller, il Robin Hood di Walter Scott, il corsaro e il Lara di Byron, Don César de Bazán o l'Hernani di Victor Hugo (1970:37). In questo senso lo stesso Marrast sottolineava che si doveva superare la dicotomia tra coincidenza e imitazione per una giusta valutazione dell'opera di Espronceda»17.

«Con diez cañones por banda,
viento en popa, a toda vela,
no corta el mar, sino vuela
un velero bergantín.
Bajel pirata que llaman,
por su bravura, el Temido,
en todo el mar conocido
del uno al otro confín.

La luna en el mar rïela,
en la lona gime el viento,
y alza en blando movimiento
olas de plata y azul;

y ve el capitán pirata,
cantando alegre en la popa,
Asia a un lado, al otro Europa,
y allá a su frente Stambul».

È così che comincia La Canción del pirata e già in questi primi 16 versi Antonio Ramajo Caño ritiene di poter identificare un’evidente matrice oraziana nell'utilizzo di una particolare tecnica letteraria che andremo ad accennare, evidentemente mutuata non solo dallo studio diretto dei classici quanto anche da una tradizione spagnola – e diremmo salmantina – che poté rafforzarsi grazie a maestri quali Fray Luis de León18.

Con dieci cannoni per lato
vento in poppa a vele spiegate
non solca il mare, ma vola
un veliero brigantino
Battello pirata che chiamano
per il suo valore Il temuto
conosciuto in tutti i mari
da un confine all’altro

La luna si riflette sul mare
sulla vela geme il vento
ed alza un leggero movimento
onde d’argento e d’azzurro
E vede il capitano pirata
cantando allegro a poppa
l’Asia da una parte, dall’altra l’Europa
e là di fronte Istanbul

Il poeta circoscrive il perimietro in cui situa l’azione e introduce il protagonista, appunto, il pirata. A seguire interverrà il protagonista in prima persona: «Navega velero mío (Naviga, veliero mio)» canterà il pirata «alegre en la popa (allegro sulla poppa)» dando vita a un discorso riassuntivo, una sorta di summa introduttiva di tutto ciò che seguirà nel poema. Una configurazione che al Caño pare precipuamente oraziana.
«In effetti, Orazio si serve più volte di questa procedura nelle sue Odi. Così, in I, VII (« Laudabunt alii claram Rhodon aut Mytilenen »), il poeta loda Tivoli e consiglia a Planco di godere del presente in quel luogo così celebrato; introduce nel versetto 25 un discorso di Teucro19 in cui invita i suoi compagni a degustare il vino prima di partire alla ricerca di una nuova Salamina. In I, XV, Paride porta via mare Elena; nel v. 5 irrompe il discorso del dio Proteo in cui è profetizzata la fine di Troya20. In III, III («Iustum et tenacem propositi virum»), esalta il potere della virtù; essa ha forgiato la gloria di alcuni eroi come Ercole o Romolo; al v. 18, Giunone canta l'eccellenza di Roma (...). In III, XI («Mercuri -nam te docilis magistro»), il poeta desidera l'amore di Lide e per ottenerlo inserisce il discorso di una delle figlie di Danao, Hipermnestra (v. 37), in cui chiede al marito di fuggire e salvarsi dalla morte ordinata dal suo sanguinario suocero. In III, XXVII («Impios parrae recinentis omen»), il poeta augura a Galatea un buon viaggio (...); gli riferisce, nello stesso tempo, i pericoli del mare, attraversato da Europa, guidata dal suo seduttore, Giove; nel v. 34 spunta il discorso della principessa, arrivata già a Creta, in cui lamenta la sua sorte21».
Ma ciò che ancor più sugella la matrice classica è l’utilizzo della cosiddetta priamel (dal latino preambolum) o proemio, un espediente retorico, consistente in un catalogo di concetti e valori o in una rassegna di oggetti ai quali è contrapposto un termine di paragone, del quale si sottolinea la superiorità; un escamotage «in virtù del quale si contrappongono i gusti o le attività di un io con quelli di altri22». Espronceda ne farà ricorso anche ne El mendigo. Nel caso specifico, qui ai versi 35-40, parleremmo della contrapposizione fra l’io del protagonista e los ciegos reyes del secondo verso:

Allá muevan feroz guerra
ciegos reyes por un palmo más de tierra;
que yo aquí tengo por mío
cuanto abarca el mar bravío,
a quien nadie impuso leyes

Laggiù è scoppiata una guerra feroce
Re ciechi, per una piccola parte di terra
mentre io tengo per me
quanto il mare selvaggio abbraccia
insieme a chi nessuno ha imposto leggi

Benché Orazio utilizzi con una certa frequenza questo espediente, è pur vero che non è certo il solo nel panorama dei classici, anche greci (si vedano, ad esempio, Saffo, Pindaro o Bacchilide23) e ci pare che questo rafforzi ulteriormente la nostra idea, evidentemente provata, di ricorso ai classici ma, nel momento in cui si scrive Il pirata, ancora in un rapporto embrionale e di quasi “sudditanza” rispetto agli stessi. Molto diverso sarà quanto accade nel Salamanca. È pur vero che non di pedissequa imitatio si tratti e, in questo senso, è bene sottolineare anche sostanziali differenze fra Orazio ed Espronceda, al fine di avere un quadro complessivo corretto:

«se il latino confinava la sua personalità in piccoli spazi, il romantico presenterà un personaggio che desidera espandere il suo essere per tutto l'oceano; se Orazio diffidava dei viaggi in quanto questi non forniscono pace all’anima e presenta il tema della navigazione come simbolo dei pericoli che la vita riserva quando essa è completamente in mano alla sorte, Espronceda disegna il pirata come anima che ha bisogno della vastità del mare per soddisfare le proprie ansie di libertà. Ma in entrambi c'è un forte desiderio di appartarsi e isolarsi24».

Così come differente, fra i due è il fatto che mentre il poeta latino, nel momento in cui introduce il discorso di un altro personaggio, presuppone un certo pubblico uditorio, qualcuno che stia realmente ad ascoltare, il romantico Espronceda non pare necessitare di un destinatario specifico per un poema pur condotto in forma di discorso, se non – come riteniamo – il lettore stesso. Va da sé che Romanticismo e classicismo si intrecciano in questi versi e continuano – come si diceva inizialmente – a dialogare fra loro: giustamente conclude Ramajo Caño:

La imitatio, certamente non muore con il Romanticismo; tenacemente resiste a scomparire del tutto dalle nostre lettere. La profezia oraziana della sua sopravvivenza tra i lettori di poesia non smette di avverarsi anche in tempi di profonda rivoluzione estetica. Orazio aveva proclamato: «Non omnis moriar» (III, XXX, 6);

Tuttavia la maturità artistica del romantico Espronceda lo porterà a fare un passo avanti nell’utilizzo e nel riferimento ai classici. Senza negare il costante dialogo con gli stessi, gli conferirà – fedelmente a quanto richiesto dai dettami romantici – una posizione ben precisa e delineata che porterà al “sacrificio” e all’annullamento degli stessi pur all’interno di un contesto squisitamente letterario. Sarà Espronceda a porre fine alla profezia oraziana? Si arriva così all’ultima fase della produzione esproncediana, quella nella quale è possibile ascrivere Lo studente di Salamanca, un poema esteso di ben 1704 versi scritto dopo che il Nostro ha ben assorbito le influenze romantiche europee e pubblicato nel 1840: istanze che traduce nel poema in una autentica rivoluzione tanto filosofica quanto stilistica, tanto nel contenuto quanto nella forma. E come non spingersi nell’audacia di mettere mano ai classici se, nell’ottica titanica del protagonista del Salamanca si elegge a massimo avversario nientemeno che Dio? Così, se nel Pirata aveva scritto «Qual è il mio dio? la libertà», ne El diablo mundo25 si spingerà fino a «È un Dio il Dio che strappa la speranza, frivolo, ingiusto e spietato tiranno del cuore dell’uomo, che lo incatena e che a morte eterna il peccator condanna?». È in questo clima e con questa postura che Espronceda arriva al Salamanca, lì dove tutto viene ribaltato, a partire dal protagonista. Altro che il pirata paradigma di libertà assoluta! La libertà assoluta qui diviene hybris al punto che il protagonista finisce per trasformarsi nell’antieroe per eccellenza, con il suo portato di blasfemia e diviene una sorta di Anticristo, un secondo Lucifero che chiama Dio stesso dinanzi a sé a rendergli conto:

«Chiaramente disegnato sulla falsariga del dongiovanni cinico e fascinoso, don Félix incarna uno dei personaggi meglio modellati dell’intero romanticismo europeo. Inizialmente riconoscibile nei panni del seduttore spietato e impavido, in grado di attrarre la bellissima e disarmata Elvira, Montemar − «Segundo don Juan Tenorio, / alma fiera e insolente» − compie, nella quarta e ultima parte del poema, la sua metamorfosi simbolica: si fa prototipo dell’antieroe assoluto26».

Segundo Lucifer que se levanta
del rayo vengador la frente herida,
alma rebelde que el temor no espanta,
hollada sí, pero jamás vencida:
el hombre en fin que en su ansiedad quebranta
su límite a la cárcel de la vida,
y a Dios llama ante él a darle cuenta,
y descubrir su inmensidad intenta.

Secondo Lucifero che s’alza
con la fronte ferita dal raggio della vendetta,
anima ribelle che il timore non spaventa,
battuta sì, ma mai del tutto vinta:
l'uomo che nella sua angoscia infrange
il suo limite al carcere di vita,
e chiama Dio dinanzi a dargli conto,
e la sua immensità prova a scoprire.

Sarà opportuno intanto procedere a una sintesi de Lo studente di Salamanca, un poema narrativo, come s’è detto, di oltre 1700 versi che affronta l’ossessione di un personaggio, il protagonista Don Felix, di voler conquistare ogni donna in qualsiasi situazione e ad ogni costo. È diviso in quattro ampie sezioni nelle quali si svolge una trama che oggi definiremmo piuttosto debole ma che tale è e appare perché evidentemente non la trama è al centro degli interessi letterari dell’autore. Così come i motivi su cui si sviluppa il poema non possono certamente essere considerati originali, mutuati, come sono, tanto da precedenti produzioni quanto dalla stessa tradizione popolare: il mito di Don Juan Tenorio, la follia del protagonista, la visione spettrale del proprio funerale, la sfida a Dio, la donna trasformata in uno scheletro: saranno da ricercare altrove gli elementi di rottura e il diverso modo in cui Espronceda declina il concetto romantico di “libertà”, su un piano diverso e più alto, soprattutto formale. Nel Salamanca vengono completamente ribaltati tutti i dettami aristotelici delle unità di spazio e tempo e tutti i canoni estetici all’epoca imperanti; e già dagli esordi del poema risulta piuttosto evidente il fatto che l’apertura dia luogo a quello che oggi chiameremo cinematograficamente un flash-forward di cui è protagonista la sinistra figura di don Félix de Montemar con la spada sguainata nella calle del Ataúd, nottetempo fra le strade della città di Salamanca. Una novità di rilievo già in apertura giacché la scena appartiene cronologicamente all'inizio dell'ultima parte del testo, quando don Félix ha ucciso don Diego ed è sul punto di veder passare la processione per la sua sepoltura: l'unità di tempo aristotelica è definitivamente rotta, come sarà confermato proprio dall’incipit del poema. Questa prima parte di circa 179 versi, si conclude con la visione fugace di Elvira, follemente innamorata del cinico don Félix, preparando così alla seconda parte nella quale Elvira sarà protagonista.
Quest’ultima ulteriore elemento di assoluta novità in questa seconda parte vede accompagnare i suoi umori e i suoi sbalzi sentimentali da una metrica che di volta in volta si modifica, si contrae o si estende a seconda della circostanza emotiva che accompagna. Caratteristica fondamentale di questa parte è, infatti, proprio uno spiccato gusto per la polimetria che raramente offre un connubio così stretto fra significante e significato e anticipa qui ciò che troverà il massimo compimento nell'ultima parte dove l’abbondanza e l’alternanza metrica la faranno da padrone in una sorta di turbinio formale che accompagnerà il mondo magico e surreale nel quale lì ci si immergerà. Una seconda parte all’insegna della tristezza e della malinconia di Elvira (descritta come la tipica donna eterea del romanticismo ma, come vedremo, innestata in un contesto fortemente neoclassico da un punto di vista formale) e di come lei muoia di follia e di abbandono. La lettera disperata e piena di sentimenti contraddittori che la donna, poco prima di morire, scrive a don Félix, suo amante infedele, concluderà questo capitolo di circa 254 versi mentre lui, innamoratissimo il momento precedente, l’ha già dimenticata in quello successivo per correre dietro alle sue ossessioni di conquistatore incallito.

La terza parte è tutta giocata drammaticamente attorno ad alcuni giocatori di carte fra i quali compare lo stesso don Félix che sarà poi raggiunto e sfidato a duello da don Diego, il fratello di Elvira, che ne vorrà vendicare la morte per il dolore e i patimenti del mancato amore. In questi 258 versi l’impostazione è fortemente drammaturgica e dà luogo a movimenti propri della rappresentazione teatrale, con personaggi che entrano ed escono di scena intrecciando i dialoghi secondo dinamiche tipiche della drammaturgia. Oltretutto, qualche “tinta costumbrista” che si affaccia in questa terza parte, rivela quel percorso di cui si diceva inizialmente, che porterà poi al delta del realismo nel quale sfocerà il romanticismo esproncediano (e non solo) proprio attraverso il costumbrismo mentre qui – altro affascinante paradosso - preparerà la strada, al contrario, alle atmosfere fantastiche e del tutto irreali dell’ultima parte.

Il più corposo e probabilmente il più significativo da diversi punti di vista, se consideriamo i capitoli precedenti finalizzati ad una sorta di funzione proemiale sia contenutistica che formale, è il corpus di 1000 versi che costituiscono quest’ultima parte. Quanto infatti accennato nella seconda parte a proposito di polimetria, qui esplode in un tripudio di variazioni ritmiche, metriche e dinamiche raramente riscontrabile altrove. Se nel corso dell’intero poema si apprezzano, per esempio, la descrizione di don Félix in ottonari a cui risponde la descrizione di Elvira in sublime ottava rima27, nell’ultima parte vediamo alternarsi quartine e cinquine per i monologhi del protagonista il cui percorso per le strade di Salamanca è poi, invece, scandito da versi brevi e brevissimi (anche bisillabi e perfino monosillabi) quasi a onomatopeizzare la cadenza dei passi veloci per le strade della città a cui fa invece da controcanto la lentezza e la scansione del dodecasillabo per la lenta processione funebre. La metrica accompagna e si adatta in maniera straordinaria e del tutto nuova allo svolgersi del tema e dei suoi contenuti al punto di non andare troppo lontano dal vero sostenendo che ne sia una delle protagoniste principali.

In quest’ultima parte il passaggio straordinario è quello di don Félix dal mondo dei vivi al regno dei morti attraverso il semplice assecondare i suoi stessi vizi: tutto preso com’è dal sedurre chiunque gli capiti a tiro, si mette alla sequela di una donna misteriosa dal volto coperto, intento a sedurre anche quest’ultima a tutti i costi. Solo alla fine la donna misteriosa scoprirà il volto rivelando essere la morte stessa e inutile dire che il successo nella seduzione della morte definisce una sorta di ironica ineluttabilità del destino da un lato vicina ai tentativi dei miti classici di sfuggire inutilmente al Fato e dall’altro motiva quei sinistri suoni, risa e tetro humor che si percepiscono per le strade notturne di Salamanca, di chi prende atto della vulnerabilità umana e della inutilità della propria hybris.

«Come è noto, infatti, la dottrina romantica opera come divaricatore tra il principio di imitazione, fino ad allora dominante, e il nuovo principio di creatività che esalta l’attitudine autonomamente conoscitiva dell’imma-ginazione. I teorici del primo romanticismo producono insomma una rottura dei protocolli canonici del sapere: la verità adesso non è attingibile unicamente col tramite della ragione. Anzi, soltanto una familiarità con la potenza creatrice del genio artistico può indicare la via di accesso al conoscere sommo, quello intriso di eternità, di bellezza e d’ultraterreno»28.

Come scriveva Friedrich Schlegel, «I misteri più segreti di tutte le arti e le scienze appartengono alla poesia. Da essa tutto è uscito, ad essa tutto deve rifluire». Vediamo allora come Espronceda ci introduce ne Lo studente di Salamanca. Già l’incipit va molto al di là della semplice funzione proemiale, e bastano poche parole, un solo verso, per introdurre al nuovo significato attraverso la polisemia del nuovo significante: Era más de media noche.

Era más de media noche,
antiguas historias cuentan,
cuando en sueño y en silencio
lóbrego envuelta la tierra,
los vivos muertos parecen,
los muertos la tumba dejan.
Era la hora en que acaso
temerosas voces suenan
informes, en que se escuchan
tácitas pisadas huecas,
y pavorosas fantasmas
entre las densas tinieblas
vagan [...]

Nulla di più indefinito del más de media noche, tanto per ribadire la frantumazione dell’unità aristotelica di tempo, ancor più accentuata dal valore simbolico dell’ora in cui il giorno finisce nello stesso momento in cui comincia il giorno successivo. Ora legata al dubbio, alla paura, all’incertezza con tutto il bagaglio di credenze che eredita dalle tradizioni e dai racconti popolari. Un confine temporale dal quale pare aprirsi un universo parallelo e una realtà alternativa, misteriosa e suggestiva.

«Lo snodo temporale della mezzanotte, il Kairós esproncediano, sembra aprire ad un ambiente onirico, intimamente romantico, in cui ogni aspetto del reale «è meravigliosamente trasfigurato senza per questo cessare d’essere assolutamente credibile» (Davico Bonino, in Coleridge, 2010: 8)»29.

A questo si affianca anche il disfacimento dell’unità di luogo, dello spazio o degli spazi entro cui l’azione si snoda: si passa “disinvoltamente” dal passeggiare fra i vicoli tenebrosi della città di Salamanca alla taverna buia nella quale il protagonista scommette giocando a carte e infine quest’ultimo «percorre i terribili corridoi, eterotopici, della dimora dei morti: una regione letteraria che si situa ben al di là di ogni spazio fisico ordinariamente inteso»30.

«Anche il racconto dello spazio architettonico che fa da sfondo al poema dà mostra di uno slittamento estetico. Il rigore della forma, la semplicità della linea prospettica della costruzione neoclassica, che si svolgeva seguendo uno sviluppo rettilineo e definito, si disunisce adesso, sin dai primi versi, nelle irregolarità delle rovine del castello gotico o nell’intimità tetra del budello della calle dell’Ataúd. L’elegante imponenza delle strutture, elemento costitutivo del Bello neoclassico, lascia il posto ad una prospettiva fantastica e visionaria, alla disarmonia di ambienti oscuri e immaginifici che, poi, nell’ultima parte del testo, consegnano alla lettura i locali della dimora aborrita»31.

Si aggiunga pure la funzione della Natura, ancora una volta nell’ottica di un netto distacco dalla tradizione neoclassica nella quale questa, assolvendo a una sorta di “ufficio” del riflesso dell’animo del poeta, risultava piuttosto statica e idealizzata. In Espronceda essa esplode in tutte le sue manifestazioni di potenza tanto creatrice quanto distruttrice, in forma del tutto indipendente dall’uomo e dai suoi moti spirituali o reali che fossero. Una natura ora tanto inquietante da defluire in un mondo diverso, soprannaturale dove agli idillici panorami si sostituiscono le fosche tinte infernali dell’ultraterreno e le melodie paradisiache e idilliache cedono il passo alla danza degli spettri e al cozzare dei crani.

Ma Espronceda fa di più. Poggiandoci sul valore metaforico e fortemente simbolico del más de media noche in relazione da un lato alla estrema polimetria soprattutto della seconda e dell’ultima parte e dall’altro a quello che abbiamo definito una sorta di flash-forward iniziale, risulta quasi che il poeta abbia voluto dividere gli eventi in due distinti macro-insiemi: il prima e il dopo la mezzanotte. Se l’anticipazione della figura di don Félix all’inizio sarà richiamata e farà riferimento ai fatti successivi alla seduzione di Elvira, è anche vero che al prima della mezzanotte debbano essere riferite tutte le vicende legate alla donna.

«il racconto di quanto accade prima dello scoccare della mezzanotte è difatti interamente riservato alle pene di Elvira, che seppure abbia in sé i segni della nuova figura romantica, lascia comunque trasparire evidenti persistenze di elementi neoclassici. Anche la versificazione che la descrive è caratterizzata da un metro piano e solenne, che lascia assistere alla rappresentazione di una donna, delicata e illusa, immortalata negli attimi del vaneggiamento amoroso; una versificazione in cui si delinea, lampante, il recupero dei temi classici delle illusioni perdute e della fugacità della vita»32.

La Natura che accompagna Elvira è tutt’altro che potente e inquietante. Nelle sue notti abbandonate al dolore per il sentimento non ricambiato, «Está la noche serena / de luceros coronada», mentre la luna, «en su blanca luz süave», inonda il cielo e la terra. Il Leone fa notare, non a caso, che l’ambiente nel quale agisce Elvira è predominato dal bianco in assoluto ossequio tanto al Winckelmann quanto al Pinelli che proprio nel bianco collocavano la sintesi dell’ideale neoclassico “della nobile semplicità e quieta grandezza”33. Attorno ad Elvira dunque si raggruppano e si intrecciano tutti gli elementi che rimandano al precedente neoclassicismo e perfino la lettera alla quale la donna affida le sue pene d’amore risponde, nel metro ad una impostazione tutt’altro che romantica: «Insomma, Elvira cessa di vivere prima dello scoccare della mezzanotte e, con la sua scomparsa, scompare ogni manifestazione di gusto o di “controllo” classici»34.

Ecco la realizzazione consapevole del passaggio definitivo dall’estetica neoclassica all’estetica romantica che ora può dirsi definitvamente compiuto. Ad Elvira viene affidato un patrimonio che con essa muore e così si interrompe defintivamente, in Espronceda, quel continuo dialogo con il classicimo che in questo modo ripiega e ripone in un cassetto che non ci è dato sapere se e come avrebbe rispolverato e in che modo avrebbe potuto essere rinnovato dal genio esproncediano di un giovane romantico rivoluzionario e ribelle, scomparso prematuramente alla giovane età di 34 anni.

¿Dónde estoy? Tal vez bajé
a la mansión del espanto,
tal vez yo mismo creé
tanta visión, sueño tanto,
que donde estoy ya no sé.


________________

NOTE  

1 ERMANNO CALDERA, Primi manifesti del romanticismo spagnolo (Pisa, Istituto di Letteratura Spagnola, 1962)
2 I. L. McCLELLAND, The Origins of the Romantic Movement in Spain, Liverpool, Inst. of Hisp. Studies, 1937
3 E. CALDERA, op. cit., Prefazione, nota 1
4 ivi, pag.7
5 Dal Prólogo a Obras Completas de D. Ángel de Saavedra, Duque de Rivas, Barcelona, Montaner y Simón, 1885, II, p. V.
6 AGUSTÍN DURÁN, scrittore e bibliotecario spagnolo (1789 – 1862), considerato dalla critica contemporanea e successiva il maggior ispiratore e fautore del rinnovamento del teatro romantico spagnolo, così come “codificato” nel suo Discorso sopra l'influsso della critica moderna sulla decadenza del teatro antico spagnolo.
7 1923 – 2004, ispanista italiano, docente di Lingua e Letteratura Spagnola prima nell’Università di Genova poi in quella di Torino, sua città natale. Successivamente Professore Emerito, fondò e diresse il Centro Internacional de Estudios sobre el Romanticismo Hispánico e fu Presidente dell’Associazione degli Ispanisti Italiani.
8 « Se trata, en definitiva, de un debate aún no cerrado del todo», ivi, pag.. 171.
9 SERGIO ARLANDIS y AGUSTÍN REYES TORRES, De lord byron a José de Espronceda: imagen y espíritu romántico en la figura del pirata, in «UNED. Revista Signa» 27 (2018), pag. 173. La traduzione è del sottoscritto.
10 ANTONIO RAMAJO CAÑO, El sustrato horaciano en un poema romántico: La Canción Del Pirata de Espronceda, Universidad de Salamanca, in AEF, vol. XXVI, 2003, pag. 327.
11 «Ad una prima lettura potrebbe passare inosservata qualsiasi relazione tra l'opera in questione e l'epica classica: in primo luogo, questi versi sono ambientati in un'epoca tanto cara ai romantici qual era il Medioevo; in secondo luogo, il tema - la caduta in mano agli arabi del regno dei Goti e l'inizio della cosiddetta Reconquista ad opera di don Pelayo, è tipicamente ispanico, e non è ispirato da nessuna questione classica. Tuttavia, ci sembra che, nonostante questa apparente distanza, esista più di un punto di contatto: da un lato crediamo che alcuni versi dell'Eneide abbiano agito come fonte diretta di altri del Pelayo; d'altra parte, rinveniamo reminiscenze dirette di una scena dell’Iliade; infine, pensiamo che due momenti dell'Eneide servano da modello ad Espronceda per comporre altrettanti versi del suo Pelayo»: GUILLERMO ALONSO MORENO, La épica clásica en el Pelayo de Espronceda, in «Cuad. Filol. Clás. Estudios Latinos 2001», n.º 21, pag.197. La traduzione è del sottoscritto.
12 ivi, pagg. 201-202. La traduzione è del sottoscritto.
13 TAMARA R. WILLIAMS, Literatura al Segundo grado: literariedad y compromiso social en El diario que a diario, in NICOLÁS GUILLÉN, Hispacidad, Vanguardia y compromise social, M. Barchino, M. Rubio (a cura di.), 471-482, Universidad de Castilla-La Mancha, 2004. La traduzione è del sottoscritto.
14 S. ARLANDIS y A. R. TORRES, De lord byron cit, pag. 174.
Così scrive Arróniz: «Si può dire giustamente che Espronceda è il Byron di Spagna: vedete, la stessa bellezza fisica, lo stesso talento prezioso, la stessa sensibilità ardente, la stessa audacia e energia, la stessa vita sfrenata e l'identico entusiasmo per l'immenso, che è ciò che spinge uno a combattere per la Grecia e l'altro ad offrire il suo braccio in difesa della oppressa Polonia», (Apud. Campos, 2007: 40). Le traduzioni sono del sottoscritto.
15 S. ARLANDIS y A. R. TORRES, De lord byron cit, pag. 177.
Così scrive Marrast: «Confrontare alcuni aspetti letterari o stilistici puramente formali costituisce un'analisi superficiale, poiché si riduce il tutto a un semplice mimetismo che in realtà risponde ad una visione del mondo in gran parte comune ai due scrittori che, sebbene si esprimano con mezzi che inevitabilmente hanno alcune somiglianze tra loro, è vero anche che non basta prendere atto di essi per esporre argomenti a favore o contro l'originalità di Espronceda», (1989b: 59). Le traduzioni sono del sottoscritto.
16 Si veda in proposito il volume tematico di ESTEBAN PUJALS, Espronceda e Lord Byron, Consejo Superior de Investigaciones Científicas, 1951 - 510 pagine
17 Sulla imitación che Fray Luis de León opera della tecnica oraziana, Antonio Ramajo Caño rimanda a Ramajo (1984: 319-320) e a Cristóbal (1994: 186-187).
18 Teucro è figlio di Telamone, re di Salamina. Per essere tornato da Troia senza suo fratello Aiace,
viene espulso dall'isola natale. A Cipro, con i suoi compagni, fonderà un'altra Salamina.
19 A. RAMAJO CAÑO, El sustrato horaciano cit., pag. 327.
20 ivi, pag. 328
21 ivi, pag. 329
22 SAFFO, fr. 16 Voigt: «Dicono alcuni sulla nera terra / esser la cosa più bella uno stuolo / di navi, altri di fanti o cavalieri. / Io, ciò che ami. » (trad. SILVIO RAFFI) o ancora nel fr. 14 V. «di lei vorrei vedere l’amabile incedere / e il fulgore splendente del volto / piuttosto che i carri dei Lidi e i fanti / che combattono in armi»; PINDARO, fr. 221 Snell-Maehler «Degli onori e delle corone conseguite con i cavalli rapidi come il turbine alcuni si rallegrano; altri della vita nei talami festosi; altri ancora gode di fendere con la nave veloce le onde del mare …»; BACCHILIDE, 10, 35 ss., Snell-Maehler «Chi cerca una via chi un’altra per arrivare alla gloria che innalzi tra gli uomini. Infiniti sono i mestieri dei mortali: uno fiorisce d’aurea speranza perché sapiente o perché ha ottenuto l’onore delle Grazie o perché è esperto nell’arte divinatoria; un altro sui fanciulli tende l’abile arco; altri prendono diletto nei lavori ed occupandosi di mandrie di buoi. Il futuro porta eventi che nessuno può distinguere in anticipo, così da sapere dove penderà la fortuna. La più bella sorte è quella dell’uomo valoroso che sale nell’ammirazione di molta gente. Conosco pure il grande potere della ricchezza, che dà valore anche all’uomo che non vale nulla …».
23 A. RAMAJO CAÑO, El sustrato horaciano cit., pag. 331.
24 GIUSEPPE LEONE,”Era más de media noche”: soglie di tempo e momenti di trasformazione estetica. Variazioni di stile in José de Espronceda, in «Artifara», 12, Contribuciones, 2012, pag. 60.
25 L’ottava (anche ottava toscana) è una strofe, o stanza, di otto endecasillabi rimati secondo lo schema ABABABCC (tre distici di endecasillabi a rima alternata e un distico finale a rima baciata). L’ottava rima (o semplicemente ottava) costituisce, con la terza rima, la forma ‘discorsiva’ (cioè non lirica) più diffusa della tradizione italiana, tipica in particolare della poesia narrativa (Beltrami 20024: 109-112, 321-324). In ottave sono composti, tra l’altro, i grandi poemi della tradizione cavalleresca (Praloran & Tizi 1988; Praloran 2003), dall’Orlando innamorato del Boiardo, all’Orlando furioso dell‘Ariosto e alla Gerusalemme liberata di Torquato Tasso (Fonte: Treccani).
26 G. LEONE, Era más de media noche cit., pag. 61.
27 El Diablo Mundo è un’opera iniziata nel 1839 e rimasta incompiuta. Tra i poemi più interessanti e ambiziosi di Espronceda, è un canto di ribellione contro il sistema e contro le leggi che governano il mondo. Un mondo percepito come caotico e avvolto nella disperazione dove non c’è spazio per la purezza e l’innocenza. Il profondo pessimismo della maturità del poeta, il pessimismo del rivoluzionario romantico, lo porterà alla rassegnata conclusione che per la tanto amata libertà che tante sublimi pagine e versi aveva appassionatamente generato, non c’é alcuno spazio nel mondo. Inevitabile che anche la voce del politico venga fuori in questo poema: condanna i conservatori ma possiede anche e ancora una forte carica metafisica e simbolica, esplora temi come l’esistenza di Dio concludendo che il male si trova ad ogni angolo, anche nei cuori degli uomini. La società è stata corrotta dall’ipocrisia e dall’incapacità di empatizzare con il dolore altrui.
28 ivi, pag. 59.
29 Ne El estudiante de Salamanca, ci troviamo più vividamente di fronte «ad aggettivi che romanticamente esprimono smania o stupore, violenza o orrore: «fatídico, espantoso, lúgubre, oscuro», o ad attributi portavoce di indeterminatezza: «lábile, flotante, incierto» o di ribellione «fiero, impío, insolente, irreligioso» o, infine, a processi accumulativi che definiscono l’atmosfera irrequieta e cupa propria del nuovo movimento: «grandiosa, satánica figura», «tremendo, tartáreo ruido», «veloz, vertiginoso movimiento»: GIUSEPPE LEONE,”Era más de media noche”: soglie di tempo e momenti di trasformazione estetica. Variazioni di stile in José de Espronceda, in «Artifara», 12, Contribuciones, 2012, pag. 63.
30 ivi, pag. 63.
31 ivi, pag. 64.
32 ivi, pag. 65.
33 ibidem
34 ibidem 
 
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NOTE BIO-BIBILOGRAFICHE
Vito Davoli (Bari, 1973) è scrittore, poeta, giornalista e critico letterario; è laureato in Lettere Classiche ed è stato insegnante nelle scuole superiori. Suoi scritti e contributi sono stati pubblicati, in numerose riviste, antologie, raccolte e periodici sia nazionali che internazionali. Già redattore de “La Vallisa” è stato corrispondente per “Liberazione” (Roma) e co-fondatore de “Le Passioni di Sinistra”. Ha curato diverse antologie sia in Italia che all’estero, tra le  quali ricordiamo la multilingue d'amori, di delitti, di passioni curata insieme all'editore romano Beppe Costa (con il quale ha coordinato anche la collana “Inediti Rari e Diversi”, curata da Dario Bellezza fino alla sua morte), e la storica SignorNò, nelle edizioni 2022 e 2023 curate insieme a Marco Cinque (Il Manifesto), Con quest’ultimo anche la più recente antologia solidale Il buio della ragione. Della sua opera d'esordio, del 2001, Contraddizioni, applaudita da critica e pubblico, se ne sta attualmente traducendo la versione spagnola. Tra le sue ultime pubblicazioni, Carne e sangue (tabula fati 2022); Diario di un buonista, (leucò 2022), un pamphlet in forma di dialogo sui temi delle migrazioni dei diritti e del nazionalismo, In un pugno di rabbia, plaquette bilingue italo-rumena (Cosmopoli, Bucarest 2024) e la più recente raccolta in lingua castigliana di saggi provenienti da tutto il mondo ibero-americano sulla produzione del poeta ispano peruviano Alfredo Pérez Alencart dal titolo La carne y el espiritu (Trilce Ediciones, Salamanca, Spagna 2023). Ha fondato la giovane rivista Pubblicazioni Letterariæ e coordina con Guido Oldani la pagina italiana del World Poetry Movement. è fondatore e presidente dell’APS Verso Levante, proprietaria della testata letteraria La calce & il dado di cui è vicedirettore.



 
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