Piccole riflessioni su dei "pensieri" di René Char - di Sergio Daniele Donati

 

Scriveva il grande poeta francese René Char nelle sue più brevi produzioni poetiche

    Mon amour, peu importe que je sois né: tu deviens visible à la place où je disparais.
(Amor mio, poco importa che io sia nato: tu divieni visibile nel luogo in cui io sparisco 
- trad. di Sergio Daniele Donati)

e poi ancora, altrove, 

    La poésie est de toutes les eaux claires celle qui d'attarde le moins aux reflets de ses ponts.
    Poèsie, la vie future à l'intérierur de l'homme requalifié.
(La poesia è, tra tutte le chiare acque, quella che meno si attarda sui riflessi dei suoi ponti./Poesia, la vita futura nell'interiorità dell'uomo riqualificato
- trad. di Sergio Daniele Donati).

Volendo azzardare una sovra interpretazione e immaginare che, nonostante il mon amour iniziale, anche la prima composizione di parola poetica tratti, mi è parso di poter tracciare tra questi due pensieri una linea di demarcazione importante per l'annosa questione degli elementi costitutivi del dire poetico.
Sono conscio, per l'appunto, che ciò che andrò a dire è molto influenzato da ciò che risulta essere il mio più intimo pensiero sulla parola e la sua etica, ma mi piace, quasi fosse una nenia infantile, appoggiare le mie piccole intuizioni sul pensiero di chi, ben più grande di me ha posto le basi di una riflessione seria e simbolica sulla poesia stessa.
Un abuso interpretativo? Forse, ma sicuramente svolto con l'affetto profondo che l'allievo prova per il maestro. 
Quindi, vi chiedo già sin d'ora di perdonare questo mio azzardo. 
La prima composizione, ove di parola trattasse, rende evidente un filone di pensiero, anche molto ebraico, che toglie all'autore ogni autorevolezza. 
La parola sorge nel luogo della disparizione del suo autore, anche se del massimo autore si tratta, ovvero il divino. 
In un certo senso la parola nega esistenza e respiro al suo autore per vivere di vita propria, una volta emessa, detta, scritta.  
Dice infatti il Midrash che è fatto divieto invocare la potenza divina a interpretazione di un qualsiasi versetto della Torah.
I cinque libri sono il dono della Trascendenza all'umanità. 
La loro cura, custodia, interpretazione ed ermeneutica è per l'uomo stesso, né si può chiedere a D.o di interpretarne il significato e i significanti.
Fatto il dono, l'autore si ritira e lascia che sia l'uomo a svolgere il suo compito spirituale primario: liberare attraverso interpretazione ed ermeneutica nuove scintille divini nel creato. 
D'altronde, come dice spesso il grande Maestro di pensiero ebraico Haim Baharier "chi mai oserebbe dire un solo "bah" di commento al cenacolo se avesse sulle spalle lo sguardo severo di Leonardo?". 
Una delle declinazioni del silenzio nel pensiero ebraico è proprio quella che il Creatore si autoimpone vietandosi di interpretare egli stesso il creato e le singole creature.

Un pensiero che, prima facie, potrebbe apparire banale, ma - riflettiamoci sopra - quanto rivoluzionario può essere ricordarlo in un momento storico in cui al poeta viene chiesto di spiegare le proprie poesie, la loro genesi, ed anche i significanti più evidenti?
Che potere deflagrante ha questo pensiero che porta con sé un corollario molto importante: «che si risveglino i critici, gli interpreti, gli ermeneuti, perchè la poesia, se lasciata solo nelle mani del suo autore, prima langue e poi muore.»

Poesia, poi, che per il grande poeta francese non si attarda, non indugia sui riflessi dei suoi ponti ma corre veloce  sull'autostrada di un'etero-direzione che parte dall'interiorità e si muove verso il futuro. 

Ma è un futuro questo, sembra suggerirci Char,  che lascia traccia sempre nell'interiorità proprio perchè ha permesso all'autore un processo rigenerativo, ri-qualificativo, di svuotamento, in un certo senso, in cui è possibile percepire la presenza del nostro futuro all'interno di noi stessi. 

Non ha tempo la parola di attardarsi sulla bellezza dei riflessi delle costruzioni che l'uomo fa intorno ad essa (i ponti), è in un certo senso acqua sorgiva da fonti sotterranee che conosce bene il suo tragitto. 
Sui ponti, forse, stiamo noi, ammirati per questo flusso eterno e senza autore che ci porta lontano nell'immaginazione. 

Ma l'acqua della poesia non è lo sguardo di chi l'osserva, l'elemento liquido del poetare significa ricerca di forma e contenitore altrove e, forse, sembra ricordarci il maestro, non è poi così centrale osservarne il bello da un ponte, quanto porsi a guardia dl flusso, impedendone gli incagli, perchè possa esplicare appieno la sua funzione di ricordare il futuro ad un uomo rigenerato dal suo passaggio.

il caporedattore -  Sergio Daniele Donati
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