(Redazione) - "Viaggiando attorno all'Io" - nota di lettura di Daniele Donati sulla raccolta poetica di Lucia Triolo "Il paese degli Io" (Macabor ed., 2023)

 

Che sia come richiamo alle persone che simbolicamente ci abitano o al contatto con tutto ciò che è altro da noi stessi, non v'è dubbio che ciò cui diamo l'onere e l'onore di definire la nostra identità profonda nasce, si nutre, cresce e vive nel segno della pluralità.
E questo primo paradosso e ossimoro che incontriamo all'atto della nascita - anzi, già prima nelle memorie sonore prenatali - è allo stesso tempo padre e figlio, in un certo senso, della matrice, del seme del linguaggio. 
Io non so chi sono se non mi pongo in relazione con l'altro da me, io non so chi sia io se non so percepire la diversità e molteplicità di manifestazioni interiori che posso ricondurre all'unico elemento costante del mio vivere dal primo all'ultimo respiro: il nome. 
Siamo tutti abitati da voci, dicevo, che compongono il puzzle sottile che chiamiamo identità e allo stesso tempo possiamo, attraverso la parola, ri-scoprire il senso profondo dell'appartenenza a una pluralità di esistenti sia per differenza che per assimilazione. 
Io sono in quanto simile a te, io sono in quanto diverso da te. 
La mia pelle è il limite tra te e me, la mia pelle è il luogo, il territorio di scambio e contatto con l'altro da me.
Io sono perché parlo ma, se le parole che, anche silenziosamente pronuncio, non avessero anche la funzione di invocare la presenza dell'altro nel mio paese, a cosa servirebbe tutto questo affanno a dire. 
Parola e identità si richiamano sempre perché portatrici entrambe di un messaggio denso di ossimori in cui l'altro (e l'altrove) sono identificativi dell'Io (o del qui ed ora).
In altre parole siamo sempre legati a doppio filo con le due opposte pulsioni ad essere ciò che siamo e a porci altrove, all'ascolto di voci che ci giungono...chissà da dove. 
Per questo, e per altri milioni di motivi, la scrittura poetica è forse la più idonea ad indagare questo territorio di confine, questo argine e crinale stretto in cui cerchiamo di definirci attraverso il contatto con l'alterità. 
D'altronde, non è forse vero che ogni parola segna una linea netta tra il detto e il non detto, tra il dicibile e l'indicibile, tra il sotteso e celato e il manifesto?
La poesia quando incontra questi reami del pensiero diviene lenta, meditata, filosoficamente e psicologicamente pregnante.
In un certo senso diviene una poesia alla ricerca di sé stessa, un verso alla ricerca del suo completamento, un passo incerto ma costante.
È questo il caso della stupenda raccolta di Lucia Triolo "Il paese degli Io" apparsa per i tipi di Macabor Edizioni alla fine dello scorso anno. 
Raccolta questa di Lucia Triolo che traccia, con inchiostri e chine preziose, un percorso non solo poetico ma anche conoscitivo, in cui un ruolo centrale ha, come accennavo sopra, un certo passo cauto e lento; oserei quasi dire regale.
E, passo dopo passo, territorio dopo territorio, la poeta ci conduce per mano alla riscoperta della moltitudine dei nostri Io, non senza una delicata ironia, necessaria quest'ultima per definirci ancor meglio in una alterità accogliente. 
Ad esempio nella poesia Giorno per giorno leggiamo

affittavo il mio io
giorno
per giorno
occasionalmente
pronta a pagarlo anche
a rate

talvolta lo pregavo di
prendere
altro treno
di lasciarmi sognare

Come accennavo sopra, l'ironia gioca qui una evidente funzione rafforzativa ed espressiva di un'idea molto profonda, quella che mette in relazione la nostra identità (superficiale o profonda che sia qui poco conta) con una sorta di presa in prestito dall'alterità. 
È come se la poeta ci volesse mettere, attraverso la chiave ironica (mai sarcastica, tuttavia), in attenzione e ci stimolasse a riflettere su quanti elementi presi in prestito temporaneo ci definiscono.
Il sogno, poi, cui la poeta fa cenno nel finale mantiene intatta la sua prolifica e fertile ambiguità atteso che non ci è dato sapere se sia del notturno mondo onirico che si parla o di una specie di illusione temporanea di potersi definire come appartenenti solo a sé stessi, come esseri autodefiniti, immutabili, statici.

In altre composizioni la parola di Lucia Triolo assume al contrario tonalità diverse, più serie (ma mai seriose) in cui un dubbio manifesta la sua funzione più pura, ovvero quella di farci conoscere a noi stessi, di descrivere un limite come un luogo, quasi sacro, d'indagine possibile. 
Così in Non io, ad esempio leggiamo:

non so se le nostre esperienze
hanno un inizio
una fine,
se hanno una grazia,
un danno
se lasciano qualcosa,
le slanciano un sasso
una differenza
una folgore,

se veramente ci sono

non so se il mio cadavere è
in me 
già qualcosa

Questo elenco stretto e serrato di nescitur (non è dato sapere), a ben vedere, è un tracciato di briciole nel bosco, come nella fiaba di Pollicino.
Non inganni qui l'uso della prima persona singolare, atteso che è del tutto evidente che i dubbi e le domande che la poeta pone a sé stessa hanno natura universale.
Chi di noi non si è mai posto, magari senza la medesima maestria linguistica, le stesse questioni che riguardano tanto intimamente il posizionamento nel tempo (inizio-fine), la presenza o l'assenza di qualità (grazia), la presenza o l'assenza di una traccia del passato o di un lascito verso il futuro, la capacità o meno di marcare un passo differente nel mondo, di illuminare subitaneamente (folgore) i percorsi propri e altrui.
Sono domande la cui risposta, quel nescitur (non so), diviene universum da tutti condiviso. 
In altri termini, con una commovente lista di incertezze, la poeta definisce la nostra più intima umanità, il nostro poter trovare libertà solo attraverso una descrizione, tanto dolce e piana, di ciò che non ci è dato sapere; un ritorno questo quasi bambino nel mondo delle meraviglie. 
E quel verso centrale (se veramente ci sono), attraverso il gioco di fine ambiguità linguistica (non ci è dato INFATTI sapere se la poeta intenda non so se ci sono IO, oppure, non so se ci sono le esperienze gli elementi della precedente lista), prende appieno il ruolo di chiave interpretativa profonda.
Che sappiamo noi in fondo, infatti, della nostra stessa esistenza, del nostro essere nel mondo?

Il finale della poesia, poi, è un lungo brivido lungo l'asse centrale della schiena del lettore. 
La nostra morte, la dissoluzione dei nostri Io, dei paesi che ha percorso, del nostro nome, ci pre-esiste, o coesiste con i nostri affanni a volerci dire in una illusione perenne capaci di lasciare impronta o segno di eternità?

Ancora una volta non è data risposta a questa domanda, ma certo la domanda rimane e va letta - e riletta - nella dimensione linguistica, lessicale, grammaticale raffinata e profonda che Lucia Triolo ha saputo dare alla sua raccolta. 
Perché - su questo posso dire di poter azzardare una risposta certa - siamo di fronte a uno scritto che andrebbe proposto non solo a chi coltiva e ama la poesia ma anche, e soprattutto,  a coloro che ancora non sanno distinguere nella scrittura carmica la capacità esplosiva di suscitare pensiero, rielaborazione dei vissuti. 

E ben venga, a parere di chi vi scrive, che ci sia ancora qualcuno, sempre più raro, capace di uscire da un'idea di poesia meramente descrittiva ed emozionale e di intraprendere con coraggio l'avventura di un verso non lontano dal pensiero filosofico ed esistenziale.

Per la Redazione de Le parole di Fedro
il caporedattore - Sergio Daniele Donati



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NOTE BIOBIBLIOGRAFICHE

Lucia Triolo è nata e vive a Palermo, nella cui Università ha insegnato Filosofia del diritto. Come docente ha all’ attivo numerose monografie e saggi su riviste italiane e straniere di settore. La sua scrittura poetica, benché sempre attenta alla ricerca e alla sperimentazione di nuove forme espressive, è sensibilissima al dialogo e all'ascolto della parola altrui. Ha pubblicato le seguenti raccolte di poesie: L’oltre me (G.A. Edizioni, 2016); Il tempo dell’attesa (Edizioni Il Fiorino 2017); E dietro le spalle gli occhi (La Ruota Edizioni 2018); Metafisiche Rallentate (Bibliotheka Edizioni 2018); Dedica (Edizioni DrawUp 2019); Dialoghi di una vagina e delle sue lenzuola (La Ruota Edizioni 2019); Debitum (Prometheus Edizioni 2021); Sulle pendici dell’Altro (Macabor Editore 2022). Suoi testi sono reperibili in diverse riviste di settore come LuogosBouquetFrequenze poetiche e in autorevoli antologie. Tra le più recenti: Poeti per l’Infinito, (Di Felice Edizioni 2019, V. Guarracino, a cura di), Una furtiva lacrima “Poeti al tempo del dolore” (Di Felice Edizioni 2020. V. Guarracino, a cura di), e la raccolta antologica Antologia di poeti contemporanei siciliani, vol. 1 (Josè Russotti, a cura di, 2020).

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N.d.R

Alcune poesie di Lucia Triolo sono già apparse su Le parole di Fedro, le potrete leggere a questo link.
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