(Redazione) - Parola Eretica - 02 - Jolanda Insana, una poetessa greca dentro al presente


 
A cura di Gabriela Fantato


Parola eretica

voci di poesia che non omaggino il cinismo,
lo scetticismo e l’individualismo attuali;
voci fuori dal coro,
lontane dal “diarietto intimo” e privato,
lontane dai giochi linguistici, parodici … e fini a sé stessi;
voci capaci di tentare una visione etica del mondo,
e darne testimonianza.

Non posso evitare il veleno
amando io il pungiglione della vita
e in dosi quotidiane lo prendo
antidoto contro il grande veleno amaro
e così pur avendo ferite aperte sulle mani,
tocco le cose e punto i piedi
per spostare la parete massello del falso male,
traendo la vita alla sua vita nel piccolo quadrato
che sta dentro il magico quadrato
della forza e del suo giorno

(Medicina carnale, 1994 Mondadori)              

C’era e non c’è più dal 2016, aveva una voce particolare, ben riconoscibile: Jolanda Insana.
Era nata a Messina nel 1937, in una terra ariosa e sopravvissuta al terremoto, in una città siciliana con una grande storia, una città anche allegra ma con un fondo tenebroso, come tutta la Sicilia che conserva l’eco della classicità e dei grandi disastri della storia. Il legame con le sue radici e con a classicità era molto forte in questa autrice e, infatti, Insana, laureatasi in lettere classiche, aveva continuato ad amare la cultura antica, insegnando nei licei classici e traducendo vari testi classici. Si era poi trasferita a Roma, dove l’ho conosciuta e intervistata nel 2004, il testo dell’intervista è nel volume La biblioteca delle voci, interviste a 25 poeti italiani (Joker, 2006;), un lavoro a cura mia e di Luigi Cannillo.
La voce poetica di Jolanda Insana mi aveva colpito sin dalla prima volta che l’avevo sentita leggere dei testi a Milano, al Piccolo Teatro, alla fine degli anni ’90, poi ho voluto andare a trovarla a casa sua, a Roma, dove abitava in una piccola casa del centro storico, all’ultimo piano: era una casa semplice ed essenziale, ma incantata. Un tavolo di legno scuro al centro, tre sedie poderose e un letto , pochi altri mobili, ma su fili stesi ovunque tra le stanze Jolanda teneva appesi dei piccoli foglietti con le poesie ancora da elaborare e modificare, mi diceva, insieme ad alcuni suoi disegni. Un’atmosfera davvero magica e fuori dal tempo, in quella casa antica e accogliente, noi mangiammo insieme pane e olive. Insana era donna al fondo scontrosa, ma sorridente e antica d’animo, come le sue poesie.
Nel 1977, la poesia di Insana era stata scoperta da Giovanni Raboni che, colpito dalla sua potenza espressiva pubblicò, la silloge Sciarra amara sul Quaderno collettivo della Fenice (Guanda), Da allora i riconoscimenti sono stati vari e importanti. Nel 2002 Insana vinse il Premio Viareggio con l’opera La stortura e nel 2007 la sua intera opera fu pubblicata nella collana gli Elefanti poesia di Garzanti.
Jolanda sembrava abitata da echi lontani, memorie e voci del passato, eppure era fissamente incuneata nel presente, così era la sua poesia, la cui lingua è di fatto inattuale, frutto di intrecci tra termini dialettali e neologismi, impasti di lessico aulico con vocaboli di italiano parlato, a volte troviamo anche termini scurrili e gergali, ma di fianco ci sono parole desuete o di registro alto. Un missaggio linguistico che non ha nulla a che fare con i giochini linguistici e di certa neoavanguardia, sebbene l’autrice senz’altro risente della temperie novecentesca che ha dato voce poetica a tutti i registri della lingua. Poesia intrisa di passato e gravida di presente, echi della tragedia greca e tracce della vita quotidiana in questa lingua eretica, che è tale non solo per il lessico, ma anche per il ritmo e il respiro stesso dei versi non appartiene alla lirica italiana canonica, ma ha la potenza del teatro antico. E’ una poesia, dunque, che fa della lingua l’espressione non di un Io singolare, ma di un Io plurale che si radica nella storia, superando ogni individualismo e solipsismo di tanta poesia del ‘900, eppure, al contempo, in tralice, si vedono nei versi elementi del presente, visto in alcuni testi ci sono tracce della cultura del Sud, per esempio, la potenza di certo femminile arcaico, capace di dominare la figura maschile; così come si intravede a volte la presenza nella vita quotidiana di una realtà mafiosa o omertosa).
A riprova di quanto scritto, alcuni testi di Pupara sono - voglio ricordare che i testi di questo poemetto e anche di Sciarra amara furono musicati nel 2013 dal compositore Claudio Ambrosini (La pupara, madrigale a cinque voci), dando ancor più risalto alla grande musicalità e teatralità di questa poesia .

Pupara sono

1.

poi e poi mai
aspetteremo di vedere
di che morte moriamo

2.

più confusi che persuasi
vediamo con i nostri occhi
che sei tu
senza sapere chi sei

3.

Ma che rischio e rischio
come tanti muccusuni
ci tuffiamo nella rema morta
dello Stretto

4.

Ah, mammalucchio
Che hai paura del suo gobbo

Ma lo sai che pizzo oggi
Pizzo domani
Ti rifili una vita
Come vuoi?

14.

Pupara sono
e faccio teatrino con due soli Pupi .
lei e lei
lei si chiama vita
e lei si chiama morte
la prima lei percosìdire ha i coglioni
la seconda è una fessicella
e quando avviene che compenetrazione succede
la vita muore addirittura di piacere.

15.

Né còcciole né baciate
riempiono panciate
qua noi non facciamo figli
non abbiamo famiglia
apri la porta e vattene
una volta mi hai fottuto
ora puoi cacare dove vuoi
il culo non te lo pulisce nessuno

16.

ma che conti e conti
quando ci hai spuliciati tutti quanti.

La natura eretica della poesia di Insana, così fuori dal canone dominante, deriva anche dal fatto che la sua voce poetica ha radici nel filone comico realistico della letteratura, quell’anti-canone che risale a Cecco Angiolieri, per citare un poeta noto anche al grande pubblico, poesia che mette sul foglio il lato basso e carnale della vita, dileggiando il potere, i farabutti e i bricconi, così come le parvenze di bon ton a cui ci si abitua. Vediamo questo testo dalla raccolta La stortura (Garzanti, 2002).


nessuna lusinga
il male tutto alliffato truccato griffato
addirittura buonista
e rincuorati dall’eco di piccolo passi pensiamo
che riusciremo ad aprire la finestra
smontate le impalcature e sciolti i velami
e però la coscienza non ha modo
di sogguardare il fondo e sondare pilastri
finché regge la casa
e ogni condomino si mantiene a galla .

La poesia eretica di Jolanda Insana si fa, dunque, corpo sonoro che entra nel mondo, e ricordo che nell’intervista che le feci nel 2004, la stessa autrice diceva che o trova i termini adeguati alla sua poesia “in natura”, ossia usati nelle varie lingue dalle persone, o li inventa. Scandaglio nel passato e spazio alla libertà linguistica, adesione alla durezza della realtà contemporanea, ma anche voce delle figure archetipiche della tragedia greca: una poesia di musicalità, teatralità e corposità.                   
Fame e parole, parlare e masticare, deglutire e respirare: Jolanda Insana mi disse che attraverso la bocca passa la vita e attraverso la bocca passa la poesia, ecco perché i versi di Jolanda sono un “corpo sonoro” che si scontra con il mondo e ci raggiunge con grande forza, tanto che la sua poesia è una sorta di Medicina carnale, come recita il titolo di una raccolta dell’autrice, dove il corpo è al centro, corpo cantato con tutta la sua potenza eversiva, ma anche con tutta la sua fragilità. La poesia, per prendersene cura, si carica di tutto il suo valore apotropaico e arcano.

Da "Medicina carnale"

Non occorrono medicamenti per gli accidenti
dell’anima che serve il corpo i sensi suoi
libera e non impedita
da acciacchi in molteplici negozi
netta da ogni miscuglio.

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Commenti

  1. Approfondito studio, che attraversa una poesia dotata di un'impronta personalissima. Gabriela ha mostrato la complessità e la forza di una parola che sa essere classica e insieme legata al presente, perfino umorale e insieme altissima, universale.

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