(Redazione) - Estratto dalla Raccolta "Il versicidio" (Terra d'ulivi ed., 2023) di Riccardo Delfino - con nota di lettura di Sergio Daniele Donati


Che la parola sia uccisione, limite e lama è cosa che si ripete spesso. Oppure, se non la si ripete, è perché il contenuto caustico di una tale affermazione impedisce ai più di prendere in mano il pennino.
Eppure, a ben rifletterci, è un dato palese -  e contrario a quello della possibilità di costruire poesia - che ogni parola che scriviamo comporti un sacrificio, una immolazione di tutte quelle mai pronunciate. 
Ogni scelta è abbandono, e quell'abbandono concima il terreno fertile delle scelte che verranno.
Quindi, ogni poeta è in certo senso assassino di lemmi, uccisore delle speranze di emersione da un abisso magmatico che ogni parola rappresenta ai nostri occhi.

Ogni scrittura è dunque taglio e sanguinamento dall'infinito vocabolario che ci abita, e pulsa dentro le nostre fragili vene.
È questa una consapevolezza in chi scrive molto difficile da sostenere, se l'etica è alla base della scrittura.
E vederla emergere in una giovane penna, seppure di grande esperienza, è un vero piacere in chi fa della ricerca della qualità in poesia  il fulcro del suo percorso.
Sicuramente è questo il caso di Riccardo Delfino la cui raccolta "Il versicidio" (Terra d'ulivi ed., 2023) manifesta appieno questa tensione creativa e la consapevolezza della necessità distruttiva che le fa da contraltare quando si scrive. 
D'altronde che ogni creazione si fondi sul fine e delicato equilibrio tra fase destruens e fase construens non è cosa che chi vi scrive dica certo per primo. 
E appare evidente nella scrittura dell'autore che questa consapevolezza è piena.
In esordio di raccolta infatti troviamo scritto:

(...)
un poeta non poeta 
se non facendosi versicida
(...)

Già la scelta di parlare del poeta e utilizzare il verbo  poetare, invece di parlare di un elemento strutturale alla poesia, rende evidente la partecipazione sia emotiva che di principio di chi scrive. 
Non è la poesia ad essere versicida, è il poeta se non vuole essere impedito nella sua azione poetica. 

Una raccolta quella di Riccardo Delfino dunque molto profonda sul piano della riflessione sul portato reale della scrittura, dei pesi che essa comporta e che, fin troppo spesso, sono sostenuti senza consapevolezza da chi si approccia al foglio. 
Una raccolta di cui sotto proponiamo un brevissimo estratto che speriamo possa rappresentare uno stimolo per tutti alla immancabile lettura della silloge e, per chi scrive, a rivedere gli eccessi di "leggerezza" coi quali troppo spesso ci si approccia ad un'attività che va pesata e misurata in ogni suo grammo e millimetro. 

Ogni buona scrittura è equilibrio - non solo tra detto e non detto - ma tra ciò che lasciamo vivere sul foglio e ciò che il foglio non raggiunge, per tornare nell'oblio, fino alla sua prossima occasione di esser detto.
E questo Riccardo Delfino lo sa fin troppo bene e, con la sua silloge, ci impedisce di fuggire ad una cosa tanto centrale, quanto dimenticata: la responsabilità della scrittura.

Per la redazione de Le parole di Fedro
il caporedattore - Sergio Daniele Donati
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ESTRATTO DALLA RACCOLTA

Necessità 

La ricchezza lirica è nel verso 
che cede, non in quello che 
resta in vita; come l’omicida 
che nella morte cerca la vita, 
un poeta non poeta 
se non facendosi versicida

Perversi! Degenerati! 

Una locuzione, una qualsiasi, 
la prego, purché sia plateale. 
La sola difesa rimasta all’uomo 
dall’abisso è quella lessicale.

La mia necessità è un fatto 
ciclico, sacrale: cerco l’anima 
scavando i corpi ma non trovo 
che la mia voglia di scavare

E chiedi cosa mi giace dietro: 
non io, tesoro; questo me che tu ami 
non risiede. Un marchio a vuoto. 
È questa tua fede, sola, a costruirmi; 
di me non c’è nulla in questo mondo 
che mi somigli


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NOTA BIOBIBLIOGRAFICA

Riccardo Delfino ha 22 anni e nasce a Roma. Inizia a scrivere dai suoi 11 anni. Nel 2012 vince il secondo posto al concorso Leoni di ferro e il primo premio al Concorso città di Casoria “Le parole dell’anima”. Nel 2021 pubblica il suo libro d’esordio “Il sorriso adolescente dei morti”, i quali versi sono apparsi in numerose riviste come “Avamposto poesia”, “Atelier poesia” “Poetarum silva”, tradotti in spagnolo e pubblicati su riviste internazionali come la messicana “Tallerigitur” e “Revista kametsa”, tradotti in portoghese e apparsi sulla rivista portoghese “Oristeia”, nonché apparsi su “La lettura” del corriere della sera e su “La bottega della poesia” de “La Repubblica””. 
È un arbitro di calcio e studia filosofia a Roma.
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