Etica della parola parola poetica - 3 - Attraversati dalla Parola (piccole riflessioni sparse)

 
di Sergio Daniele Donati

Etica della parola è locuzione molto alla moda ed evocata in continuazione in ogni tipo di intervento, mediatico o meno, in cui all'idea di una parola costitutiva di un ethos ci si richiami.
Che si affronti il tema da una prospettiva psicologica buddista di retta parola come elemento fondante dell'Ottuplice sentiero per la via verso l'illuminazione/risveglio, o da una prospettiva più meramente filosofica e linguistica, oppure ancora religiosa, rivalutando ad esempio l'elemento sacro e sacrale di ogni dire, una cosa è certa:

«Interrogarsi sull'etica di un dire significa e presuppone un discorso sulle motivazioni della parola stessa».

La manifestazione di ogni ethos, benché susciti riflessi sul dominio del come, in realtà presuppone un enorme questionarsi sul perchè. 
E allo stesso tempo presuppone la capacità di svolgere un'indagine psicologica su quali spinte, spesso inconsce, ci motivino a dire (o a scrivere). 
D'altronde, se diamo per assodato che ogni parola nasce dal silenzio, il momento trasformativo di tale afonia in suono significante deve avere in sé almeno una piccola scintilla motivazionale.

In altre parole, e per fare un esempio di altro dominio, una cosa è chiedersi come sia il primo passo di un bambino, dopo la fase di movimento a gattoni, come si svolga, quali muscoli vengano utilizzati nei suoi primi appoggi, come le catene muscolari e le assi scheletriche si modifichino in questo sforzo.
Altro è chiedersi cosa spinga un infante al movimento, a sentire l'impellenza dello spostamento e la spinta ad assumere la posizione eretta, quale scintilla (divina per chi crede, immensamente umana e vitale per chi non è aduso esplorare trascendenze) sorga nella psiche di un bimbo perchè l'idea della stazione eretta e del primo passo possa avvenire.

Così per la parola. E soprattutto, a mio avviso, così per la parola poetica. 
La scrittura poetica ha spesso questo movimento a spirale in cui la parola che si interroga sulla natura della Parola stessa. 
E lo ha anche quando non parla di parola. 
È questo, a mio avviso, un movimento interno alla manifestazione della parola poetica in sé, specie se percepita, come io faccio, come fenomeno attraversativo ed essenzialmente di ascolto di voci altrui, quando non addirittura dell'Altruità o dell'Altrove.

L'antica idea che il poeta, come il profeta, sia un attraversato dalle voci dell'altro (daimon, muse, divinità, dei, natura) e che il suo ruolo sia essenzialmente di dar trascrizione di una dettatura ricevuta è sempre meno di moda, purtroppo, per dar spazio ai ventri sempre troppo egoriferiti di un poetare asfittico e incapace di uscire dal proprio ombelico. 

Ed è un peccato, perchè quell'idea, che prima facie potrebbe sembrare descrittivo di una sorta di asservimento del poeta all'altro da sé, in realtà, secondo me, è invece l'esatta mappatura di una libertà suprema, anzi, di una liberazione suprema: quella dal proprio nome. 

In questa visione delle cose, volendo immaginare con un filo di serissima ironia un decalogo poetico potremmo dire:

01)    Io sono la Parola che ti ha liberato dalla schiavitù del tuo Ego. Non avrai altra Parola che quella del flusso che ti attraversa.
02)    Non pronunciare Parola invano
03)    Santificherai la Parola in ogni sua manifestazione
04)    Onora il femminile ed il maschile della Parola che ti attraversa
05)    Non uccidere la parola che ti attraversa dicendola tua
06)    Non commettere atti impuri sulla e con la Parola
07)    Non rubare la parola altrui dicendola tua, ma accogli il dono della trasmissione
08)    Sii testimone della sacralità del flusso di Parole che ti attraversa
09)    Non desiderare la parola altrui prima che ti venga donata
10)    Non desiderare che la casa della parola sia solo per te

Ovviamente li ho scritti e pensati col sorriso ma, tornando seri, ritengo sia sempre più necessario dichiarare che il sostantivo scrittura poetica male si adatta ai possessivi. 
Una scrittura non è mai, o quantomeno mai del tutto, mia, ma è sempre, quantomeno anche, frutto di un lavoro collettivo di stratificazione di cui il poeta, in buona misura, è incosciente.
Assumere questa postura nei confronti di ciò che si scrive, postura che - lo si ripete -  ha radici davvero antiche, è la prima scintilla di liberazione della scrittura e, guarda caso, è del pieno dominio etico. 
Perchè assumere su di sé un pensiero che estromette l'idea del possesso della poesia e si pone il quesito del perchè si scriva - o per chi, o sotto dettatura di chi - significa saper inglobare un pensiero e una storia ben più grande delle nostre misere esistenze poetiche. 
Volendo citare in parafrasi Giorgio Gaber: la libertà nella scrittura poetica è partecipazione, a qualcosa di molto antico, che si perde nella notte dei tempi,  di un movimento della Parola attraverso le parole costante e senza tempo in cui il nostro apporto è tanto più grande quanto più siamo capaci di ascolto dell'altruità.

Sergio Daniele Donati






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