Poesie inedite di Matteo Rusconi - con nota di lettura di Sergio Daniele Donati

 


«La poesia è funzione del pensiero», si dice. Ed è sicuramente una verità assoluta. 
«La poesia è frutto del corpo», si dice. Ed anche questa è statuizione dai forti odori di verità. 
E in fondo, in questo apparente paradosso tra due frasi dai significati tra loro distanti si cela la chiave di lettura di tanta poesia, specie se contemporanea. 
Viviamo come binomi, come poli opposti ciò che invece manifesta la sua funzione di piolo a cui attaccare la fune che ci dona la sicurezza nel procedere. 
Pensiero e corpo sono necessità della scrittura (di ogni scrittura) e il falso mito dell'origine unica ci devia. Ma la corda, il fil di lino sottile che il lettore percorre, è composto spesso esso stesso di dicotomie armonizzate dalla penna dell'autore. 
Nel caso delle poesie inedite di Matteo Rusconi che oggi presentiamo ci pare di poter dire con certezza che esiste un binomio centrale i cui poli hanno nome ironia e serietà delle immagini evocate.
Quello di Matteo Rusconi è un dire meta-descrittivo, quasi privo, e per fortuna, di spinte verso l'aulico o verso la teorizzazione di sistemi di pensiero e allo stesso tempo è capace di riempire gli occhi del lettore vuoi di una dolce e armonica ironia (come quando descrive l'amore di un operaio verso un tornio), vuoi di una tristezza che diviene urlo di denuncia (come quando descrive lo strazio a fine turno di un operaio e l'aggressività accumulata per l'usurante lavoro che egli non può più celare).
Ironia e melanconia che a chi vi scrive paiono poi essersi fusi nell'ultima composizione in cui il poeta descrive con commoventi note il ritorno ad una natura e al quotidiano che si può manifestare solo quanto lo straniante ciglio della fabbrica si spegne. 
Leggerlo per me è stato un piacere profondo anche perchè questo tipo di scrittura ha un epigono gigantesco in Franz Kafka - sì, avete ben compreso -  ai cui racconti i più attribuiscono note angosciate e ansiogene, mentre, ad un'attenta lettura, manifesta ad ogni passo stimoli verso una descrizione molto ironica dell'umano.
L'ironia  -  badate bene: mai il sarcasmo -  è una delle chiave di lettura che permettono di sostenere il peso della descrizione dell'alienazione dell'umano, del farsi sempre più lontani ed estranei a  stessi.
E saperla usare, come fa il poeta Matteo Rusconi, non solamente in funzione lenitiva, ma creativa di possibili letture diverse dell'esistenza è cosa rara. 
L'ironia, al contrario del sarcasmo, non è mai un'arma da taglio. Anzi, a dire il vero, non è proprio un'arma, a meno di non voler considerare arma l'ago che sutura una ferita dopo che è stata disinfettata. 
E se un'immagine mi ha colto leggendo queste composizioni è proprio quella di un'ironia che riunisce lembi strappati, senza evitare la descrizione della suppurazione, ma cosciente della possibilità del ritorno alla vita.

«Non scrivo poesie da tempo, le vivo/e l’attesa della vita/ha il suono lieve dei sassi/macinati dalle mie scarpe.», dice il poeta. 
E io chiudo il PC, sorridente, nonostante una giornata che mi ha portato via da me stesso, perchè un argentato filo, maliconico e ironico allo stesso tempo, mi ha saputo far tornare. 
Grazie!
 
Per la redazione de Le parole di Fedro
il caporedattore - Sergio Daniele Donati

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POESIE INEDITE DI MATTEO RUSCONI

Un uomo dichiara il suo amore a un tornio
portandogli in dono un bouquet di utensili
ma il tornio vorrebbe di più
allora l’uomo
gli versa un secchio di chimico refrigerante
gli rabbocca la centralina di olio
lo ripulisce anche dal più piccolo truciolo
ogni santissimo giorno
ma il tornio vorrebbe di più
quindi l’uomo
preso dal suo grande amore
comincia a lavorarci per dodici ore a giornata
rinunciando alla famiglia
dimenticando la faccia dei propri amici
offrendogli in pasto sempre più materiale grezzo
ma al tornio non basta
a questo punto l’uomo
consumato da tutto questo suo folle amore
si inginocchia
e infilando una O-Ring all’estremità dell’albero motore
perentorio pronuncia la promessa
“finché morte bianca non ci separi”.


N. ha circa sessant’anni
i capelli brizzolati gli occhi scavati
la braccia nervose di chi sa cos’è il lavoro
N. è ancora giovane per la pensione
troppo vecchio per cominciare in molte aziende
si conquista il giorno
facendo gli inventari di notte.
N. l’ho conosciuto all’orario di chiusura
di un negozio di abiti cheap ma alla moda
quando insieme ad altri
aspettavamo di iniziare a contare.
Non l’ho più visto da quella notte
e mi chiedo se stia ancora bippando
quei vestiti che a fatica può regalare a suo figlio.


Nell’aria ristagna la vernice
i colleghi si ritrovano al centro del reparto
fumano sigarette
odore di tabacco, odore di colore
la superficie del container è liscia quando entra
patinata di ruggine
porta i segni della brasatura
cicatrici sul ferro, saldatura a cannello
è ruvida quando esce
brulicante di argento
i soffioni alzano polvere marrone
che penetra nelle calze
e attraversa la tuta
lavoro la fatica che lascia il segno
odore di vernice, di farina ferrosa
ronzio di compressori
di pistole ad aria pressata
due colleghi al centro del reparto
si girano sigarette
altri si fumano altra vernice
ognuno si uccide come meglio crede

Prendete un povero cristo
e gettatelo tra le mascelle di un tornio
oppure tra i denti di una fresa
da mattina fino a sera
tutto il giorno gobbo a stringere il lavoro
guardatelo come impazzisce e si consuma
quanta schiuma gli sale in corpo
e aspettate poi che esca dalla fabbrica
per vedere dove sfoghi la rabbia
se nelle relazioni sociali
oppure a tavola su moglie e figli
chiudetelo in un buco di reparto
e spiatelo
a ciondolare a uccidersi di noia
a perdere pezzi mentre i minuti cadono
a spegnersi con il determinato
senza dargli conferme per il futuro
prendete il suddetto ex uomo
e chiamatelo maiale
e tenetelo stretto per il collo
vediamo se non stacca gli occhi dal lavoro
vediamo se non vi incendia
una volta dentro al vostro cazzo di ufficio


Il cigolio della fabbrica
è spento.
La campagna mi restituisce
quello che l’officina mi ha rubato:
aria fresca, erba alta, frumento
il fiato del silenzio.
Cammino nella polvere
mangio la terra.
Vietato ai suoni della città
il frinire delle cicale
ha preso lo spazio del traffico.
Fischietto la libertà
e i pochi spiccioli nelle mie tasche
l’incertezza si è fatta certezza
il sole è più di un bottone di ferro.
Non scrivo poesie da tempo, le vivo
e l’attesa della vita
ha il suono lieve dei sassi
macinati dalle mie scarpe.

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NOTE BIOBIBLIOGRAFICHE

Matteo Rusconi è nato a Lodi nel 1979.
Poeta e operaio, ha pubblicato le raccolte Sigarette - Venti Poesie Per Smettere Domani (2017, Ed. ilmilibro.it), Trucioli (2021, Aut Aut Edizioni) e #smartpoetry (2022, Porto Seguro Editore). Suoi testi appaiono in diverse antologie di poesia contemporanea ed è stato tradotto per alcune riviste estere. Da settembre 2022 conduce il format streaming SourPoetry. 

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