(Redazione) - Una "folle non-nota di lettura" di Sergio Daniele Donati a proposito della raccolta di Patrizia Sardisco "Nuàra" (Il Convivio ed., 2021)



Mi capita spesso di leggere testi e libri in lingue da me sconosciute e di trovare tra le righe richiami a sonorità a me familiari perché figlie di quella culla della parola che chiamiamo Mediterraneo
Sono intuizioni sperse e sfuse le mie, suoni che mi conducono nel reame dei false friends che -lo sapete bene - per me rappresenta un vero e proprio laboratorio linguistico dell'immaginario a cui, fuori da ogni disquisizione etimologica, che pure non ignoro, do sempre un grande peso. 
Certo ho poi bisogno della traduzione perché di quel gioco, ad esempio tra ebraico e lingua siciliana, resti solo una traccia evanescente che il significante nega quasi sempre ma che dona alla lettura delle vere e proprie nuances preziose. 
In altre parole e so che può apparire folle, poco mi importa se una parola in lingua sconosciuta richiama il suono di altra che nulla ha a che vedere con le precedente come estensione semantica. Mi basta che il richiamo sia avvenuto e, forse goffamente, come di tacchino, la mia mente prende il volo. 
D'altronde siamo immersi in un mondo di suoni, prima ancora che di definizioni, e l'esercizio che sopra ho descritto mi è utile, alle volte, per ritrovare memorie neonatali, ascolti precisi di un mondo ancora non definito ma avente la natura profonda del conoscibile; col tempo. 
È stato dunque un vero piacere per me immergermi nella lettura della raccolta poetica Nuàra (Il Convivio ed, 2021), della poeta di Monreale Patrizia Sardisco. 
Un mondo di sonorità che riportano a un antico dire anche quando descrivono un attitudine molto contemporanea nel rapporto con la parola, e una cura, quasi spasmodica, per le radici di un linguaggio che persiste e resiste alle tendenze di unificazione linguistica senza però farne proclama. 
Già il titolo - Nuàra significa orto - ha provocato in me una sorta di sintesi tra ebraico e italiano (o francese) che, in una folle prosecuzione della lettura, è divenuta vero e proprio metro interpretativo.
I false friend servono proprio a questo, se vissuti come gioco: permettono di darti chiavi di lettura inusitate, perché chi legge poesia, a mio avviso, deve anche essere capace di attendere che una verità si manifesti dalla falsità di un gioco. 
Così, per meglio esplicitare ciò che la mia mente istintivamente ha elaborato ho letto nella parola nuàra un significante inesistente ma molto utile poi nella prosecuzione della lettura.
Luce in ebraico si dice Or, e la particella Nu mi ha portato a cercare nella raccolta una NUOVA LUCE.
E in effetti di luce è piena la raccolta, anche dove non viene esplicitato. 
Quella di Patrizia Sardisco è una scrittura poetica illuminante, pur rifiutando sperimentalismi eccessivi ed inutili. 

Una sorta di luce soffusa indica al lettore i passaggi in cui il dire della poeta si manifestano con una delicatezza e cura di fondo che mette al centro la profonda ricerca di relazione con la parola svolta dalla poeta stessa. 
Così ad esempio nella poesia  nuàra #1 (orto) leggiamo

mi scappi 'i mmucca
sustanziusa parola alliviata
parola travagghiata caddiata
parola vruciata parola ri nuàra
abbriviata

fora r'u siminatu foru
favara ri paroli e chin'i mmernu

ca crita, omu
a furma è fari
sustanza è annintuari

(mi scappi di bocca/sostanziosa parola lievitata/parola lavorata battuta con le mani/parola sotterrata parola d'orto/irrigata/fuori dal seminato furono/sorgenti di parole e piene invernali/con la creta, uomo/la forma è fare/sostanza è nominare).

Se guardiamo al significato, la poeta descrive con pienezza linguistica mirabile il lavorio quasi artigianale sulla parola di chi scrive, specie in poesia. La parola, che nasce come sfuggente, come qualcosa che cerca di uscire inaspettata dalle nostre bocche, viene lavorata, battuta, sotterrata e irrigata, perché possa prendere forma. Ma è una forma che trova sostanza nel verbo sacro in ogni cultura, specie se mediterranea: nominare. 
Dare nome ad animali piante e oggetti è la facoltà spirituale più alta, ad esempio secondo il libro della Genesi, viene donata dal creatore all'essere umano nel suo soggiorno edenico. 
Il nome contiene la sostanza del nominato, la determina (e non semplicemente la descrive) e in un certo senso la crea. 
Nominare significa ricreare il creato, per questo è sostanza. 
La forma è data da un facere, da un'azione, da un movimento corporeo (i verbi sopra richiamati sono espliciti in questo). 

E però il folle estensore di questa non nota di lettura è stato condizionato dalla sua ignoranza della lingua siciliana e dal gioco dei false friends battente.

Così per quel folle di Sergio Daniele Donati a furma è fari ha significato, prima di leggere la traduzione, la forma è faro, ancora una volta luce, guida verso l'orizzonte, in un immaginario viaggio di ritorno. 
Un facere che diviene faro, guida all'azione di plasmazione delle argille sacre (creta) di cui sono costituite le parole.
Conscio che sul piano etimologico quel significato non regge, tuttavia ha in un certo senso illuminato la lettura della traduzione.
Stessa cosa è avvenuta leggendo del secondo orto, nella composizione Nuara #2

si' nura parola
e china r'acqua
nt'aricchi 'i cu ti senti
i l'ura
'mmucca a matri

c'è tempu per i vistìriti
na vita
p'i mmilinari u puzzu

mi putissi spugghiari
avissi vuci
ri gebbia e ri nuàra

ciàviru
'i virità pizzuti
'i petra r'allammicu
'i petra r'acqua

(sei nuda parola/e piena d'acqua/negli orecchi di chi ti sente/per la prima volta/in bocca alla madre/c'è tempo per vestirti/una vita/per avvelenare il pozzo/se potessi spogliarmi/avrei voce/di vasca e orto/profumo/di verità pungenti/di stalattite/di pietra d'acqua).

Questa poesia che considero centrale nell'intera raccolta descrive il viaggio della apprensione della parola che, come adamitica creatura, nasce svestita, non coperta (ovvero priva di significante) per l'orecchio neonato che la sente pronunciare dalla una bocca materna. La vestizione della parola, ovvero l'assunzione di un senso, contiene in sé elementi anche venefici, e pericolosi, una sorta di perdita di purezza, che la natura liquida primordiale della parola pre-significato manifestava. 
È necessaria dunque, per mantenere la vitalità della parola stessa, una atto volitivo di spoliazione di chi la scrive, per riacquisire una voce liquida, una ossimorica essenza di pietra d'acqua, una umidità di grotta ove la parola sedimenta la sua verticalità su elementi calcarei, goccia a goccia, come le stalattiti.
Ma anche in questa meravigliosa poesia il folle estensore di questa non nota di lettura ha ritrovato, attraverso il false friend conduttore dell'intera lettura, luce. 
Perché quel i l'ura grida immediatamente alla memoria appunto di quella OR (luce in ebraico) che fu l'elemento primario di creazione. Anzi di una creazione che fu pronunciando, nominando (e disse luce e luce fu). 
E qui il richiamo alla precedente Nuàra è stato ancora più forte, benché veicolato da un errore conoscitivo ed etimologico. 

Concludo qui questa folle non nota, sperando che l'autrice non me ne voglia. Anzi sperando che questa visione del tutto alterale¹ e inusuale di una raccolta che davvero ho amato nel profondo leggere le strappi un bonario sorriso.

Per la Redazione de Le parole Di Fedro
il caporedattore Sergio Daniele Donati

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NOTE BIOBIBLIOGRAFICHE

Patrizia Sardisco è nata a Monreale, dove tuttora vive. Laureata in Psicologia, specializzata in Didattica Speciale, lavora in un Liceo di Palermo. Scrive in lingua italiana e in dialetto siciliano (parlata monrealese). Nel 2016 pubblica la silloge in dialetto Crivu, vincitrice del Premio Internazionale Città di Marineo e menzionata al Premio Di Liegro di Roma. Nel 2018 si aggiudica il Premio Montano nella sezione “Una prosa breve”; con la silloge inedita in dialetto Ferri vruricati guadagna il secondo posto del XV Premio “Città di Ischitella-Pietro Giannone” e, nello stesso anno, per le Edizioni Cofine, dà alle stampe il poemetto Eu-nuca, finalista al Premio “Bologna in lettere” 2019 e vincitore della sezione opere edite del Premio “Città di Chiaramonte Gulfi” 2019Del 2019 è la silloge Autism Spectrum, vincitrice della quarta edizione del Premio “Arcipelago itaca” e segnalata al Premio “Bologna in lettere” 2020. Nel 2021 è risultata vincitrice della XVIII edizione del Premio Città di Ischitella-Pietro Giannone, con la silloge Sìmina ri mmernu (Semina d’inverno).
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¹ lascio volutamente incorretto il refuso perché portatore di altro false friend tra l'aggettivo "laterale" e un "alter(ità)" sempre fecondo in poesia. ☺️


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