(Redazione) - a proposito della raccolta "Prima" (Puntoacapo ed., 2022) di Gabriella Cinti - Nota di Sergio Daniele Donati

 


Che ci sia un legame indissolubile tra poesia e memoria  é un dato innegabile. Bisogna poi vedere che estensione e significato siamo capaci di dare a quella locuzione e, soprattutto, tralasciando le insidie connesse alla definizione della poesia, dobbiamo almeno ricordare a noi stessi che la memoria non è oggetto monolitico ma che in noi si stratificano memorie psicologiche, corporee, animali, vegetali e anche minerali.
Ciò che decliniamo al singolare quando parliamo di memoria, è, in realtà una cumulazione di diversi elementi che solleticano la nostra coscienza con modalità differenti tra loro, a volte persino contrastanti. 
Nella stupenda raccolta di Gabriella Cinti "Prima" (Puntoacapo ed, 2022) il tema di una memoria che si dipana a più livelli è ben presente, così come l'autrice si rende pienamente capace di attraversare con la sua poetica le ere della coscienza umana, dall'origine nostra di primati alla post modernità. 

Siamo pertanto di fronte a una raccolta dove la dimensione filosofica del poetare assume ruolo centrale, così come risulta parte dell'asse centrale dell'opera il gioco tra domanda posta spesso direttamente al lettore e risposta. 
Non vorrei però sviare quest'ultimo, dando l'impressione di una scrittura quasi inaccessibile per chi si approccia all'opera. 
Al contrario siamo di fronte a un detto che, proprio perché diretto alla comprensione delle cose, elegge un lessico certamente profondo e complesso ma del tutto privo di un uso involuto della parola fine a sé stesso.
Tuttavia del richiamo alla divinità greca (Hermes) l'opera non è scevra. 
Scorrendo le composizioni si sente la traccia di questionamento che ha un richiamo nell'Antico e, allo stesso tempo, nell'idea di un possibile ritorno alla poesia come funzione del pensiero. 
Il richiamo al Mito, poi, alle volte è diretto, come nella splendida composizione Primavera di Persefone il cui testo sotto si riporta:

Tu morivi, padre, 
tra le rose di maggio, 
nella luce scoperta 
come una ferita violenta.

Primavera di Persefone, 
per ridisegnare il mondo 
in attesa di tuoi segnali,

frinire funebre di cicale 
nel tempo strappato 
della grande forbice.

Mai più figlia.

In ogni germoglio di parola 
ti cerco, mentre setaccio oro
di senso nei greti dei nomi 
nel vestito pensante dei verbi 
nel gesto velato dei suoni.

Sono ancora qui
a tessere i fili del silenzio 
e farne sospiroso colloquio

avvoltolata nel ricordo
sotto la tua scrivania,
bambina gomitolo,
a compitare riti di parole.

Maggio grida di morte,
i nidi del cuore sono gusci infranti,
invano il glicine corteggia l'aria.

Tempo di gesso, padre,
tempo di calce invasa
sulla carne della memoria

ma più alto il tuo volo a me, 
crisalide d'alabastro 
sfrecciata da edera sotterranea, 
il più segreto, 
il più prezioso dei tuoi indizi.

Non starò qui a riassumervi il mito di Persefone e della sua relazione con Ade, i cui tratti strazianti ma allo stesso tempo normativi (mi riferisco alla contrattazione di un accordo con Zeus) vi invito a ritrovare. Mi interessa invece sottolineare in questa sede, come esempio del modus scribendi dell'Autrice che, almeno in parte, qui la narrazione sembra dare a tale mito una lettura differente, connessa alla parola. 
La parola qui infatti torna molto spesso in più accezioni: 
come luogo di ricerca di ciò che si è perduto (In ogni germoglio di parola / ti cerco, mentre setaccio oro / di senso nei greti dei nomi / nel vestito pensante dei verbi / nel gesto velato dei suoni )
nella sua relazione col silenzio (Sono ancora qui / a tessere i fili del silenzio/ e farne sospiroso colloquio)
con funzione rituale e consolatoria (avvoltolata nel ricordo / sotto la tua scrivania, / bambina gomitolo, / a compitare riti di parole.)
come urlo di morte (Maggio grida di morte, / i nidi del cuore sono gusci infranti, / invano il glicine corteggia l'aria.)
e tanti altri. 
Questo sembra dirci tanto sulla lettura di un mito e del Mito in generale che l'Autrice sembra porre in relazione diretta con l'idea di un Logos sempre vivace e multiforme.
E così il lettore si trova proiettato in una dimensione in cui il Mito, per forza di cose sempre uguale a sé stesso, come il testo biblico, diviene capace di novelle interpretazioni e visioni laterali, cosa che avviene anche col testo biblico, come per il Mito da millenni. 
La poesia di Gabriella Cinti ha pertanto la sapienziale capacità di proiettarci nella grande questione della relazione stretta ricorrente tra la fissità di un testo (sia esso sacro e rivelato o fiabesco (1) qui poco conta) e la dinamica interpretativa che diventa millenaria e senza tempo proprio perché la narrazione è costante nei suoi contenuti. 
In più passaggi l'Autrice sembra suggerirci la memoria di quell'antico adagio che è della meccanica del movimento (che sia poetico o corporeo qui non ha rilevanza) che vuole che, perché una parte possa muoversi, un'altra deve tenere statica e fissità in modo impeccabile. 
E, se scorrete le liriche con attenzione, questa relazione stretta tra i due opposti poli in ogni composizione è presente. 
Questo dà quell'effetto di verticalità della poesia di Gabriella Cinti che tanto magistralmente Mauro Ferrari sottolinea in postfazione. 
Una raccolta, a parer mio, veramente immancabile e davvero interessante sia sul piano linguistico e lessicale che di pensiero e filosofico. 
Una raccolta che riconcilia gli opposti poli di una banale e inutile dicotomia che si sente spesso ripetere senza profondità di pensiero in poesia contemporanea: quella che vuole che in poesia o prevalga l'elemento stilistico o quello contenutistico e semantico. 
Gabriella Cinti, ed è cosa che dico di pochi, ci dimostra ampiamente che è possibile tenere ben salde entrambe le cose e portare il lettore a percepire tutta la musicalità di un pensiero fertile.

Per la Redazione de Le parole di Fedro
il Caporedattore  - Sergio Daniele Donati

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NOTA

(1) - provate a mutare una sola parola nel raccontare una fiaba ai vostri figli o nipoti e vedrete l'effetto di straniamento nei loro occhi














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NOTA BIOBIBLIOGRAFICA

Gabriella Cinti, in arte Mystis, nata a Jesi (An), italianista, grecista, poeta e saggista, antropologa del mondo antico studiosa del greco antico, in cui è anche performer in vari Festival e manifestazioni artistiche o teatrali. Recensita in vari quotidiani e riviste letterarie e blog culturali. Ospite di vari Festival internazionali di Poesia e Letteratura e di trasmissioni e interviste radio-televisive. 
Opere di poesia pubblicate:
Suite per la parola (Péquod, Ancona, 2008),
Euridice è Orfeo, Achille e la Tartaruga, Torino, 2016,. Primo premio assoluto al Concorso Letterario Albero Andronico 2017, con premiazione in Campidoglio.
Madre del respiro, Moretti e Vitali 2017
La lingua del sorriso: poema da viaggio, Prometheus editrice, Milano, 2020), recensita da Franco Manzoni con un Elzeviro in Terza Pagina del Corriere della Sera il 29 aprile 2020.
Prima (con nota di Post-fazione di Mauro Ferrari), Puntoacapo, Pasturana, 2022.

Sulla sua poesia il saggio di Franco Manzoni, Femminea estasiSulla poetica di Gabriella Cinti, Algra editore, Catania, 2018.
Saggi
Il canto di Saffo-Musicalità e pensiero mitico nei lirici greci, Moretti e Vitali, Bergamo 2010 .
Il saggio-ebook, Emilio Villa e l’arte dell’uomo primordiale: estetica dell’origine, I Quaderni del Bardo, Lecce, 2019.
All’origine del divenire. Il labirinto dei Labirinti di Emilio, Mimesis, Milano, 2020, recensito sul sito ufficiale di TRECCANI.IT
Suoi testi sono presenti in diverse importanti Antologie di poesia e letterarie.
Autrice di numerosi saggi per riviste specializzate.
Tradotta in inglese, rumeno, polacco, serbo e greco moderno, è  vincitrice di prestigiosi premi di poesia e saggistica.
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Commenti

  1. Ho avuto il privilegio di leggere il libro: un viaggio profondo fino alle radici della memoria, che coinvolge sensi e intelletto, fino a portare lo spirito alle più alte vette. Barbara Rabita

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    1. Verissimo un testo sapienziale per me. Grazie

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