(Redazione) - Lo spazio vuoto tra le lettere - 23 - "Guardiani delle parole": appunti sparsi sull'Etica della Parola - parte seconda


A cura di Sergio Daniele Donati

Nella prima parte di questi appunti sparsi dedicati all'etica della parola (lo trovate nell'articolo apparso su Le parole di Fedro il 1.8.23 - link) abbiamo sfiorato il tema, a me molto caro, del nostro posizionamento nei confronti di qualcosa che in fondo non è mai perfettamente definibile nel suo esatto perimetro.
Esiste, dicevamo, la necessità di cura dell'oggetto "parola", di scegliere, in altre parole, una postura attenta dal guardiano, e custode. 
Se ogni parola è elemento ed alimento creativo, e non solo descrittivo, non possiamo che osservarne le potenzialità a lungo, prima di pronunciarla o scriverla.
Questo perché ogni nostro dire in fondo - ma anche in superficie - è un passaggio stretto, un lento passo sul crinale che ha confine con due abissi; quello dell'incomunicabilità totale e quello di un silenzio che atterrisce. 
Per questo motivo bisognerebbe abituarsi, quando di parola trattiamo, a evitare, se non necessario, l'ambito definitorio e allenarsi, al contrario, a cogliere le sfumature di quella salita stretta
Così, d'altronde, è per ogni discorso sulla percezione di un passaggio. 
La notte non si trasforma in un istante in giorno, né il sonno - o il sogno - in veglia. 
Nella cultura ebraica la cena che si fa alla fine dello Shabbat e prima del nuovo giorno (1) - quindi dal giorno dedicato alla sacralità del creato alla quotidianità che di quella sacralità riceve le scintille - è detta "cena dei volti stretti". 
La discesa del sacro nel quotidiano è cosa da osservare con strumenti ben tarati e minuziosamente oliati, altrimenti sfugge. Così si dovrebbe fare nel nostro relazionarci col tempo. Il presente non diventa istantaneamente passato, perché per fare ciò necessita del risveglio della memoria, altrimenti diventa oblio.
L'osservatore d'altronde, lo dice la fisica degli ultimi quattro secoli, modifica - che lo desideri o meno -  sempre l'oggetto di trasformazione. 
Così, sia il passaggio dal silenzio alla parola che quello relativo a un dire che è inizialmente solo suono e si trasforma poi in significato, ha un tempo, stretto e breve, che va osservato.

Dicendo questo entriamo nel pieno del discorso su cosa sia la postura del guardiano della parola

Il custode sviluppa la percezione fine delle penombre, anche il movimento di uno stelo d'erba viene da lui osservato, e nulla trascura, come nulla dovrebbe trascurare un padre dei respiri del figlio che dorme. 

E, siccome il false friend parole-prole (paronomasia), è indubbiamente portatore di evocazioni possibili, fa parte dell'etica della parola che abbraccio pensarmi quando dico - e ancor più quando scrivo - al servizio di qualcosa che non attinge per nulla alle mie capacità, se non a quelle di ascolto e di fermezza di postura. 
Se chi scrive è veramente guardiano  della parola, è ben difficile che di quelle parole possa dirsi autore senza considerare la penombra di una tale affermazione. 
Chi osserva il sorgere della parola, come chi osserva il nascere del sole dalla superficie del mare, a levante, non si perderà a chiedersi quale sia il suo proprio ruolo in quel fenomeno, né, tantomeno, si percepirà come creatore del sole.
Si concentrerà invece sulle striature cangianti di colore, sull'avanzare del calore; entrerà nella manifestazione del fenomeno che osserva, dimenticandosi del suo stesso nome e abbandonando ogni velleità di esserne causa. 
Perché, lo dicevamo prima, la parola si manifesta in passaggi stretti e ogni distrazione dal fenomeno, comporta una perdita di coscienza.
Il primo compito di una sentinella, di un custode, riguarda la cura con cui lo stesso fa in modo che l'oggetto della sua custodia resti in vita. E se tale oggetto è, per sue stessa natura, mobile e in perenne mutamento/movimento, egli non ha tempo di porsi  domande su sé stesso. Si perderebbe, così facendo, passaggi fondamentali, della crescita e della trasformazione di ciò che è suo compito accudire. 
Una guardia si pone quesiti sul suo stesso ruolo solo al cambio del turno, quando passa il testimone ad un collega. Ma finché è davanti al fuoco sacro  l'unica sua cura, che passa anche attraverso l'oblio del sé, sta nel non permettere lo spegnimento di quella fiamma. 
Nella terza parte di questi appunti parleremo di cosa sia l'etica della trasmissione della parola, ma per ora mi premeva soffermarmi - assieme a voi - sul ruolo centrale di ascolto e osservazione del fenomeno del sorgere della parola stessa  che tutti noi coinvolge. 

Marc Chagall - Mosè e le tavole dell'Alleanza

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