Uno speciale de Le parole di Fedro su Gabriele Galloni (con interventi di Annalisa Mercurio, Davide Cortese, Mattia Tarantino e Sergio Daniele Donati)

Gabriele Galloni ritratto in foto da Dino Ignani



Una Nota di lettura  di Annalisa Mercurio su "In che luce cadranno" (RPlibri, 2018)

In che luce cadranno, nella prefazione di Antonio Bux, è stata definita ‘un’opera d’arte priva di sbavature’. Sono assolutamente d’accordo, ma vorrei anche aggiungere, che questa è stata per me una silloge di essenze.
Per Galloni l’ignoto è una nuova nascita, un viaggio in un baratro luminoso in cui morti andranno a precipitare, un passaggio questo, che vorrei paragonare alla discesa uterina, alla migrazione tra l’altrove che ci precede e questa esistenza. Il poeta si fa placenta tra vita e morte, si fa materia sottile capace di assorbire suoni e luci tra mondi, si fa membrana in grado di raccontarci l’oltre, si fa velo nel quale avviene uno scambio osmotico di liturgie, di mancanze e di carne, accadimenti dei quali si nutre e a sua volta nutre.
A Galloni pare non basti esplorare il mondo dei vivi, così in questa silloge capolavoro, ci porta con sé a osservare attraverso il suo sguardo illuminato chi è già altrove. Per fare ciò, scavalca tabù e ci regala il biglietto per una nuova dimensione.
Per Gabriele i morti non ascendono, ma precipitano in una luce, dove trovano ad attenderli altri morti che leggono loro la mano per indicare “le coordinate per un’altra vita”, dove incontrano entità che leggono il futuro dopo il punto, un punto che si capovolge e si fa inizio di un nuovo viaggio.
Galloni inoltre, con straordinaria maestria ci guida e ci traghetta tra le sponde dei suoi stessi versi. 
Ci indica con precisione quando soffermarci a pensare e, per fare questo, usa l’espediente di un verso bianco come se, con lo spazio vuoto, ci facesse richiesta di un silenzio più grande, di una pausa più larga, di un tempo nel quale porci domande e scegliere se andare oltre oppure, una volta giunti al punto posto dall’autore, restare. Abbiamo una raccolta fatta di luci, di silenzi e di materia, di componimenti brevi, cesellati e straordinariamente intensi nei quali l’autore usa un lessico semplice ma ricco di allitterazioni e un sapiente uso della metrica (distici perfetti, novenari, endecasillabi canonici e sdruccioli), metrica che non risulta mai né sfacciata né invadente, ma dona ai componimenti un ritmo incalzante.
Questa raccolta, nella quale Galloni sembra aver instaurato un dialogo con i defunti, può essere letta come fosse un rapporto stilato al ritorno da un viaggio in un luogo sommerso, che è al contempo sotto e tutto intorno a noi.

I morti continuano a porsi
le stesse domande dei vivi:
rimangono i corsi e i ricorsi
del vivere identici sulle
due rive. In che luce cadranno
tornati alle cellule.

I morti, nel loro vivere, non sono dispensati dalla fatica. Prima di cadere e vedere nuova luce, si formano come feti con un tempo preciso di gestazione, dopo di che non scivolano, non vengono trasportati passivamente, ma agiscono, operano per il raggiungimento dell’obiettivo. 

I morti seguono un apprendistato
severo. Per sei mesi sono semplici
ematomi; poi superfici lisce.
E se divengono quel che già sono
è solo merito loro (non scivolano).

Nell’ultimo testo che vado a proporvi, incontreremo un ritorno di T: attraverso questa lettera occlusiva dentale, dura, percussiva (inoltre spesso raddoppiata) Galloni riesce a misurare la giusta quantità d’inquietudine da aggiungere a quella che è l’immagine, apparentemente serena, di un gesto vestito da rituale sacro. Questo senso sottile di turbamento accompagna il lettore lungo l’intera silloge e ne diventa filo conduttore. Abbiamo quindi un gesto votivo che lega la materia terrena dell’intonaco a un astro protagonista di una magnifica sinestesia.
L’azione dei trapassati, il loro gesto forte di grattare barriere, è fondamentale per il passaggio tra questi due elementi.
Trovo, che in tutto questo ci sia un magistrale intreccio tra la presenza costante dei morti nelle case (le nostre case, le loro case), l’altrove e il sacro. Tra il terzo e il quarto verso incontriamo nuovamente il verso vuoto, il tempo largo, come se dovessimo dar loro un maggior spazio temporale, affinché (prima di dirci cosa ne faranno), possano terminare la raccolta finalizzata all’offerta. Nell’ultimo verso, la luna non raccoglie, forse lo farà in seguito, dopo il punto, nel silenzio che si fa lunga attesa fino a un evento, a un mistero, che non ci è dato conoscere.

I morti a notte
grattano via l’intonaco;
lo raccolgono in piatti
di legno e ciechi lo offrono alla luna
sempre distratta.

Vi lascio con l’estratto di un’intervista per Liminamundi, nella quale lo stesso Gabriele Galloni dichiarava:
“Quel libro mi aveva distrutto. Era stata una catabasi, un tentativo sfiancante di dialogo con l’Assente. E allora decisi che anche io avrei creato il mio Alcyone, il mio personale inno alla vita; lasciarmi alle spalle la morte, i morti, la Fine.”
In queste sue parole possiamo comprendere quanto la poesia lo coinvolgesse fisicamente e quanto gli sia emotivamente costato il parto di questa straordinaria opera, che merita di vivere a lungo entrando nelle case di chiunque ami la poesia.

___________

Una poesia di Davide Cortese dedicata a Gabriele Galloni


Questo sorriso è un addio
questi occhi, un addio
io sono un addio.
Non per molto la mia eternità.
Non per sempre la tua eternità
e allora ti prego
sorridimi
ora, mentre non so dirlo
io non so dirlo, se è un addio.
Tuttavia mi vedi qui, adesso
e io non ci sono, qui.
Troppo tardi
troppo presto.
Ah, poter dire "a domani".

Davide Cortese - inedito 2023

______

BREVE NOTA BIOBIBLIOGRAFICA

Davide Cortese (Isola di Lipari, 1974) è artista, poeta e scrittore. Nel 2015 ha ricevuto in Campidoglio il "Premio Internazionale Don Luigi Di Liegro per la Poesia" e nel 2023 a Firenze il "Premio La Chute alla Poesia". Tra le sue raccolte di poesie ricordiamo:"Darkana" (LietoColle), " Zebù bambino" (Terra d'ulivi) e "Tenebrezza" (L'Erudita). 
Nella foto di Arianna Vartolo: Davide Cortese e Gabriele Galloni a "Casa Vuota", a Roma.
_________

DEDICATO
DA MATTIA TARANTINO 
A GABRIELE GALLONI

da L’età dell’uva 
(Giulio Perrone ed., 2021)

Facendo il verso a G.

I
I morti odiano risolvere
i nostri indovinelli: si chiedono
soltanto se esista una parola
per tornare tra di noi.

II
Ai morti piacciono i bambini
che ridono dei nonni. Li guardano
come una commedia per capire
se presto avranno nuovi amici.

III
I morti odiano le rime
complicate. Eppure spesso
giocano a imitarle:
è un peccato non abbiano la lingua.

IV
Ai morti piace fare
confusione sulla tavola:
soprattutto giocano a nascondere
ossicine nei bocconi delle vecchie.

V
I morti odiano gli accenti
più marcati: le loro
voci non hanno provenienza
e per questo rubano le nostre.

VI
I morti odiano la sagoma
degli amanti, e le lenzuola
in cui sentono ansimare:
è per questo che un giorno li separano.

VII
I morti odiano sapere
il destino di noi tutti:
è per questo che confondono
i segni che ci capitano.

VIII
Ai morti piace abitare
le placente. Le usano
per tornare tra di noi:
nelle vene dei bambini il loro sangue.

NDR: La foto dei due poeti è stata scattata da Simona Russo. Troverete qui una lettera che, in occasione del secondo anniversario della morte, Mattia Tarantino ha scritto a Gabriele. Se ne consiglia vivamente la lettura per comprendere i due poeti.
______

BREVE NOTA BIOBIBLIOGRAFICA

Mattia Tarantino (Napoli, 2001) codirige Inverso – Giornale di poesia e fa parte della redazione di Atelier. Collabora con numerose riviste, in Italia e all’estero, tra cui Buenos Aires Poetry. I suoi versi sono stati tradotti in più di dieci lingue. Ha pubblicato L’età dell’uva (2021), Fiori estinti (2019), Tra l’angelo e la sillaba (2017); tradotto Verso Carcassonne (2022), di Juan Arabia e Poema della fine (2020), di Vasilisk Gnedov.
_________

IN DIALOGO POETICO CON GABRIELE GALLONI
(DI SERGIO DANIELE DONATI)

IDILLIO ARCADICO

Suonano le campane della sera,
insieme, in una sola, bianca voce.
Gorgheggia il fiume, lì, nell’ombra nera,
verso la foce.
Silenzio. I fauni danzano sul colle,
al lume delle torce e delle stelle;
danzano insieme con cadenza molle
madri e sorelle.
Giunge dal mare il suono dei giuncheti,
dei marittimi boschi, degli amanti
nascosti, il suono dolce dei segreti
sospiri affranti.
Amore non è che una brezza lieve
sui corpi dei ragazzi, questa notte;
Amore eterno, bianco, Amore breve,
a voci rotte.
Amore che ritorna e fugge via,
ornato di violette e di asfodeli.
Amore, bacio della nostalgia
senza più veli.
Suonano le campane della sera...

(tratto da La luna sulla case popolari - ChiPiùNeArt ed. - 2021)

"Autoritratto" foto di Sergio Daniele Donati
SERA 

Costruiamo ponti la sera,
e ci attarda un canto di stella
- sorriso screziato del Fato -
là, tra le speranze di cuoio
di un'infanzia mai collinare.
Battiamo le mani, la sera;
al lento ritmo della goccia
che sfuma l'indaco del sogno.
Le nostre pelli ci chiamano
ad accogliere il mutamento,
e a posare paterni palmi
sulle bianche nuche timide
dei nostri figli blu; d'argilla.

Parole mai più dette
e voli di rondine
nel canto della sera.

(Sergio Daniele Donati - Inedito dedicato a Gabriele Galloni - 2023)
_________

stampa la pagina

Commenti