(Redazione) - Dissolvenze - 19 - A me gli occhi

 
A cura di Arianna Bonino
I Paesi Bassi non avranno forse una cucina memorabile e distintiva (per esempio, il fatto che manchi la cultura degli antipasti è gastronomicamente delittuoso e imperdonabile), ma hanno saputo a loro modo sfornare prelibatezze irrinunciabili in altri campi, quantomeno in quello artistico. Oggi sfogliavo un bel libro di Carlo Ginzburg (1) e mi è caduto l'occhio sull'immagine di copertina, un mirabile pannello realizzato nel 1730 da Evert Collier.
Il nome suona inglese perché Evert, nato a Breda nel gennaio del 1642, fu battezzato Colier, salvo poi, quarantenne e trasferitosi a Londra, scegliere di modificare il nome (più volte, a ben vedere), probabilmente per integrarsi maggiormente in quella terra inglese dove trascorse una decina d'anni e dove tornerà definitivamente dopo una breve permanenza in Olanda.
Collier studiò ad Harleem, dove fu fortemente influenzato dal lavoro di Vincent Laurensz van der Vinne (di cui peraltro sono sopravvissute poche opere rispetto a quanto possa dirsi del lavoro di Collier).
Ci sono due cose che distinguono il lavoro di Collier: il fatto che dipinga trompe-l'œil, con il ben noto effetto tridimensionale dei soggetti ritratti, e poi il fatto che i suo soggetti sono cosiddette "vanitas", dei memento mori con tanto di avvisi, note e, cosa non infrequente, teschi sparsi qua e là, proprio a ricordare che tutte quelle chincaglierie, per preziose che siano, tutte quelle rarità - che all'epoca erano bottino irrinunciabile dei grandi signori, spesso destinate ad arricchire le "camere delle meraviglie" da sfoggiare come segno di esotismo, di potere, di prestigio - altro non sono che fugaci piccolezze, destinate anche loro, come tutto, a passare.


Vanità, cose vane, cose volatili. Collier dipinge l'effimero per mostrarlo come tale: buste, pettini, penne, candele, chiavi, libretti, ritratti, incisioni, lettere, medaglie, bastoncini di ceralacca e altri oggetti "vani" e con un incredibile, ingannevole realismo.
Non ritrae persone. Meglio, non persone vive. E nemmeno intere…
E pensavo che è bizzarro come a volte cose finte (che magari ricordano la morte) siano credute vere per via del loro finto realismo. Ma, soprattutto, mi stupisce sempre che si ritengano false (o si finga di ritenerle tali) cose evidentemente reali e che non sono rappresentazioni della morte, ma testimonianza di lei.
Che si vada in confusione davanti ad un trompe-l'œil, è facile: sembra fatto apposta. E ancor più se si rappresentano cose mostruose e bizzarre, attraenti per il pericolo che occultano ma che s’intuisce, come spinge a procedere nel suo nero un corridoio buio, al fondo al quale ci è parso di veder baluginare qualcosa, per un istante. Sì, perché c’è una altra tendenza che pare tipica dell’essere umano: la curiosità, il desiderio di sapere e, forse, un certo “voyeurismo antropologico” rivolto alle stravaganze, alle stranezze, alle bizzarrie, proprio perché aberranti (quindi, tanto meglio se lo sono).
Nel 1600 la bacheca di Facebook non esisteva ancora, ma la voglia di sapere, di curiosare e di mostrare invece c’erano già. Come fare? I più ricchi e fortunati allestivano, come si diceva, una “Wunderkammer”, una camera delle meraviglie o gabinetto delle curiosità, in cui conservare oggetti, stranezze botaniche e animali, manufatti insoliti, unicità bizzarre e stupefacenti.
E tutte queste meraviglie avevano bisogno di teche e bacheche dove essere conservate e mostrate.
Lo “scarabattolo” è uno stipo in legno e cristalli che chiude o protegge tali universalità curiose e preziose. C’è uno scarabattolo più speciale degli altri al mondo ed è quello dipinto da Domenico Remps. Le poche notizie che si hanno su di lui sono che fosse tedesco e che, come molti altri artisti dell’epoca barocca, sia giunto in Italia, precisamente nella meravigliosa Venezia, in cerca di commissioni, oltre che di ispirazione artistica. E fu probabilmente il marchese Francesco di Cosimo Riccardi, maggiordomo maggiore del granduca di Toscana Cosimo III de’ Medici, a commissionargli quello che a tutt’oggi riconosciamo come uno degli artefatti più geniali esistenti. Si tratta del più sorprendente dipinto ad olio trompe-d’oeil del Barocco: lo “Scarabattolo” di Remps.


Oltre ad essere un’opera straordinaria dal punto di vista della realizzazione, della tecnica, quest’opera ha un enorme valore storico, perché è grazie a questo dipinto che abbiamo dettagli sulla collezione medicea di “naturalia e artificialia” dell’epoca: vi sono rappresentati, tra gli altri, un termometro ad alcool, una pistola, bronzetti, cammei, un orologio da tasca, oggetti in avorio tornito, minerali, scarabei, una lettera manoscritta infilata in un’anta a vetri della teca, un calamaio, penne d’oca, medaglie, uno strumento scientifico in vetro soffiato, una lente, uno specchio sferico, conchiglie e un cranio umano con un corallo rosso alla sua sommità. Tutte cose realmente esistite. Senz’altro il cranio, ad oggi ancora conservato nella wunderkammer del museo di storia naturale dell’Università di Pisa.
Lo “Scarabattolo” di Remps invece si trova oggi all’Opificio delle Pietre Dure di Firenze.
E anche Domenico Remps, a sua volta, evidentemente aveva desiderio di stupirsi e, qui, di stupire, un po’ come tutti noi. Una bacheca. Il dipinto di una bacheca. Così realistico che ci sembra di toccarli quegli oggetti, di averli davvero visti.
Una bacheca, quindi.
No, il dipinto di una bacheca.
No, no: l’immagine del dipinto di una bacheca.
D’altronde, “Scarabattolo” è solo un nickname: “Natura morta a inganno”, questo è il primo nome dell’opera.
Ma ancor prima di Remps e Collier qualcuno aveva stupito e ingannato lo sguardo dei più, nascondendo agli occhi un segreto che si rivela solo a date condizioni.
"Vexierbild": nel meraviglioso dizionario dei fratelli Grimm, tra gli altri compare questo termine, che deriva dal latino "vexare" e indica qualcosa che si potrebbe tradurre con "raffigurazione vessatoria", un enigma per gli occhi (e non solo). Se ancora oggi c’è censura (su certi social in particolare), figuriamoci all’epoca.
E allora, onde evitare reprimende o peggiori conseguenze, ma anche per stuzzicare la curiosità del pubblico o guidati da mero divertimento (così come si prova una certa soddisfazione nell’aggirare abilmente i limiti e i divieti di Facebook, diciamocelo), nel tardo medioevo si sviluppò la pratica di celare nelle opere d'arte significati nascosti.
Ed ecco che proprio per non incorrere nell'accusa di oscenità o d’aver fatto satira in modo troppo pungente e irriverente, si nascondono con arguzia piccoli e grandi segreti, alcuni certamente ancora da svelare.
Capovolgere un'opera e scoprire, per esempio, una fanciulla discinta celata nel profilo di un santo o intravvedere una scimmia nel bordo di un edificio sullo sfondo di un ritratto, questi sono gli inganni e gli enigmi che rendono note e intriganti diverse opere del passato, tanto intriganti che talvolta si è tentati di cercare misteri anche dove forse non ce ne sono affatto.
Una particolare forma di vexierebild è l'anamorfosi e un celebre caso è quello dell'opera di Holbein il Giovane intitolata "Gli ambasciatori", che, vista dalla giusta prospettiva, svela un formidabile segreto proprio al centro. Ma bisogna saper guardare.
Come a dire che sembra tutto così chiaro, così tranquillo, così limpido, finché non lo si guarda con la - biforcuta -coda dell'occhio…


Lo sapeva bene anche Kafka, che ci aveva chiaramente avvisati:"das Versteckte in einem Vexierbild sei ‚deutlich und unsichtbar: deutlich für den, der gefunden hat, wonach zu schauen er aufgefordert war; unsichtbar für den, der gar nicht weiß, daß es da etwas zu suchen gilt" (2) 
(“Ciò che è nascosto in un Vexierbild è manifesto e invisibile. Manifesto per chi ha scoperto da che parte guardare per evocarlo; invisibile per chi non sa nemmeno che ci sia qualcosa da cercare.”)
E poi, come Ingmar Bergman faceva dire a un suo indimenticabile personaggio, «un teschio spesso interessa molto di più di una donna nuda». (3)


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RIFERIMENTI

1 - Carlo Ginzburg, “Il filo e le tracce. Vero, falso, finto”, Feltrinelli, 2006
2- Hg. von Ute Harbusch und Gregor Wittkop,“Kurzer Aufenthalt. Streifzüge durch literarische Orte”, Wallstein, 2007
3 - Ingmar Bergman,”Il settimo sigillo”, Iperborea, 2017. Traduzione di Alberto Criscuolo

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Commenti

  1. Arianna: un interessante excursus su scoperte scientifiche, senso dell'effimero, illusione. Elementi che hanno intessuto l'antropologia di quell'epoca soglia di traghettamento verso una fase di modernità nostra alba. Complimenti

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    1. Grazie per questa lettura profonda e per me occasione di nuovo stimolo alla ricerca (da Arianna Bonino)

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