(Redazione) - Su due sillogi di Francesca Serragnoli (nota di lettura di Sergio Daniele Donati)


Facciamo un gioco. Fingiamo di non conoscere Francesca Serragnoli, la poeta di cui oggi parleremo, di non aver mai letto le sue composizioni e di non aver altro da fare che tuffarci nella tessitura di testi a noi sconosciuti. 
Facciamolo col serio sorriso del bambino quando gioca, con la precisione appassionata dell'orafo quando deve comporre preziose gemme in un solitario. 
In questo gioco tra me e voi, lancio il primo dado

Convivo con la pioggia
un brivido
issarmi per un filo
arrivare al vento
slacciare il profilo come un petto. 1

Vedete anche voi con quale maestria la poeta abbia fatto poggiare il verso d'esordio su quello che lo segue e quanto questa serie di incalzanti infiniti proietti l'attento lettore verso una domanda che prende sempre più corpo?
Quale azione seguirà? La poeta non lo dice e lascia all'ultimo infinito (slacciare) un senso profondo di dinamica, di sfilacciamento, che ci fa dire la composizione volutamente non conclusa e sospesa.

Secondo dado pronto ad essere lanciato.

Ho sollevato i calici
perché le mie mani sparissero
nell’ombra di bicchieri pieni.
Mi fai paura
con i segni di bandiere
movimenti notturni di incidenti… 2

Qui il mondo simbolico in cui eccelsamente la poeta ci proietta, pur nella piena modernità delle vie linguistiche elette, ci parla di un medioevo immaginario, o almeno immaginato. 
Lo vedete anche voi? Non sta a me ricordare cosa rappresentino il calice e la bandiera ma è certo che in questi versi un certo antico recente si muove con la grazia che solo l'autrice sa dimostrare. 
Siamo di fronte ad una scrittura forse post-moderna che poggia, e non è un caso, su un immaginario antico. Lo percepite anche voi?

Terzo Dado lanciato.

Pestare la tua bocca
come foglie rosse di una siepe recisa 
o guardare qualcuno
che ridendo scarabocchia la morte 
che ha visto Dio e la vita
a tirare corde di campane
come se il tempo impiccato 
morisse in una musica. 3

Qui la poeta sembra fare un gioco di apertura e chiusura nel quale mostra tutta la sua abilità a giocare sia col simbolo/significato, sia col ritmo del verso. 
Per spiegare meglio: l'esordio con un infinito  del primo verso apre, l'aggettivo finale del secondo chiude, l'ipotesi del terzo apre di nuovo, il sostantivo finale del quarto chiude (e chi più di quella parola può farlo?), per opposizione il sostantivo finale del quinto verso riapre, e quello del sesto richiude (sono rintocchi che parlano d'una fine, che segnano il tempo), l'ipotesi del penultimo riapre, il verbo dell'ultimo chiude - come lapide - ogni possibile dire. 
Lo vedete anche voi?

Quarto e ultimo dado.

Chi è solo porta a spasso 
il cane del suo volto 
s’incatena a sé
in un groviglio freddo 
copre una panchina 
somigliano a un uomo 
a un portachiavi
e non apre niente 
la loro sera. 4


Il modo di declinare il tema della solitudine in questa poesia è davvero particolare e profondo, non solo per la maestria nell'uso di metafore inusuali (un volto portato a spasso come un cane) ma soprattutto perché nonostante la potenza delle immagini (incatenarsi a sé, groviglio freddo, impossibilità di aprire nulla di fronte alla sera) il tema è trattato con estrema delicatezza. 
È una scrittura paradossalmente diretta e quasi cruda e delicata e tenuta allo stesso tempo. E questa è dote, lo si è detto spesso altrove, sempre più rara in un momento storico in cui sembra che la poesia sia divenuta per molti solo espressione dolorosa fine a sé stessa, senza pressa di coscienza. 

Questa poesia, al contrario, ci apre alla visione, certo dura e cruda, di cosa sia la solitudine nella sua declinazione vera. Ci rende, in altre parole, testimoni di un dramma di cui spesso ignoriamo la presenza nelle nostre sesse vite, abituati come siamo a portare i nostri volti in giro al guinzaglio come se fossero cani.
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Alea iacta est, il nostro Rubicone è attraversato. Non mi resta che svelarvi due o tre cose. 
Ho parlato della meravigliosa poeta Francesca Serragnoli che vi consiglio davvero di seguire sempre con attenzione e con l'ammirazione che merita.
I dadi 1 e 2 sono tratti dalla sua silloge Il fianco dove appoggiare un figlio (Bologna 2003 - ried. da Raffaelli editore, 2012).
I dadi 3 e 4 sono tratti dalla silloge La quasi notte (MC editore, 2020).
Abbiamo parlato dunque della prima e dell'ultima fatica poetica della poeta. 

Per la redazione
il Caporedattore - Sergio Daniele Donati
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BREVI NOTE BIOBIBLIOGRAFICHE SULL'AUTRICE

Francesca Serragnoli (Bologna 1972), si è laureata in Lettere Moderne e in Scienze Religiose. Ha pubblicato le raccolte Il fianco dove appoggiare un figlio *(Bologna 2003, nuova ed. Raffaelli Ed. 2012), Il rubino del martedì (Raffaelli Ed. 2010) e Aprile di là (LietoColle – collana Pordenonelegge, 2016), La quasi notte (MC, Milano, 2020). 
E’ stata tradotta in varie lingue, suoi testi sono apparsi in varie antologie estere e in volume in Argentina, Spagna e in Romania.
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