(Redazione) - Specchi e Labirinti - 13 - Il giovane Pasolini e l'antico Pascoli

A cura di Paola Deplano

L’annuario dell’Università di Bologna, a proposito del piano di studi di Pasolini Pier Paolo di Carlo numero di matricola 3416, iscritto alla Facoltà di Lettere dall’anno accademico 1939-40, recita così:

A.A. 1939-40
Letteratura Italiana (Calcaterra): la poesia di Vittorio Alfieri (esercitazioni sul Goldoni); Letteratura Latina (Funaioli): le origini della letteratura romana e Tito Livio; Storia della filosofia (Saitta): la filosofia dell’Umanesimo nella seconda metà del Quattrocento e illustrazione del Discorso sul metodo di Renato Cartesio; Letteratura greca (Coppola): la tragedia greca ed in particolare l’Ippolito di Euripide; Storia greca (Solari); la seconda guerra per l’indipendenza greca; Storia moderna (Simeoni): l’Italia dagli accordi di Bologna alla pace di Cateau-Cambrésis; Filologia romanza (Parducci): i più antichi trovatori provenzali e il romanzo picaresco; Lingua e letteratura tedesca (Bianchi): il Romanticismo in Germania e in particolare Novalis; Lingua e letteratura inglese (Cellini): Cristoforo Marlowe.
A.A. 1940-41
Letteratura latina (Coppola): le Satire di Lucilio; Letteratura italiana (Calcaterra): il secentismo (esercitazioni sul Tasso); Letteratura greca (Coppola): i frammenti di Alceo e Saffo; Storia romana (Solari): l’Impero; Glottologia (Bottiglioni): il latino preromanzo e la formazione delle lingue neolatine; Storia medievale (Simeoni): la lotta delle investiture in Italia.
A.A. 1941-42
Storia dell’arte medioevale e moderna (Longhi): la pittura fiorentina dal 1420 al 1440: il problema di Masolino-Masaccio; Filosofia morale (Battaglia): il lavoro e la personalità: pedagogia e morale nella letteratura umanistica del Quattrocento; Lingua e letteratura spagnola (Parducci): il Don Chisciotte di Cervantes.
A.A. 1942-43
Filologia romanza (Parducci), Estetica e Lingua e letteratura francese (Lugli). 1

Per quanto è dato sapere da questo incompleto elenco – per l’ultimo anno di corso non ci è rimasta la testimonianza dell’annuario 2 - Pasolini si orienta da subito verso lo studio del mondo moderno, in particolare delle lingue europee. La sua biblioteca di quegli anni è anch’essa lo specchio di questa predilezione per il mondo attuale e per le letterature estere: in essa coesistono Cardarelli, Ungaretti, Montale, Betocchi, Luzi, Gatto, Sereni insieme a Dostoevskij, Shakespeare, Rilke e Machado. 3 A completare un bagaglio culturale già di tutto rispetto, non mancano le aperture verso il cinema, il teatro, la musica e la storia dell’arte.
Al momento della conclusione del corso di studi, fu proprio verso le arti figurative che il giovane poeta si orientò per la propria tesi di laurea. Nel 1942, dopo le esaltanti lezioni di Storia dell’arte Medievale e moderna di Roberto Longhi, Pasolini propose al professore un elaborato su la Gioconda ignuda di Leonardo, o il pittore veneto Pomponio Amalteo o la pittura italiana contemporanea. Sarà proprio quest’ultimo argomento quello su cui Longhi accetterà di seguirlo e il laureando si mise all’opera con enorme entusiasmo, in quanto assiduo frequentatore di musei e gallerie d’arte, nonché appassionato redattore di articoli sulle nuove tendenze delle arti figurative. Il lavoro, purtroppo, andò perduto – probabilmente a Pisa 4 - nel convulso periodo dopo l’8 settembre, quando, preso prigioniero dai Tedeschi, il poeta riuscì a fuggire da Livorno per tornare a Casarsa. Ricostruire la tesi a posteriori era diventato nel frattempo improponibile, anche perché, oltre al testo, mancava ormai anche il relatore: il professor Longhi era stato infatti destituito dall’insegnamento in quanto si era rifiutato di giurare fedeltà al partito fascista. Disperato e confuso, Pasolini chiese aiuto per lettera all’amico Luciano Serra:
Io dell’Università non so niente. Come si fa ad essere «fuori corso»? Bisogna iscriversi? Cerca di sapermi dire qualcosa e di aiutarmi in questo senso.
Io devo fare lezione per circa 5 ore al giorno.
Senti, chiedi anche a Calcaterra, se puoi, se, nelle mie condizioni, può accettare una tesi su «Giovanni Pascoli» 5.
Calcaterra accettò e in breve prese forma una tesi di laurea che è un omaggio a Giovanni Pascoli, che in quel momento Pasolini sentiva particolarmente affine, quasi un fratello:
Il Pascoli è poeta a cui mi sento legato quasi da una fraternità umana, e, per questo, benché non sempre accetti la sua risoluzione formale, e anzi, in qualche periodo della mia vita l’abbia assai criticata, l’ho sempre letto e molto assimilato 6
La tesi si apre con un’ampia introduzione, in cui vengono tratteggiate le caratteristiche principali delle opere dell’autore studiato. Nella sezione successiva, quella più propriamente antologica, le liriche sono attentamente analizzate e valutate da questo giovane poeta che aveva già la stoffa del maturo critico letterario. La scelta è, a tratti, originale e personale, abbastanza lontana dal Pascoli che veniva apprezzato allora. La prima poesia, ad esempio, è un piccolo gioiello contenuto ne I poemi conviviali, dal titolo L’etera. Una fantasia necrofila che ha come protagonista una prostituta dell’antica Grecia. Una scelta, quindi, originale e, in qualche modo, ardita, sia come tema che come diverso approccio all’opera di Pascoli.
Tutte le liriche, oltre ad essere minuziosamente analizzate metricamente e stilisticamente, sono il punto di partenza di commenti con acute e profonde intuizioni critiche, che spesso saranno riprese più estesamente in altri scritti più tardi, più maturi. Valga, a titolo di esempio di quanto appena esposto, l’incipit dell’introduzione di Pasolini, che qui riportiamo:
Cominciamo la lettura de L’Etera:
E Moscho a quella lampada solinga
La teda accese, e lesse nella stele.
Qui v’è una nudità, una sorveglianza nel non dire parole, ma cose, gesti. Moscho, cioè una persona, e greca; e tutti gli oggetti rievocati per mezzo dei loro puri e semplici nomi: lampada, teda, stele. E le azioni nude, e cioè vive; non cantate ma dette, come appunto se bastassero i loro usuali nomi a rievocarle, e null’altro; e come se l’azione, la vera azione consistesse in ben altro, si trovasse al di là della stessa poesia, dove ne compaiono unicamente nomi: accendere, leggere. E i nostri sensi, docilmente si conformano a quei suggerimenti del poeta, che, una volta tanto, si accontenta di dare qual che può dare, limitandosi ad una resa fedele del suo mito funerario. I nostri sensi, ripeto, docilmente si prestano a quella rievocazione, riconoscendosi, malgrado la favolosa lontananza, in quell’accendere, in quel leggere di un greco morto or son tremila anni.
Non meno schietta è la stele:
MYRRHINE AL LUME DELLA SUA LUCERNA
DORME. ÈLA PRIMA VOLTA ORA, E PER SEMPRE.
Il primo endecasillabo da solo parrebbe anodino, perché è facile quel ritmo appena popolare dall’accentuazione vieta, e facilmente commemorativo, se la frase non andasse a terminare nel secondo, e con due sole sillabe: dorme. Cosa non solita, specialmente in Pascoli. Allora il ritmo si frena; si risente; riposa. A parte quella pausa dopo dorme, l’endecasillabo è tuttavia assai lungo alla lettura per le difficili elisioni, che, infine, non si possono far avvertire, e come se quelle non avvenissero, le parole si leggono intere, crescendo così il numero delle sillabe; e c’è poi un’altra lunga pausa prima di «e per sempre». Insomma l’endecasillabo ha una perfetta durata di voce umana, per quanto poeticissima. Comune quel «per sempre»; comune quel «dormire» per «essere morti». Assai meno quel «prima volta ora» che figura assai ben la meraviglia della morte. Così tutte le parole della stele sono pervase da un senso, da un’accoratezza mortale, e anche da una leggerissima ironia (che eromperà più avanti: «Mirrhine dorme le sue notti, e sola!») E nulla ci impedisce di seguire il poeta in quel suo vago desiderio di rievocare alcunché di greco, anzi, di ateniese; nulla ci impedisce di ammirare senza riserve, ma al contrario godendone, quella patina, quell’umido, quell’artificiale vecchiezza di cui il poeta ha soffuso le sue figure7
Scrivere un’antologia su un autore, scegliendone dei testi, piuttosto che altri, dice molto di più sull’estensore dell’antologia stessa che sull’oggetto dello scritto. In questa tesi dalla storia travagliata ma dagli esiti riuscitissimi, Pasolini scrive di Pascoli ma sembra quasi tracciare un ritratto di sé stesso. Il suo profilo di intellettuale giovane ma già formato si intravede chiaramente sotto le movenze dell’uomo di cui ha scelto di parlare, con puntuale precisione e indistinta poesia. Un argomento a lui talmente caro da essere ricorrente. Egli ci ritornerà, infatti, in due saggi, uno del 1947 (Pascoli e Montale) e l’altro del 1955 (Pascoli).
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NOTE
1) Marco A. Bazzocchi – Ezio Raimondi, Una tesi di laurea e una città in Pier Paolo Pasolini, Antologia della lirica pascoliana, Einaudi, Torino 1993, p. IX.
2) Cfr. Ivi, p. XXXIII, n.9.
3) Cfr. Ivi, p. VIII.
4) Cfr. Ivi, p. XVI.
5) Ivi., p. V.
6) Lettera al professor Calcaterra citata nell’introduzione a Pier paolo Pasolini, Antologia della lirica pascoliana, cit., p.XVII.
7) Pier Paolo Pasolini, Antologia della lirica pascoliana, cit., pp. 5-6.

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