(Redazione) Riflessioni, non recensioni - 08 - Riflessione su “Lontano dall’albero” (Vicino al cuore e presenti nell’esperire)

A cura di Stefania Lombardi

Questa rubrica si chiama “Riflessioni, non recensioni” perché, solitamente, le recensioni dovrebbero essere sprovviste di “spoiler” e dare indicazioni a chi non conosce l’argomento trattato.
Per questo mi sono quasi sempre occupata di film o serie abbastanza “datati”, dandone come per acquisita una certa conoscenza e poter riflettere assieme su alcuni punti, per me di rilievo.
Questa volta faccio un’eccezione e introduco un corto Disney relativamente recente: “Lontano dall’albero”.
Qui non c’è pericolo di “spoiler” perché è tutto affidato all'espressività e alla suggestione delle immagini e non a come andrà a finire la storia.
Pertanto, si può parlare della storia senza rovinare nulla.
Chi deciderà di dedicare il proprio tempo alla visione di questo cortometraggio di 7 minuti lo farà per altri motivi: quelli legati alle immagini e alle relative emozioni che ci rimandano.
“Lontano dall’albero” è un corto Disney molto particolare e non solo perché introduce la disciplina dolce come modello educativo attraverso madre e figlia procione.
Non solo perché i dialoghi non sono necessari: si comprende tutto dal loro linguaggio non verbale.
Come accade con i libri illustrati senza testo, dove tutto è affidato alle immagini.
Il corto, tuttavia, offre qualcosa in più, ricorrendo all'animazione per farci seguire e comprendere il percorso personale della piccola (e poi adulta) prociona verso la disciplina dolce.
La disciplina dolce non è lassismo come ben sa chi la conosce e la pratica.
La disciplina dolce ha “disciplina” nel nome e implica esserci, nel vero senso della parola.
Onestamente, è molto più semplice essere rigidi ed “educare” a suon di divieti, premi e punizioni e senza spiegazione alcuna, solo perché siamo in una posizione di superiorità.
La disciplina dolce, invece, sceglie la via più “impegnativa” per chi educa: empatizza e consente l’esperire.
Per farlo, tuttavia, occorre una presenza costante, occorre essere lì e pronti a intervenire se necessario, invece che evitare a priori l’esperienza ritenuta pericolosa.
Quando vediamo la piccola prociona diventata madre a sua volta, all’inizio dell’interazione con la prole, la prociona ripropone il modello educativo ricevuto comportandosi con il sangue del suo sangue come sua madre aveva già fatto con lei.
Questo accade perché tutti noi, istintivamente, tendiamo a trattare gli altri come siamo stati trattati noi stessi.
E tendiamo a riproporre i modelli educativi ricevuti perché, freudianamente, abbiamo interiorizzato i nostri genitori nel nostro “Super Io” e mai metteremmo in discussione il loro modello educativo dato che noi stessi ne siamo il frutto.
Ma siamo anche un frutto che continua a maturare nel mondo con l’aggiunta delle nostre esperienze e riflessioni.
Spesso ce lo dimentichiamo.
Mamma prociona, dunque (ovvero la cucciola di prociona che vediamo a inizio cartone e che poi ci viene mostrata da adulta), tratta la figlia con gli stessi divieti ricevuti, senza alcuna spiegazione.
Poi accade qualcosa.
Mentre rimprovera la figlia per la stessa cosa che fece lei nella sua infanzia (riproponendo lo stesso schema genitoriale ricevuto) vede un’ombra sulla parete.
Si ferma.
Ricorda.
Negli occhi della prole rivede finalmente sé stessa, quella cucciola cresciuta con una lunga serie di divieti e senza neanche una spiegazione (o meglio: una spiegazione c’era stata; e forse quell’unica e tragica spiegazione l’avrà portata, in futuro, verso una maggiore empatia; perché la disciplina dolce è un percorso che inizia da molto più lontano di quanto si creda) e, a quel punto, rompe lo schema.
Empatizza.
Si comporta con la sua prole come avrebbe desiderato essere trattata da cucciola.
Apre un canale comunicativo.
Abbraccia a distanza la cucciola che è stata.
Da quel momento cambia atteggiamento e decide di essere sempre presente nelle piccole esperienze quotidiane della prole.
A lei, da piccola, una conchiglia che tanto le piaceva era stata gettata contro una parte e distrutta.
Ricordando quell’episodio offre una conchiglia alla figlia e, assieme, ne sentono il suono.
Il suono della presenza.
Potremmo anche essere lontani dall’albero ma, in questo modo, restiamo connessi e vicini al cuore di chi amiamo.

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