Il centro e la pratica marziale interiore



"Cerca il centro", disse il mio maestro. "La tecnica non può funzionare se non mantieni il contatto col tuo baricentro".
Poi mi chiese: "Ok l'hai perso, cosa fai per ritrovarlo?".
"Appoggio lo sguardo sulla linea dell'orizzonte", risposi meccanicamente; una lezione imparata a memoria.
"No", disse indurito, "Lo sguardo viene dopo, molto dopo". 
"Sensei, io non lo so", risposi.
Non parlò più e se ne andò a correggere qualche altro allievo.

La sera, come sempre, un grande parlare tra noi allievi, qualche bicchiere di vino e un grande amichevole casino.
"Cos'hai?", mi disse lei, "sembri assente".

Era una delle allieve più anziane del mio maestro.
Bassa, fortemente in sovrappeso, con uno strano accento della Francia centrale.
Quando però saliva sul tatami restavamo tutti estasiati.
Sembrava danzare al ritmo della sua spada di legno, tracciando con la sua punta linee che sembravano pennellate di Gauguin.
Un mio amico la chiamava " sabre du rêve ", spada di sogno.

Le raccontai ciò che il maestro mi aveva detto e di come si fosse irrigidito dopo la mia risposta. Le dissi che continuavo ad interrogarmi sul significato di quella domanda.
Lei sorrise, guardandomi dritto negli occhi.
"Cerca di dormire bene, amico mio", disse.
La guardai stupito, non osando aggiungere niente.

Dopo un ultimo bicchiere andai a dormire.
Il sogno che feci fu particolarmente intenso.
Ero solo in un bosco, nella penombra. Di lontano sentivo mia mamma cantare. 
Mi guardavo attorno con aria concentrata, come se cercassi qualcosa.
Poi una bambina dagli occhi verdi, comparsa dal nulla, mi diceva "È qui, Sergio, è qui".

Mi svegliai di soprassalto ma senza agitazione. 
Cercai dell'acqua e, sì, ricordo che fumai una sigaretta all'aperto.
La campagna francese è magica sotto un cielo stellato. Tornai poi a dormire e, che io ricordi, non feci altri sogni.

La mattina seguente, dopo un'ora di meditazione e un'abbondante colazione, eravamo tutti presenti in attesa che il corso iniziasse.
Il maestro entrò e disse: "Prima di cominciare vorrei verificare una cosa con voi" ed aggiunse, guardandomi negli occhi  "vieni".

Salutai, come etichetta marziale giapponese impone, e mi misi di profilo davanti a lui, la spada con la punta verso il basso tenuta lungo la gamba anteriore.
Il silenzio si poteva respirare come presenza nell'assenza.
Il maestro teneva la spada orizzontale, la punta verso il mio addome.
Alzò la sua arma e cominciò il suo attacco.
Fu un solo istante. Mi mossi verso il suo centro, uscendo all'ultimo istante dalla linea d'attacco, mentre la mia spada si alzava verticale, dal basso verso l'alto, lungo la sua linea centrale vitale, e si fermava a mezzo centimetro dai suoi occhi.

Immobile, inesorabile, vera.

Fu un istante eterno in cui sentii ancora la bimba dagli occhi verdi dire "È qui, Sergio, è qui" e di lontano la voce di mia madre cantare, il cielo stellato della campagna francese negli occhi e nel cuore.

Il maestro si voltò verso gli allievi più avanzati e, sguardo di volpe, disse a spada di sogno: "Hai visto?"

Alla fine del pomeriggio spada di sogno venne da me sempre sorridente.
"Mi sa che mi hai rubato il soprannome", disse.
E, senza aggiungere altro, se ne andò.
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