(Redazione) - Speciale "I Romantici" - “Il primo romanticismo argentino tra l’io lirico e l’io politico” di Antonio Nazzaro
WILLIAM TURNER - TRAMONTO SUL LAGO |
I Romantici hanno aperto sulla nostra contemporaneità, hanno coniato mutamento radicale del modo di sentire e pensare mondo.
La Redazione de Le parole di Fedro ha progettato uno Speciale sui Romantici mettendo a fuoco taluni aspetti di Autori del XIX sec.
Ad una fase di progettazione redazionale è seguita la stesura relativa agli Autori che ognuna/o ha proposto. Ne è nata una tavolozza di sguardi su quest’epoca e le sue innovazioni. Nulla di esaustivo ma, tutto nel segno del piacere della condivisione con Lettrici e lettori di Le parole di Fedro.
La Redazione de Le Parole di Fedro
_________
Il
testo che qui si presenta sul romanticismo argentino e su uno dei
suoi autori più importanti ossia José Mármol (1817–1851) si basa
su due saggi di due critici letterari argentini: La hora de los
tristes corazones, El sujeto imaginario en la poesía romántica
argentina di Jorge Monteleone e José Mármol, el poeta de la
libertad di Enríque Nores Martínez.
Una
precisazione che ritengo sia necessaria per il lettore italiano: la
divisione netta che si marca tra neoclassicismo e romanticismo nella
letteratura argentina non è così definita come nella storia della
letteratura italiana e/o europea. Detto questo possiamo partire e
definire l’aspetto probabilmente più emblematico della produzione
di Josè Màrmol ovvero la nascita o, meglio, l’invenzione di un
soggetto immaginario che chiamiamo, secondo le indicazioni di
Monteleone, “il soggetto lirico romantico”.
Il
soggetto immaginario è il soggetto di persona all’interno del
corpus poetico di un autore, il pronome della prima persona è
dominante e, con esso, ci si riferisce al “soggetto sociale” o
“simbolico” che prende forma in uno spazio pubblico. L’autore
investe le oggettivazioni simboliche-sociali della sua esperienza
personale. Questa mediazione passa attraverso il linguaggio che è il
mediatore dell’azione. Un esempio è proprio il nostro Mármol che
nei “Canti del Peregrino” rappresenta un soggetto
immaginario chiamato Carlos il Peregrino. Socialmente diviene
il Proscritto, allo stesso tempo veste la figura dell’autore
con i lineamenti autorali immaginari presenti nella poesia (ciò fa
affermare: Carlos è Mármol).
Non
v’è esattamente un io di origine ma una specie di circolazione dei
contenuti soggettivi, immaginari e simbolici i quali fanno parte di
talune formulazioni fatte dall’autore. Quando ci si riferisce al
soggetto lirico ci si rifà, nel senso testuale, all’ io della
poesia lirica. Quest’io coincide o fa parte del soggetto
immaginario. Quando ci riferiamo all’ io romantico, si allude alla
specifica articolazione estetica e storica del soggetto lirico nel
romanticismo letterario del diciannovesimo secolo.
Come molte delle cose che sono arrivate e arrivano in Argentina si
può dire che la figura dell’io romantico è giunto in nave come
gli emigranti e le mercanzie. Nel luglio del 1830 tocca terra, ancora
in erba, quello che diventerà il l’io romantico. la sua prima
manifestazione. Essa trova forma in una poesia intitolata: Il
Ritorno di fatto l’io romantico non ritornava ma entrava. Anche
se Esteban Echeverría [1] (1805–1851) in quel momento così scriveva:
La poesia romantica vive di ricordi e di speranze,è il passato e
l’avvenire. Il presente non gli interessa ma solo come
questo s’unisce con le due regioni del mondo che abita”.
Questo aspetto temporale è uno dei modi del vivere di questo
soggetto romantico: mai attuale ma sempre situato tra il passato e il
futuro. In un’altra poesia Nel celebrare il Maggio scriveva:
Oh Patria, Patria, nome sacrosanto,/ a pronunciarti torno con
l’incanto! Tornava dall’Europa il giovane Echeverría ma, nel
confronto con la sua terra, l’alta sembrava una vuota simulazione.
Questa figura dell’io che torna e riscopre come vera la sua terra
nativa, in opposizione a quella europea che, prima, era stata
racchiusa in un’idea di fascino e di desiderio, avrà un grande
seguito nella poesia argentina.
Echeverría
scrive nel “Il Ritorno”: “Il vecchio continente/ soltanto
delusioni mi ha insegnato:/ tra i suoi popoli colti ho cercato/ la
tua celestiale immagine,/ risplendente,/ e vane parvenze ho
incontrato”.
Torna
a una terra libera, dove si può cantare uno spazio nuovo di libertà:
la patria è preziosa, non un miraggio della memoria. Dire patria, in
quel tornare, è un atto di futuro, di affermazione e di certezza
perché trova il suo senso e significato nella Rivoluzione del 1810,
contenuta nella parola Maggio. Il soggetto della lirica romantica era
presente anche se nascosto, in quelle poesie. Nel suo tornare trovava
nella patria la calamita che lo tratteneva e nella Rivoluzione la sua
unica possibilità d’espansione.
La
parola consolazione apparirà soltanto quattro anni dopo, nel
1834, nel titolo della prima silloge di Echeverría, “Le
consolazioni”. Evoca, senza dubbi, l’universo dell’io romantico
nella misura in cui è un universo dell’intimità. Questo stato
soggettivo viene condiviso dai lettori che riconoscono pubblicamente,
attraverso la lettura, qualcosa che avevano vissuto individualmente e
che adesso sembravano esistere per tutti. Finalmente erano stati
nominati. Il libro considerato una vera rivoluzione letteraria è
stato anche l’eco di un sentimento comune.
Studi
recenti sulle nuove forme sociali dicono che dopo La Rivoluzione, con
la quasi caduta del sistema commerciale spagnolo, a favore di
un’integrazione atlantica del commercio, legata all’Inghilterra,
aveva accentuato l’autonomia della sfera privata, con le nuove
abitudini e consuetudini portate dall’apertura del mercato. Questo
rafforza l’immagine del nuovo io che sbarca in Argentina.
Però,
se in Europa il culto dell’io, come derivazione dell’autonomia
del privato e dell’intimità borghese si affermava in una nuova
economia, sul Rio de la Plata, quell’io si restringeva e limitava
per le particolari condizioni storiche delle gesta emancipatrici. Gli
ambiti del privato e dell’intimità si indebolivano davanti ai
doveri e le obbligazioni civiche che generava la situazione del
paese.
Molti
elementi del romanticismo argentino, come fazione politica
d’opposizione al rosismo
(il termine rosismo indica l'instaurazione, dal 1828 al 1852, di un
regime politico autocratico, sotto il comando del Generale Juan
Manuel de Rosas, in cui la violenza veniva utilizzata in maniera
legittima per perseguitare gli oppositori, torturarli e ucciderli.
Era uno stato di polizia che non ammetteva forma di dissenso.
Il
movimento romantico argentino vedeva se stesso come il portatore ed
erede di un pensiero rivoluzionario, l’idea di nazione era
l’oggetto principale dei suoi studi, così tanto da considerare
che, la stessa letteratura doveva essere il veicolo per propiziare il
concetto di nazionalità. Il romanticismo era vincolato all’ideale
rivoluzionario che si riuniva, come detto prima nella parola Maggio
come nucleo nel senso simbolico-sociale.
I
certamen poetici dedicati al Maggio della prima generazione
romantica esiliata in Uruguay, realizzati nel 1841 e nel 1844,
dimostrano questa situazione: per questa generazione la celebrazione
della Rivoluzione di Maggio non era un esercizio di nostalgia né uno
dei tanti temi. La Rivoluzione di Maggio era un motivo centrale della
poesia politica. Si legge questa nota di Juan María Gutiérrez
(Buenos Aires, 6 maggio 1809 – Buenos Aires, 26 febbraio 1878) è
stato un poeta argentino. Oppositore di Juan Manuel de Rosas, fuggì
in Uruguay e poi in Europa; rimpatriato, fu curatore dell'antologia
América poética. “Le feste del Maggio si sono celebrate a
Montevideo, nel 1844, degnamente la decisione eroica di quel baluardo
unico della libertà nel territorio platense. […] I
componimenti rispecchiavano il momento presente e animarono i
difensori di Montevideo a continuare nella resistenza armata”.
Questi
fatti hanno permesso inferire che nell’idea della prima generazione
romantica, il collettivo e il sociale, occupavano un piano superiori
rispetto all’individuale.
Ed è
proprio tra gli esuli di Montevideo che incontriamo il protagonista
di questa succinta presentazione del romanticismo argentino: José
Mármol: il poeta della libertà. Nel pieno della tirannia rosista
lotta instancabilmente contro il regime imperante e già a 19 anni
viene arrestato e pasa una settimana imprigionato. Nel buio della
cella grazie a delle candele e dei piccoli steli di yerba mate scrive
sulle pareti della cella i suoi primi versi contro Rosas. a soli 22
anni Mármol a bordo di una goletta francese attraversava il Rio de
La Plata e si univa ai proscritti argentini di Montevideo.
Il
suo primo riconoscimento come poeta lo ottiene con il secondo posto
in un concorso di poesia organizzato dal governo uruguayano con il
canto: “Al 25 di Maggio”. Guadagnandosi un certo prestigio ma la
svolta avviene il 25 maggio del 1843 quando pubblica la sua famosa
poesia “A Rosas”. Con questa poesia si guadagna il titolo de “Il
poeta della libertà”.
Il 25 di Maggio del 1850.
Rosas! Rosas! un genio senza pari
ha creato a suo piacere il tuo strano destino:
Dopo Satana, nessuno al mondo
Come tu ha fatto meno bene tanti danni.
Abortito da un crimine, hai voluto
Che si uniscano le tue opere con la tua origine;
E, giammai del delitto pentito,
Soltanto le ore di quiete t’affliggono.
Con le fiamme del tartaro accese
Una nuvola di sangue ti circonda;
e nell’orizzonte tutto della tua vita
Sangue! barbaro! e sangue, e sangue fuma.
La tua mano scuote come un lampo
Le fondamenta di un tempio, e, d’improvviso
Dall’altare gli idoli di Maggio
Versarono il sangue della loro spaccata fronte.
La giustizia s’avvicina religiosa
A chiamare nella tomba di Belgrano:
E questo morto immortale gli apre la sua lapide,
Alzando al cielo la sua impotente mano.
la libertà fugge con la gloria
A nascondersi nelle crepe delle Ande;
Reclamando ai ghiacciai la memoria
Di quei tempi in cui furono grandi.
Gli idoli ed il tempo spariscono;
Si spengono i radianti astri
E nell’immacolato sangue arrossiscono
I frammenti delle pire e degli altari.
Gloria, nome, virtù, patria argentina,
Tutto perisce dove il tuo piede si stampa
Tutto diventa polvere, nella tua ambizione di rovina,
Sotto l’elmetto gli avvoltoi della tua pampa.
E allora, Rosas, dopo? così è -soddisfa –
la domanda di Dio e della storia:
Quel dopo che accusa o che difende
nella rovina di un popolo o nella sua gloria.
Quel dopo fatale che ti sfida
Sul cadavere della patria mia,
Nella mia voce ispirata di poeta,
La voce tremenda he illumina il giorno.
Parla, e, dopo la distruzione, risponde:
dove sono le opere che scaturirono dalla tua mano?
Dove la tua creazione? Dove le basi
Della grande idea o vano pensiero?
Che mente avesti nella tua sanguinaria insonnia
Che a un cosi grande crimine tanto ti ha spinto?
Allontanati, allontanati, aborto del demonio
Che fai il male per godere del pianto!
La razza umana inorridisce al vederti,
Iena dell’Indo trasformata in uomo;
Guai a te, che un giorno al capirti
Non ti odierà, disprezzerà il tuo nome!
Il tempo i suoi momenti ti ha offerto;
La fortuna ha sfiorato la tua testa;
E, barbaro e niente di più tu non hai saputo
Ne guadagnare tempo, né guadagnare grandezza.
Abbattesti una repubblica, e la tua fronte
Con il diadema imperiale non elevi allegro;
Morì la libertà, e, onnipotente,
Schiavo vivi della tua stessa paura.
Vuoi essere re, e temi si trasformi
Nella corona di Milán la tua;
Vuoi essere grande, e la tua anima non indovina
Come elevarti dalla sfera sua.
Il tuo regno `l’impero della morte;
La tua grandezza, il terrore per i tuoi delitti;
E la tua ambizione, la tua libertà, la tua sorte
Apre sepolcri e crea proscritti.
gaucho selvaggio della pampa dura,
Questo non è gloria, né coraggio, né vita;
Questo è soltanto uccidere perché nuda
Ti diedero una spada fratricida.
E, grande criminale nella memoria
dell’intero mondo, del tuo crimine pieno,
Sarai il rettile che pesterà la storia
Con schifo alla tua forma e al tuo veleno!
Nerona da fuoco a Roma, e la contempla,
E non so che cosa d’eroico c’è in tale delitto;
Ma tu, con l’anima che il demonio tempra,
Su quello che fai c’è scritta la tua miseria.
Nessun Atride nel pericolo vacilla,
E tu, più di loro per il male, tremasti;
E più sanguinario del sanguinario Attila,
Giammai il sangue della lotta vedesti.
In tutte quelle aquile che afferrarono
L’umanità e nella febre carnivora,
Con i loro artigli metallici la ferirono,
Trovò spazio qualche virtù: anche solo il coraggio.
Ma il tuo cuore soltanto trabocca
Di miserie e crimini e vizi
Con una stupida sete e rabbiosa
Di fare del male e d’inventare supplizi.
Nemmeno ti deve il destino
Con la tua sete ti sangue hai spento;
Tigre che hai incontrato nel cammino
Un ferito leone che hai divorato.
Spirito del male venuto al mondo,
Non sei stato buono nemmeno con te stesso;
E solo lascerai un nome immondo
Nel discendere al tuo primo abisso.
Ti nomineranno le madri ai loro figli
Quando vogliano spaventarli nella culla;
E loro, tremando e fissi nella tua immagine
Si addormenteranno sognando che ti videro.
I trovatori pagheranno un tributo
Ai racconti che inventa la tua memoria;
Ed esecrando i tuoi crimini sena frutto,
Tosco e volgare ti chiamerà la Storia.
Ah! quasi benedico i tuoi crimini,
davanti alla rabbia della patria mia.
Perché soffra un così barbaro castigo
Mentre illumina l’astro del giorno!
Perché mentre il sole brilla nel Plata
Quel castigo soffrirai eterno:
mai al tuo nome la memoria ingrata:
Mai alla tua maledizione il tenero seno;
E per ultima frustata della tua sorte.
Vedrai all’espirare che si alza
bello e trionfante e potente e forte
Il popolo che hai oltraggiato con la tua pianta.
Perché non ci sarà su i lui, delle tue lievi mani,
niente di più che una mancia appena sul collo;
Perché tu non sai, volgare tiranno
Né lasciare il segno delle tue catene.
**
Rosas
El 25 de mayo de 1850.
¡Rosas! ¡Rosas! un genio sin segundo
Formó á su antojo tu destino extraño:
Después de Satanás, nadie en el mundo,
Cual tú, hizo menos bien ni tanto daño.
Abortado de un crimen, has querido
Que se hermanen tus obras con tu origen;
Y, jamás del delito arrepentido,
Sólo las horas de quietud te afligen.
Rosas
El 25 de mayo de 1850.
¡Rosas! ¡Rosas! un genio sin segundo
Formó á su antojo tu destino extraño:
Después de Satanás, nadie en el mundo,
Cual tú, hizo menos bien ni tanto daño.
Abortado de un crimen, has querido
Que se hermanen tus obras con tu origen;
Y, jamás del delito arrepentido,
Sólo las horas de quietud te afligen.
Con las llamas del Tártaro encendidas
Una nube de sangre te rodea;
Y en todo el horizonte de tu vida
Sangre ¡bárbaro! y sangre, y sangre humea.
Tu mano conmoviera como el rayo
Los cimientos de un templo, y, de repente,
Desde el altar los ídolos de Mayo
Vertieron sangre de su rota frente.
La Justicia se acerca religiosa
Á llamar en la tumba de Belgrano:
Y ese muerto inmortal le abre su losa,
Alzando al cielo su impotente mano.
La libertad se escapa con la gloria
A esconderse en las grietas de los Andes;
Reclamando á los hielos la memoria
De aquellos tiempos en que fueron grandes.
Los ídolos y el tiempo desparecen;
Se apagan los radiantes luminares,
Y en sangre inmaculada se enrojecen
Los fragmentos de piras y de altares.
Gloria, nombre, virtud, patria argentina,
Todo perece do tu pie se estampa,
Todo hacen polvo, en tu ambición de ruina,
Bajo el casco los potros de tu pampa.
Y bien, Rosas, ¿después? tal es—atiende—
La pregunta de Dios y de la historia:
Ese después que acusa ó que defiende
En la ruina de un pueblo ó en su gloria.
Ese después fatal á que te reta
Sobre el cadáver de la patria mía,
En mi voz inspirada de poeta,
La voz tremenda del que alumbra el día.
Habla, y, en pos la destrucción, responde:
¿Do están las obras que brotó tu mano?
¿Dónde tu creación? ¿Las bases dónde
De grande idea ó pensamiento vano?
¿Qué mente hubiste en tu sangriento insomnio
Que á tanto crimen te impeliese tanto?
¡Aparta, aparta, aborto del demonio
Que haces el mal para gozar del llanto!
La raza humana se horroriza al verte,
Hiena del Indo transformada en hombre;
Mas ¡ay de ti, que un día al comprenderte
No te odiará, despreciará tu nombre!
Una nube de sangre te rodea;
Y en todo el horizonte de tu vida
Sangre ¡bárbaro! y sangre, y sangre humea.
Tu mano conmoviera como el rayo
Los cimientos de un templo, y, de repente,
Desde el altar los ídolos de Mayo
Vertieron sangre de su rota frente.
La Justicia se acerca religiosa
Á llamar en la tumba de Belgrano:
Y ese muerto inmortal le abre su losa,
Alzando al cielo su impotente mano.
La libertad se escapa con la gloria
A esconderse en las grietas de los Andes;
Reclamando á los hielos la memoria
De aquellos tiempos en que fueron grandes.
Los ídolos y el tiempo desparecen;
Se apagan los radiantes luminares,
Y en sangre inmaculada se enrojecen
Los fragmentos de piras y de altares.
Gloria, nombre, virtud, patria argentina,
Todo perece do tu pie se estampa,
Todo hacen polvo, en tu ambición de ruina,
Bajo el casco los potros de tu pampa.
Y bien, Rosas, ¿después? tal es—atiende—
La pregunta de Dios y de la historia:
Ese después que acusa ó que defiende
En la ruina de un pueblo ó en su gloria.
Ese después fatal á que te reta
Sobre el cadáver de la patria mía,
En mi voz inspirada de poeta,
La voz tremenda del que alumbra el día.
Habla, y, en pos la destrucción, responde:
¿Do están las obras que brotó tu mano?
¿Dónde tu creación? ¿Las bases dónde
De grande idea ó pensamiento vano?
¿Qué mente hubiste en tu sangriento insomnio
Que á tanto crimen te impeliese tanto?
¡Aparta, aparta, aborto del demonio
Que haces el mal para gozar del llanto!
La raza humana se horroriza al verte,
Hiena del Indo transformada en hombre;
Mas ¡ay de ti, que un día al comprenderte
No te odiará, despreciará tu nombre!
El tiempo sus momentos te ha ofrecido;
La fortuna ha rozado tu cabeza;
Y, bárbaro y no más, tú no has sabido
Ni ganar tiempo, ni ganar grandeza.
Tumbaste una república, y tu frente
Con diadema imperial no elevas ledo;
Murió la libertad, y, omnipotente,
Esclavo vives de tu propio miedo.
Quieres ser rey, y temes se convierta
En la corona de Milán la tuya;
Quieres ser grande, y tu ánima no acierta
Cómo elevarte de la esfera suya.
Tu reino es el imperio de la muerte;
Tu grandeza, el terror por tus delitos;
Y tu ambición, tu libertad, tu suerte
Abrir sepulcros y formar proscritos.
Gaucho salvaje de la pampa ruda,
Eso no es gloria, ni valor, ni vida;
Eso sólo es matar porque desnuda
Te dieron una espada fratricida.
Y, grande criminal en la memoria
Del mundo entero, de tu crimen lleno,
Serás reptil que pisará la historia
Con asco de tu forma y tu veneno!
Nerón da fuego á Roma, y la contempla,
Y hay no sé qué de heroico en tal delito;
Mas tú, con alma que el demonio templa,
Cuanto haces lleva tu miseria escrito.
Ningún Atrida al peligrar vacila,
Y tú, más que ellos para el mal, temblaste ;
Y más sangriento que el sangriento Atila,
Jamás la sangre de la lid miraste.
En todas esas águilas que asieron
La humanidad y, en fiebre carnicera,
Con sus garras metálicas la hirieron,
Cupo alguna virtud: valor siquiera.
Pero tu corazón sólo rebosa
De miserias y crímenes y vicios,
Con una sed estúpida y rabiosa
De hacer el mal y de inventar suplicios.
Ni siquiera te debes el destino
Con que tu sed de sangre has apagado;
Tigre que te encontraste en el camino
Un herido león que has devorado.
Espíritu del mal nacido al mundo,
No has sido bueno ni contigo mismo;
Y sólo dejarás un nombre inmundo
Al descender á tu primer abismo.
Te nombrarán las madres á sus hijos
Cuando asustarlos en la cuna quieran;
Y ellos, temblando y en tu imagen fijos,
Se dormirán soñando que te vieran.
Los trovadores pagarán tributo
A los cuentos que invente tu memoria;
Y execrando tus crímenes sin fruto,
Rudo y vulgar te llamará la Historia.
¡Ah, que casi tus crímenes bendigo,
Ante el enojo de la patria mía,
Porque sufras tan bárbaro castigo
Mientras alumbre el luminar del día!
Porque mientras el sol brille en el Plata
Aquel castigo sufrirás eterno;
Nunca á tu nombre la memoria ingrata:
Nunca á tu maldición el pecho tierno;
Y por último azote de tu suerte,
Verás al expirar que se levanta
Bello y triunfante y poderoso y fuerte
El pueblo que ultrajaste con tu planta.
Pues no habrá en él, de tus aleves manos,
Mas que una mancha sobre el cuello apenas;
Que tú no sabes, vulgo de tirano,
Ni dejar la señal de tus cadenas.
La fortuna ha rozado tu cabeza;
Y, bárbaro y no más, tú no has sabido
Ni ganar tiempo, ni ganar grandeza.
Tumbaste una república, y tu frente
Con diadema imperial no elevas ledo;
Murió la libertad, y, omnipotente,
Esclavo vives de tu propio miedo.
Quieres ser rey, y temes se convierta
En la corona de Milán la tuya;
Quieres ser grande, y tu ánima no acierta
Cómo elevarte de la esfera suya.
Tu reino es el imperio de la muerte;
Tu grandeza, el terror por tus delitos;
Y tu ambición, tu libertad, tu suerte
Abrir sepulcros y formar proscritos.
Gaucho salvaje de la pampa ruda,
Eso no es gloria, ni valor, ni vida;
Eso sólo es matar porque desnuda
Te dieron una espada fratricida.
Y, grande criminal en la memoria
Del mundo entero, de tu crimen lleno,
Serás reptil que pisará la historia
Con asco de tu forma y tu veneno!
Nerón da fuego á Roma, y la contempla,
Y hay no sé qué de heroico en tal delito;
Mas tú, con alma que el demonio templa,
Cuanto haces lleva tu miseria escrito.
Ningún Atrida al peligrar vacila,
Y tú, más que ellos para el mal, temblaste ;
Y más sangriento que el sangriento Atila,
Jamás la sangre de la lid miraste.
En todas esas águilas que asieron
La humanidad y, en fiebre carnicera,
Con sus garras metálicas la hirieron,
Cupo alguna virtud: valor siquiera.
Pero tu corazón sólo rebosa
De miserias y crímenes y vicios,
Con una sed estúpida y rabiosa
De hacer el mal y de inventar suplicios.
Ni siquiera te debes el destino
Con que tu sed de sangre has apagado;
Tigre que te encontraste en el camino
Un herido león que has devorado.
Espíritu del mal nacido al mundo,
No has sido bueno ni contigo mismo;
Y sólo dejarás un nombre inmundo
Al descender á tu primer abismo.
Te nombrarán las madres á sus hijos
Cuando asustarlos en la cuna quieran;
Y ellos, temblando y en tu imagen fijos,
Se dormirán soñando que te vieran.
Los trovadores pagarán tributo
A los cuentos que invente tu memoria;
Y execrando tus crímenes sin fruto,
Rudo y vulgar te llamará la Historia.
¡Ah, que casi tus crímenes bendigo,
Ante el enojo de la patria mía,
Porque sufras tan bárbaro castigo
Mientras alumbre el luminar del día!
Porque mientras el sol brille en el Plata
Aquel castigo sufrirás eterno;
Nunca á tu nombre la memoria ingrata:
Nunca á tu maldición el pecho tierno;
Y por último azote de tu suerte,
Verás al expirar que se levanta
Bello y triunfante y poderoso y fuerte
El pueblo que ultrajaste con tu planta.
Pues no habrá en él, de tus aleves manos,
Mas que una mancha sobre el cuello apenas;
Que tú no sabes, vulgo de tirano,
Ni dejar la señal de tus cadenas.
Dopo
questa poesia offriamo un frammento del primo canto de i Canti del
Peregrino e alcune altre poesie che esulano dal tema politico
così centrale nella poesia di Marmol.
Hijo de la desgracia el Peregrino,
ha confiado á los mares su destino;
y al compás de las ondas y los vientos
el eco de sus tristes pensamientos
vibrará por el mar. El su grandeza
cantará entusiasmado, la belleza
de la espléndida bóveda estrellada,
con el alma ante Dios arrodillada;
y cantará también sobre los mares
la libertad, su amor y sus pesares.
Sigámosle en el mar, do quier existe,
como las sombras de la tarde, triste,
y una secreta dulce simpatía
nos roba su letal melancolía:
¡él! ¡el proscripto trovador del Plata,
que, conducido por la suerte ingrata,
cinco años ha que su enlutada lira
bajo extranjero sol triste suspira!
Con él la dulce inspiración del canto
nació para cantar el dogma santo,
que inauguró á la luz de la victoria
ese pueblo, que en brazos de la gloria,
reventara de un mundo las cadenas
con prender el cañón de sus almenas.
Pero helóse la voz en su garganta
cuando, al mover la adolescente planta.,
en vez de abierta y espaciosa vía
al" genio, á la virtud y nombradla,
tropezó de un patíbulo en las gradas
con la sangre de Mayo salpicadas.
**
La gioventù
Non vedete, non vedete? assomiglia
Alla fascia di scintille lucenti
Che nella linfa di un fiume riflette
Quando s’affaccia la luna d’oriente.
E che pari alla luna nella Sfera
Tutti appaiono tremolanti e belle
Senza timore né anche solo il ricordo
Dell’ombra che viene dietro di loro.
Non vedete? È l’uomo che ha
In petto la vita racchiusa,
E la terra sagace lo intrattiene
Con la sua bella apparenza dorata.
Ah, si, si, gioventù, che affascinano
Il vostro petto i piaceri del mondo:
Le vostre labbra che a sorsi libano
Della vita la voluttà feconda.
E che ridendo, e cantando, e bevendo,
E del lusso e piaceri stanca:
Con piaceri sognando e vivendo
Voi passate a un’altra età ubriaca.
Dalla
silloge Canti del Pergrino
Canto
Primo
(Frammento)
Figlio della disgrazia il Peregrino
a affidato ai mari il suo destino;
e al ritmo delle onde e dei venti
l’eco dei suoi tristi pensieri
vibrerà per il mare. Lui la sua grandezza
canterà entusiasmato, la bellezza
della splendida volta stellata,
con l’anima davanti a Dio inginocchiata;
e canterà anche sui mari
la libertà, il suo amore e le sue afflizioni.
Seguiamolo sul mare, ovunque sia
come le ombre della sera, triste,
e una segreta dolce simpatia
ci ruba la sua letale melanconia:
lui! il proscritto trovatore del Plata
che, condotto dalla sorte ingrata
da cinque anni la sua lira a lutto
sotto lo straniero sole triste sospira!
Con lui la dolce ispirazione del canto
nato per cantare il dogma santo,
che inaugurò alla luce della vittoria
quel popolo, che nelle braccia della gloria,
spezzava di un mondo le catene
con accendere il cannone delle sue difese.
Ma gli si gelò la voce in gola
quando al muovere la adolescente pianta,
invece di una spaziosa e aperta via
al genio, alla virtù e nominarla
inciampò d nei gradini di un patibolo
con la sangue del Maggio schizzata.
*
del
poemario Cantos del peregrino
Canto
primero
(fragmento)
Hijo de la desgracia el Peregrino,
ha confiado á los mares su destino;
y al compás de las ondas y los vientos
el eco de sus tristes pensamientos
vibrará por el mar. El su grandeza
cantará entusiasmado, la belleza
de la espléndida bóveda estrellada,
con el alma ante Dios arrodillada;
y cantará también sobre los mares
la libertad, su amor y sus pesares.
Sigámosle en el mar, do quier existe,
como las sombras de la tarde, triste,
y una secreta dulce simpatía
nos roba su letal melancolía:
¡él! ¡el proscripto trovador del Plata,
que, conducido por la suerte ingrata,
cinco años ha que su enlutada lira
bajo extranjero sol triste suspira!
Con él la dulce inspiración del canto
nació para cantar el dogma santo,
que inauguró á la luz de la victoria
ese pueblo, que en brazos de la gloria,
reventara de un mundo las cadenas
con prender el cañón de sus almenas.
Pero helóse la voz en su garganta
cuando, al mover la adolescente planta.,
en vez de abierta y espaciosa vía
al" genio, á la virtud y nombradla,
tropezó de un patíbulo en las gradas
con la sangre de Mayo salpicadas.
**
Le due poesie che seguono sono testi giovanili.
La gioventù
Non vedete, non vedete? assomiglia
Alla fascia di scintille lucenti
Che nella linfa di un fiume riflette
Quando s’affaccia la luna d’oriente.
E che pari alla luna nella Sfera
Tutti appaiono tremolanti e belle
Senza timore né anche solo il ricordo
Dell’ombra che viene dietro di loro.
Non vedete? È l’uomo che ha
In petto la vita racchiusa,
E la terra sagace lo intrattiene
Con la sua bella apparenza dorata.
Ah, si, si, gioventù, che affascinano
Il vostro petto i piaceri del mondo:
Le vostre labbra che a sorsi libano
Della vita la voluttà feconda.
E che ridendo, e cantando, e bevendo,
E del lusso e piaceri stanca:
Con piaceri sognando e vivendo
Voi passate a un’altra età ubriaca.
Ma le rapide ali che muove
Non fermare, per Dio, un istante
Spingi tutto in avanti
Del sentiero dei fiori che abiti
Risate e burle risuonino
Se un mendicante il suo pane vi chiede:
Risate e burle rimbombino
Per la presenza dell’uomo che muore.
Non meditate per Dio un solo momento
Se la terra, la vita e l’ideale
Non volete che vi cambi violento
Nel sarcasmo irrisorio del male.
Non fermare, per Dio, un istante
Spingi tutto in avanti
Del sentiero dei fiori che abiti
Risate e burle risuonino
Se un mendicante il suo pane vi chiede:
Risate e burle rimbombino
Per la presenza dell’uomo che muore.
Non meditate per Dio un solo momento
Se la terra, la vita e l’ideale
Non volete che vi cambi violento
Nel sarcasmo irrisorio del male.
*
La juventud
¿No miráis, no miráis? se semeja
A la faja de chispas luciente
Que en la linfa de un río refleja
Cuando asoma la luna en oriente.
Y que a par de la luna en la Esfera
Todas van tremulantes y bellas
Sin temor ni recuerdo siquiera
De la sombra que viene tras ellas.
¿No miráis? Es el hombre que tiene
En el pecho la vida encerrada,
Y la tierra sagaz lo entretiene
Con su bella corteza dorada.
Ah, sí, sí, juventud, que cautiven
Vuestro pecho los goces del mundo:
Vuestros labios a tragos que liben
Dela vida el deleite fecundo.
Y que riendo, y cantando, y bebiendo,
Y de lujo y placeres hastiada:
Con deleites soñando y viviendo
Os paséis a otra edad embriagada.
Mas las rápidas alas que agitas
No suspendas, por Dios, un instante
Empujad cuanto esté por delante
Dela senda de flores que habitas.
Carcajadas, y burlas resuenen
Si un mendigo su pan os pidiere:
Carcajádas y burlas retruenen
Por la estancia del hombre que muere.
La juventud
¿No miráis, no miráis? se semeja
A la faja de chispas luciente
Que en la linfa de un río refleja
Cuando asoma la luna en oriente.
Y que a par de la luna en la Esfera
Todas van tremulantes y bellas
Sin temor ni recuerdo siquiera
De la sombra que viene tras ellas.
¿No miráis? Es el hombre que tiene
En el pecho la vida encerrada,
Y la tierra sagaz lo entretiene
Con su bella corteza dorada.
Ah, sí, sí, juventud, que cautiven
Vuestro pecho los goces del mundo:
Vuestros labios a tragos que liben
Dela vida el deleite fecundo.
Y que riendo, y cantando, y bebiendo,
Y de lujo y placeres hastiada:
Con deleites soñando y viviendo
Os paséis a otra edad embriagada.
Mas las rápidas alas que agitas
No suspendas, por Dios, un instante
Empujad cuanto esté por delante
Dela senda de flores que habitas.
Carcajadas, y burlas resuenen
Si un mendigo su pan os pidiere:
Carcajádas y burlas retruenen
Por la estancia del hombre que muere.
No por Dios meditéis un momento
Si la tierra, la vida y lo ideal
No queréis que se os cambie violento
En sarcasmo irrisorio del mal.
Si la tierra, la vida y lo ideal
No queréis que se os cambie violento
En sarcasmo irrisorio del mal.
Ieri ed oggi
Vedevo correre le ore del mio destino
Come vedono i deserti la brezza:
Che senza trovare scoglio nel suo cammino
Tranquilla mollemente scivola.
Come vedono i deserti la brezza:
Che senza trovare scoglio nel suo cammino
Tranquilla mollemente scivola.
Vedo passare i miei giorni, silenzioso,
Come il frondoso bosco il duro vento:
Incontrando e lottando turbolento
Con mille rami e tronco corpulento.
Ma se ieri passavano senza rabbie
Questi così dolci giorni di calma,
Era perché toccavano i miei occhi:
Oggi tutti al passare toccano l’anima.
Come il frondoso bosco il duro vento:
Incontrando e lottando turbolento
Con mille rami e tronco corpulento.
Ma se ieri passavano senza rabbie
Questi così dolci giorni di calma,
Era perché toccavano i miei occhi:
Oggi tutti al passare toccano l’anima.
**
Ayer y hoy
Veía correr las horas mi destino
Como ven los desiertos a la brisa:
Que sin hallar escollo en su camino
Tranquila muellemente se desliza.
Veo pasar mis días, silencioso,
Como el hojoso bosque el recio viento:
Encontrando y luchando tormentoso
Con ramas mil y tronco corpulento.
Pero si ayer pasaban sin enojos
Esos tan dulces días de la calma,
Era porque tocaban a mis ojos;
Hoy todos al pasar tocan el alma.
Ayer y hoy
Veía correr las horas mi destino
Como ven los desiertos a la brisa:
Que sin hallar escollo en su camino
Tranquila muellemente se desliza.
Veo pasar mis días, silencioso,
Como el hojoso bosque el recio viento:
Encontrando y luchando tormentoso
Con ramas mil y tronco corpulento.
Pero si ayer pasaban sin enojos
Esos tan dulces días de la calma,
Era porque tocaban a mis ojos;
Hoy todos al pasar tocan el alma.
José
Mármol una volta caduto il dittatore Rosas tornerà in Argentina e
inizierà una carriera come politico.
Riprendendo
l’idea del soggetto immaginario nella poesia di Mármol accade che,
tale soggetto, si costruisce a partire da uno spostamento della
figura pubblica dell’autore sull’io della poesia. E’allo stesso
tempo un poeta e un proscritto dalla tirannia. Entrambe le condizioni
si sostengono così tanto che, una cessa quando la fa l’altra.
Sappiamo che nel 1839 viene arrestato e l’anno dopo si esilia a
Montevideo. Nel febbraio del 1852 torna in Argentina e viene fatto
senatore. Due fatti segnano emblematicamente la sua figura come
poeta: il suo primo e il suo ultimo testo poetico. Il primo nasce in
carcere prima dell’esilio l’altro dopo l’esilio il 25 maggio
del 1852. Quando il poeta smette d’essere un proscritto smette di
scrivere poesie.
_____
NOTA
[1] - José Esteban Andres Echeverría Espinosa, più semplicemente noto
come Esteban Echeverría (Buenos Aires, 2 settembre 1805 –
Montevideo, 19 gennaio 1851), è stato un poeta, scrittore e
attivista argentino. È considerato uno dei più grandi poeti del suo
paese, nonché uno dei massimi esponenti del Romanticismo nel
continente latinoamericano. Qualche riferimento a questo link
_____
NOTE BIO-BIBLIOGRARICHE
Antonio Nazzaro (Torino, Italia, 1963) attualmente vive a Cuba a L’Avana. Giornalista, poeta, traduttore,
videoartista e mediatore culturale. Fondatore e coordinatore del
Centro Culturale Tina Modotti. È direttore di diverse raccolte di
poesia italiana e latinoamericana per diverse case editrici. Ha
pubblicato le raccolte di poesie: Amore migrante e l'ultima
sigaretta (RiL Editores, Cile; Arcoiris, Italia, 2018) e Cuerpos
humeantes (Uniediciones, Bogotá, 2019). Diario amoroso senza
date, Fotoromanzo Poetico (Edizioni Carpa Koi, Italia, 2022). Un
libro di racconti: Olor a (Edizioni Arcoiris (Italia), 2014) e
il libro di cronache e poesie: Appunti dal Venezuela. 2017, Vivere
nelle proteste. Nel 2022 ha pubblicato La dittatura dell’amore
(Delta 3 Edizioni, Italia). I suoi testi sono stati pubblicati su
riviste e antologie nazionali e internazionali. In India ha ricevuto
il premio per la migliore opera sociale ai premi letterari Naji
Naaman 2019 con il libro Appunti dal Venezuela. 2017: vivere nelle
proteste. Nel 2024 ha pubblicato l’antologia
Poemas ordenadamente desordenados
(Ediciones Otlazpan, Tepeji del Rio, Messico) e La
dictadura del amor (Barnacle, Buenos
Aires, Argentina).
Nel 2024 ha ricevuto
il riconoscimento di “Traduttore dell'anno” dalla casa editrice
Colección Sur, Cuba. È coordinatore delle scuole di Poesia di Cuba
e formatore in altri paesi dell’America Latina dei gestori delle
scuole di poesia.
Commenti
Posta un commento