(Redazione) - Parola Eretica - 01 - Patrizia Cavalli, una poesia che scortica l’Io



A cura di Gabriela Fantato

voci di poesia che non omaggino il cinismo,
lo scetticismo e l’individualismo; voci fuori dal coro,
voci lontane da una poesia come “diarietto intimo” e privato,
lontane anche dai giochi linguistici, parodici … e fini a sé stessi;
voci capaci di tentare una visione etica
e darne testimonianza.

di Gabriela Fantato


Un piccolo preambolo generale è necessario, vista la ricerca sui generis di Patrizia Cavalli. Tutta la tradizione della poesia italiana proviene dal modello di Petrarca, che si è imposto nella lirica fino al 900; un modello centrato sull’Io lirico che “confessa” in versi il proprio sentire e si interroga sui suoi stati d’animo e sulla sua posizione nel mondo. Da Petrarca, quindi, discende la nostra lirica e da questa tradizione scaturisce anche una lingua in poesia di “monolinguismo”, uno stile medio e musicale che l’autore mantiene per tutte le poesie, così come fece nel suo Canzoniere lo stesso Petrarca, creando una unità formale e di grande precisione linguistica. Per molti aspetti è vero che nella seconda metà del 900 si è in parte abbandonato questo modello lirico, con le nuove vie dello sperimentalismo degli anni (si pensi alle Neoavanguardie), da un lato, e dall’altro, con la poesia della Linea lombarda e di queste, infatti, si vede traccia nella scrittura di Cavalli.
All’interno di questa tradizione lirica, tenuto conto anche di quella che è stata la “messa in scacco” della poesia negli ultimissimi anni del secolo scorso, si inserisce la poesia di Patrizia Cavalli, che non è una voce sconosciuta nel mondo della poesia e della cultura, ma una delle poetesse più famose del secondo 900, amata anche dal grande pubblico, forse non tanto per le innovazioni e le ricerche stilistiche da lei attuate, quanto per le sue poesie più brevi, molto spesso ironiche e anche di facile comprensione.
Dopo un periodo di lunga malattia, Patrizia Cavalli è venuta a mancare da oltre un anno (21 giugno 2022), era nata a Todi, nel 1947, si trasferì a Roma nel 1968, per affrontare gli studi di filosofia e conobbe Elsa Morante, dalla cui frequentazione scaturì, nel 1974, la sua prima raccolta di poesie Le mie poesie non salveranno il mondo (Einaudi), a lei dedicate. Sempre per Einaudi le altre raccolte, tra cui citiamo: Poesie (1974-1992) (1992); Sempre aperto teatro (1999) e il suo ultimo lavoro Vita meravigliosa (2020). Ecco due testi:

Esseri testimoni di sé stessi
sempre in propria compagnia
mai lasciati soli in leggerezza
doversi ascoltare sempre
in ogni avvenimento fisico chimico
mentale, è questa la grande prova
l'espiazione, è questo il male.
____
Addosso al viso mi cadono le notti
e anche i giorni mi cadono sul viso.
Io li vedo come si accavallano
formando geografie disordinate:
il loro peso non è sempre uguale,
a volte cadono dall'alto e fanno buche,
altre volte si appoggiano soltanto
lasciando un ricordo un po’ in penombra.
Geometra perito io li misuro
li conto e li divido
in anni e stagioni, in mesi e settimane.
Ma veramente aspetto
in segretezza di distrarmi
nella confusione perdere i calcoli,
uscire di prigione
ricevere la grazia di una nuova faccia.



La poesia di Cavalli stravolge la tradizione della poesia lirica italiana, sia rispetto alla concezione del mondo che esprime, sia per le scelte stilistiche e formali. Per questo la sua poesia va letta da chi scrive e legge poesia: nella sua voce poetica c’è la ripresa e insieme il superamento di quella che è la nostra tradizione lirica, inoltre sa tener conto in maniera originale. La prima osservazione da fare è che Cavalli vuole attuare la disgregazione dell’Io psicologico e del concetto stesso di Io in campo logico-filosofico, attuandone la trasformazione in personaggio teatrale. Sin dal poemetto del 1974, L’io singolare proprio mio, ora pubblicato nel volume Poesie 1974- 1992 (Einaudi,1992), emerge questo procedimento di spoliazione e scardinamento della categoria di Io, che viene svolta via via nel poemetto, a partire da queste prime stanze:


[…]
«Se quando parlo dico sempre io
non è attenzione particolare e insana
per me stessa, non è compiacimento,
ché anzi io mi considero soltanto
un esempio qualunque della specie,
perciò quell’io verbale non è altro
che un io grammaticale.
E se anche quest’io
fosse il meglio carnale, eccomi ancora,
esempio, certo poco ambito, molto
mal riuscito del corpo primordiale.» 
[…]

Seguono le altre stanze del poemetto, dove vengono analizzate le varie possibilità di intendere l’Io, in un progressivo crescendo, fino a culminare nella strofa finale:

[…]
«fosse paura di perdermi nel niente,
fosse mammerda o forse anche cacazzo,
non è forse espiazione sufficiente
avere sempre addosso questa blatta’
Siate felici voi se vi si stacca.»

Qui l’Io viene definito una “blatta”: uno scarafaggio, qualcosa noioso, schifoso e molto resistente che non ci si riesce a staccare di dosso. Un ‘invettiva, quindi, contro l’Io che la poetessa vuole scarnificare, in quanto fonte del nostro narcisismo, del nostro egocentrismo, atteggiamenti che finiscono per contagiare molta parte dei testi poetici, anche attuali, facendoli essere mere lamentazioni o semplice diario privato. Nel corso dei vari libri, la poetessa tuttavia mette in scena l’ineluttabile presenza dell’Io nel nostro stesso percepirci e dirci al mondo: che fare, quindi? E così l’Io in Cavalli diventa “un personaggio” e come in una scena di teatro l’autrice dialoga con lui, lo invoca, lo prende in giro e ci si confronta. L’Io, svuotato, si colma di un eccesso di voci, di tic e fissazioni: il “personaggio” si agita in scena e con lui l’autrice, in una sorta di sdoppiamento di sé, tanto da farlo esistere, appunto, come mera finzione, un Altro da Sé che recita e, tuttavia, l’autrice in questo “sdoppiarsi”, ci svela le nostre idee sul mondo, le nostre paure, le nostre idiosincrasie … e la nostra umana fragilità.
La poesia di Cavalli è dunque un teatro di parole e, ricordiamo che Cavalli amava il teatro e amava recitare i suoi testi a voce alta, forse tutta la vita stessa è teatro per lei. In ciò avvertiamo l’eco di certa ricerca culturale del primo 900, in cui si indagava il concetto di Io: maschera-necessaria, eppure maschera-prigione da cui è impossibile sfuggire, pensiamo a Pirandello, per esempio. Nel suo mettere in scena l’ambivalenza dell’Io e la nostra difficoltà di liberarcene, la poesia di Patrizia Cavalli ha una forte valenza etica, infatti, nei versi non c’è mai autobiografismo, né diario personale, ma consapevolezza del percorso culturale da cui scaturisce la nostra affezione all’Io, unito a uno sguardo ironico ed estraniato della poetessa che rivela le nostre gabbie psicologiche, così come le strettoie logiche di cui siamo prigionieri, le idiosincrasie che gravano sul nostro vivere quotidiano. Il tutto senza che vi sia alcuna analisi psicologica del soggetto, ma una teatralizzazione della vita, svolta con tono ironico e disincantato. 

Essere testimoni di sé stessi
sempre in propria compagnia
mai lasciati soli in leggerezza
doversi ascoltare sempre
in ogni avvenimento fisico chimico
mentale, è questa la grande prova
l’espiazione è questo il male

Un altro elemento centrale della ricerca di Cavalli è la sua adesione alla dimensione materica e carnale della vita, allontanandosi quindi dall’idealismo che grava ancora sul nostro pensare (e sul nostro scrivere). Nei versi di Cavalli c’è la presenza degli oggetti, del corpo e del nostro essere, appunto, fatti di carne, facendo anche di tutto ciò un teatro che va in scena sul foglio: gli oggetti quotidiani, il corpo stesso si muovono come figure di una rappresentazione, aldilà di ogni realismo o mimetismo.
Ecco un testo di Cavalli:

Per questo sono nata, per scendere
da una macchina dopo una corsa
in una strada qualunque e trafficata
e guidata dagli angeli piegarmi
attraverso il finestrino
sopra quei capelli e in silenzio
sentire l'odore di quel viso
dove poco prima avevo visto
come la bocca e gli occhi
si passavano un sorrido che
non si apriva mai
e correndo veloce scompariva
in un attimo e tornava.

Possiamo anche osservare che Patrizia Cavalli si allontana dal monolinguismo petrarchesco di tanta tradizione italica, per creare nei suoi versi un plurilinguismo che riprende il grande esempio dantesco, lingua che fu censurato per secoli proprio per la commistione linguistica (all’interno della Divina Commedia, infatti, come si sa c’è il registro basso, gergale e persino volgare, la matericità del mondo dell’Inferno, ma poi la lingua di Dante si eleva, e approda al sublime, in una lingua alta, ricercata e complessa, propria del Paradiso). Ecco dunque che nella poesia di Cavalli si attua la ripresa, con innovazione, della tradizione stilistica plurilinguista, con l’intreccio di termini gergali, unendo il parlato basso e quotidiano a parole auliche o ad espressioni ricercate, pseudofilosofiche e di stile alto, usate magari anche in tono ironico, per creare un impasto linguistico mai fine a se stesso, in cui si mostrano i molteplici strati della nostra lingua, che si intrecciano, dialogano o si scontrano e si urtano dando vita a testi di grande movimento, di tensione interna.
Tutta la poesia di Patrizia Cavalli, dunque, è eretica: lirica e non lirica, allo stesso tempo; materica ma non realistica, vicina alla vita quotidiana, ma svuotata di ogni falsa coscienza e di ogni psicologismo. Una poesia con un linguaggio dinamico che vive di tensioni, dove ogni testo è una sorta di “campo di forze”, in versi sempre nutriti di un pensiero critico, mai esposto banalmente, un pensiero che pure sempre alimenta la ricerca di questa straordinaria poetessa.

All’ombra di una metafora
datemi una margherita
perché io possa tenerla in mano
la margherita
stampa la pagina

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