Due poeti allo specchio (Antonio Nazzaro e Sergio Daniele Donati)

Antonio Nazzaro ritratto da Eleonora Buselli

Caro Sergio,
sinceramente non ho capito cosa vuoi che scriva ma ci provo.
Prima di tutto per sopportare la compagnia perenne dell’acufene metto musica, non una qualsiasi, ma Fito Paez, cantautore argentino, visto che fra qualche giorno andrò a vivere a Buenos Aires. Già torno al mio vestito abituale ovvero quello di emigrante. Forse la poesia in fondo è questo, qualcosa che emigra sul foglio bianco e poi viaggia tra le dita di mani che sfogliano… Questa partenza spero che sia l'ultima ma visto il mio peregrinare di paese in paese degli ultimi trent’anni preferisco non dire niente a riguardo.
Partire è qualche cosa che sempre mi ha fatto sentire libero di tutto, anche di dimenticare volti amici, nemici e gli amori. Ah gli amori… Lascio in quest’ultimo viaggio forse l’amore più bello e intenso della vita, che ha compiuto sessant’anni un paio di mesi fa. Si può abbandonare amore per amore? Bella domanda. Non ho una risposta ma è quello che insieme a Eleonora abbiamo deciso di fare, perché entrambi vogliamo un’altra vita oltre al nostro essere amanti. 
I venticinque anni che ci separano segnano un confine: il mio imbrunire e il suo continuo fiorire. Mi piacciono i fiori ma non voglio reciderli né metterli in un vaso ma vederli crescere e fiorire e rifiorire. Ele fiorisce ogni giorno mentre io ogni giorno aggiungo una ruga al mio tronco dalle radici mobili. Abbiamo insieme compiuto un viaggio, entrambi siamo cresciuti. Fin dal principio ci siamo detti che il nostro rapporto amoroso non poteva essere per sempre e che sarebbe arrivato il momento di andare. È arrivato.

Pausa caffè sul fuoco e poi sigaretta e torno a te.

Sorrido mentre leggo l’ultima frase. Sai, la mia prima silloge, pubblicata contemporaneamente in Cile e in Italia, si intitolava: “Amore migrante e l’ultima sigaretta” e la poesia che la chiudeva era questa:

Accendo la sigaretta
come un cero
il resto è solo
finzione.

Fito va cantando: 
¿Quién dijo que todo está perdido?/Yo vengo a ofrecer mi corazón/ (…) Yo vengo a ofrecer mi corazón/Y hablo de países y de esperanzas/Hablo por la vida, hablo por la nada/Hablo de cambiar esta, nuestra casa/De cambiarla, por cambiar nomás.

(Chi ha detto che tutto è perduto?/ Io vengo ad offrire il mio cuore (…) Io vengo ad offrire il mio cuore /E parlo di paesi e di speranze/Parlo per la vita/parlo per il nulla/Parlo di cambiare questa nostra casa/Di cambiarla, per cambiarla e niente più)
 
I poeti non dovrebbero citare i cantautori, ma esiste la poesia senza musica? 
Quando s’incontrano smette d’essere poesia? Non lo credo. Per me, e lo dico come mia forma d’essere, il cambiare passa attraverso il viaggiare. La poesia è un viaggio? Forse sì: è come un road movie dove il movimento delle immagini costruisce una storia. Forse la poesia è video arte dove l’immagine è sempre una parola, un'evocazione, allo stesso tempo delinea e mostra l'epoca che si vive.
La poesia in fondo non è altro che ciò che viviamo, vediamo e riflettiamo sulla nostra quotidianità. È un tentativo disperato di mantenere un dialogo con il mondo, trovare un territorio fuori da tutto ovvero un luogo d’arte in cui l’artista e il suo agire artistico sono quello che conta. Ricordi la foto di Pasolini e Pound seduti a prendere un caffè? L’arte crea incontro, dialogo e questo è fare poesia.

Emigrare è una disperazione enorme; tutti dovrebbero poter vivere nella propria terra. Poter scegliere di partire, perché partire per poter vivere resta qualcosa di terribile. Non parlo solo dei naufragi di chi cerca di approdare in Italia di questi tempi.
Pavese migra da Santo Stefano Belbo a Torino, passando per un viaggio negli USA, dove si ritrova a parlare una notte in un bar con uno che parlava il suo dialetto langarolo. Un segno per lui di non potersi separare dalla sua terra, trasformandola in una specie di mito. “Io sono un uomo molto ambizioso e lasciai da giovane il mio paese, con l’idea fissa di diventare qualcuno. Il mio paese sono quattro baracche e un gran fango, ma lo attraversa lo stradone principale dove giocavo da bambino. Siccome – ripeto – sono ambizioso, volevo girar tutto il mondo e, giunto nei siti più lontani, voltarmi e dire alla presenza di tutti: “Non avete mai sentito nominare quei quattro tetti? Ebbene, io vengo di là”.
Per me è l’opposto, nel senso che la mia terra è quella in cui vivo: precaria, cangiante e che al toccarla si sgretola. Emigrante figlio di emigranti non ho mai avuto una terra e non la voglio neanche per coprire la mia tomba. 
A Torino “terrone”, in Messico “guero” in Venezuela “monsu” e fra poco in Argentina “tano”. Sono Antonio Nazzaro e difendo la mia dignità, la mia parola e l’innocenza. L’ignoranza è dei bambini, l’innocenza è cosa da adulti. Le 4 valige che porto contengono solo cose che ho imparato a perdere ma la dignità, la parola e l’innocenza non sono né in vendita né trattabili.
Ai miei sessant’anni parto con quel poco che mi appartiene, ovvero la mia vita che si confonde con la poesia e l’epoca che vivo:

piccola vita
sono un emigrante
al volgere lo sguardo
la casa volante
4 valige un trolley
e zaino d’ordinanza
e un amore dall’altra parte
di chi non parte
ma sento quell’odore
non di mare o monti ma
di vita di nuovo sconosciuta
tutta da scrivere
in questi sessant’anni lanciati
ostinatamente contro vento
al di là dell’oceano e del tempo
da perdere a contarsi le rughe
gira la musica come colpo d’aria
che fa sbattere le porte in un sussulto
e l’ebrezza di un ballo con vita
e l’enigma di sempre a domandare
questo furore simile al volo
al cavalcarti vita o sei tu a cavalcare
e io sono uomo-cavallo ma
non centauro
mi lascio andare tutto va bene
sospendo il cuore e il respiro
ad ascoltare ciò che sarà
tra lavori amici tutti da inventare
e poi pensare di tornare ad innamorare
ultimo giro di danza piccola vita
e che tango sia

Tutto qui, sono un uomo che scrive del suo tempo attraverso di se. L’anno scorso ho pubblicato l’avventura di accompagnare mia madre, la mia Zambonina, fino alla sua morte. Per dare un senso a ciò che avveniva ho iniziato a scrivere un diario poetico che dopo il suo viaggio nei celesti parami andini è diventato un libro: La dittatura dell’amore. Amare è cosa difficilissima ma come evitare l’amore? Non credo sia possibile. Quello che ho imparato in tutto questo vagare del corpo e dell’anima è che la vita è bella sempre, davvero sempre, anche nei momenti più bui. La vita è bella.

La prossima silloge sarà la mia nuova finestra su Buenos Aires, perché quando scrivo sto alla finestra sempre aperta sul mondo.
Ciao Sergio, e grazie di perdere il tuo tempo a leggere queste righe che nascondono la mia disgrafia e la mia dislessia. Anche il mio compagno l’acufene ti saluta. Un traduttore non è mai solo, sempre si è in due, con l’acufene siamo diventati tre.
Abbraccio
Il tuo amico di penna Antonio Nazzaro

NDA: per ascoltare 
Yo vengo a ofrecer mi corazón 
di Fito Paesz cliccate qui 
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Sergio Daniele Donati ritratto da suo figlio Gabriel

Caro Antonio, 
se io sapessi cosa voglio dalla scrittura - se solo per un istante non fosse la domanda contraria: cosa vuole la scrittura da me? a martellarmi in testa - sarei certo un uomo diverso o, forse, non sarei un uomo più.
E - non lo nego - star qui a dialogare, io e te, spinti dal fiato di una musica, non ha nulla a che vedere per me con la volontà. 
Mentre ti scrivo ascolto ancora una volta, come faccio da sempre e senza fine, Oblivion di Astor Piazzolla, e, come sempre, piango, ché quella musica mi porta via o, forse, mi riporta indietro. 
È un'onda su cui ho scritto decine di poesie che parlavano di piedi tristi che si trascinavano sulle sabbie del ricordo, di un uomo che zoppica e cade e si sbuccia la mente a cercar di rimediare all'irrimediabile.
Tu dici io parto e, secondo me, partendo ritorni. 
Io sono un uomo che resta, nato e cresciuto nella Milano delle Nebbie dense, quelle che ti ottundevano i pensieri in un miele di un dirsi, sempre troppo sobriamente, ti amo. 
E dalla mia Milano, sì, sono fuggito ogni notte, e tornato ogni giorno al mattino. 
E quindi io restando fuggo e poi torno, ché la nebbia chiama e i ricordi pure. 
Io non emigro, sono un ebreo e se metto radice ci vuole Mosè a trascinarmi via...anche, e soprattutto, dalle mie schiavitù.
E poi ho il cuore ballerino e, se lui danza, lo fa da solo di nascosto, per paura di pestare i piedi aggraziati della donna che ama.
Eppure, come te, scrivo e scrivendo volo e se il mio volo sia picchiata di falco, planata di gabbiano o balzello di tacchino non sta a me dirlo: però volo e, scrivendo, stacco i piedi da terra, almeno per un secondo, come la nota iniziale di questo Oblivion senza fine, questa traccia malinconica che mai mi abbandona. 
Allora cosa voglio che tu scriva lo hai già scritto. Hai scritto di un uomo che sa scegliere la fine di un percorso d'amore perché non finisca da sè, nel rimpianto.
E, credimi, io misuro e peso sempre le parole - solo il mio Dio burlone sa che peso siano le parole sulle mie spalle.
È il peso del Sacro, o se vuoi dell'Antico. 
E quindi so che, se si può scegliere la fine d'un percorso, un amore non finisce per scelta.
Dura finché dura la nota iniziale di Oblivion, e forse oltre, là, oltre l'oceano.

Là, oltre ogni passo, 
ogni bracciata; sospesi
sopra quel tenero abisso,
quella voce di sirena 
che ci chiama; in basso,
sta il campo fertile
della non intenzione.
Io ne ho le chiavi, e così tu. 
Ci siamo già dentro
scrivendoci ora, 
senza sapere
se torneremo.

Un abbraccio 
Sergio 

NDA: per ascoltare Oblivion 
di Astor Piazzolla cliccate qui
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NOTE BIOBIBLIOGRAFICHE

Antonio Nazzaro (Torino, Italia, 1963). Giornalista, poeta, traduttore, video artista e mediatore culturale. Fondatore e coordinatore del Centro Cultural Tina Modotti. È direttore di diverse collezioni di poesia italiana e latinoamericana per differenti case editrici. Ha pubblicato le sillogi: Amore migrante e l’ultima sigaretta (RiL Editores, Chile; Arcoiris, Italia, 2018), Corpi Fumanti (Uniediciones, Bogotá, 2019) e Diario amoroso senza date, Fotoromanzo poetico (Edizioni Carpa Koi, Italia, 2021), La dittatura dell’amore (Edizioni Delta 3, collezione Aeclanum, Italia, 2022). Un libro di racconti brevi: Odore a (Edizioni Arcoiris, Italia, 2014) e il libro di cronaca e poesia: Appunti dal Venezuela, 2017, Vivere nelle proteste (Edizioni Arcoiris, Italia, 2017). Suoi testi sono stati pubblicati in differenti lingue su riviste e antologie nazionali e internazionali.
Ha tradotto, o dall’italiano o dallo spagnolo: Il nemico dei Thirties di Juan Arabia (Samuele Editore, Italia, 2017); La notte di Dino Campana (Edicola Ediciones, Cile, 2017); Hotel della notte di Alessandro Moscè (Buenos Aires Poetry, Argentina, 2018); La lingua instancabile. 10 voci contemporanee della poesia italiana (Samuele Editore, Italia/Buenos Aires Poetry, Argentina 2018); La generazione senza nome, antologia della poesia colombiana (Edizioni Arcoiris, Italia, 2018); Terra e Mito di Umberto Piersanti (Uniediciones, Colombia/Samuele Editore, Italia, 2019); Le svelte radici di Sandro Pecchiari (Uniediciones, Colombia, 2019); Le distrazioni del viaggio di Annalisa Ciampalini (Uniediciones, Colombia, 2019); Sulla soglia di Monica Guerra (Uniediciones, Colombia, 2019); Equazione della responsabilità di Fabiano Alborghetti (Pro Helvetia, Svizzera/Ril Editores, Cile, 2019); Oltre il mare di Khédija Gadhoum (Edizioni Arcoiris, Italia, 2019). Antologia della poesia giovane italiana (nella Collana Gialla della casa editrice fondazione pordenonelegge.it, Italia, 2019); Farragine di Marco Amore (Uniediciones, Colombia/Samuele Editore, Italia, 2020); Olimpia di Luigia Sorrentino (Ril Editores, Cile, 2020); Stazioni remote di Stefano Simoncelli (Carpa Koi, Italia/Uniediciones, Colombia, 2021); Casa delle ossa di Prisca Agustoni (Pro Helvetia, Svizzera/Ril Editores, Cile, 2021). Poesie dell’oscurità di Giuseppe Nibali, (Uniediciones Sello Editorial, Colombia, en coedición con Carpa Koi, Italia, 2022.) Dino Campana Suramericano - Cantos Órficos, (Abisinia Editorial, Argentina 2022.)

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Sergio Daniele Donati (Milano 1966)
Ha pubblicato per Divergenze edizioni il romanzo "Tutto tranne l'amore" (2023)
Ha pubblicato per Ensemble edizioni la silloge "Il canto della Moabita" (2021). 
Ha pubblicato per Mimesis edizioni (Collana dei Taccuini del Silenzio) il libro: "E mi coprii i volti al soffio del Silenzio" (2018). 
Fondatore caporedattore e curatore della pagina Le parole di Fedro, ivi propone alcuni dei suoi percorsi nel linguaggio poetico e narrativo. Altre poesie sono state pubblicate più volte sul vari litblog.
Numerose sue poesie sono apparse su riviste cartacee e online e su quotidiani nazionali. 
Avvocato milanese si occupa di diritto commerciale e di tutela dei minori.
Studioso di meditazione ebraica ed estremo orientale, insegna cultura e meditazione ebraica in associazioni e scuole di formazione e tiene seminari sul valore simbolico dell'alfabeto ebraico.





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Commenti

  1. Caro Antonio ti auguro di continuare a vagare con il corpo, con la mente e, soprattutto, con il cuore

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  2. Bellissimo questo essere sempre in viaggio, tra le terre, sul foglio, anche la poesia è un viaggio di chi non ha potuto o voluto spostarsi fisicamente. Dio è troppo stretto in una definizione, così la poesia: vi prego, non rovinate tutto cercando di arginare l'oceano. Barbara Rabita

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    1. Verissimo, eppure è anche dalla "ristrettezza" della parola che la poesia procede col suo canto. Grazie davvero Barbara, un magnifico commento davvero.

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