(Redazione) - Nota di lettura su "Voce del verbo mare", di Simone Consorti (Arcipelago Itaca ed)

 

A cura di Sergio Daniele Donati

Simone Consorti è autore nato nel 1973 a Roma, dove insegna in un liceo. Ha esordito con “L’uomo che scrive sull’acqua ‘aiuto’ ”(Baldini e Castoldi 1999, Premio Euroclub 2000, Premio Linus) e pubblicato i romanzi “Sterile come il tuo amore”(Besa, 2008), “In fuga dalla scuola e verso il mondo”(Hacca, 2009), “A tempo di sesso”(Besa, 2012),“Da questa parte della morte”(Besa, 2015), “Otello ti presento Ofelia” (L’erudita, 2018), “La pioggia a Cracovia”(Ensemble, 2019), “Vi dichiaro marito e morte”(Ensemble, 2021). 
Diverse sono le sue raccolte di poesia tra cui “Nell’antro del misantropo” (L’arcolaio 2014) e “Le ore del terrore”, (L’arcolaio, 2018). 
Nel corrente anno è uscita per i tipi di Arcipelago Itaca ed. la sua raccolta Voce del verbo mare.
La silloge si presenta subito al lettore come opera di incisiva maturità in cui emergono con chiarezza alcune tematiche di fondo con ogni probabilità care al poeta. 
La poesia d'esordio della raccolta, ad esempio, dal titolo "Ti ho dato appuntamento senza dirtelo" si caratterizza, oltre che per la sua incisività, per un certo flusso, che ritroveremo ancora, che porta il lettore in un gioco di controsensi molto fertile.
Ne riportiamo qui sotto il testo. 

Ti ho dato appuntamento senza dirtelo 
e sono qui in anticipo da tanto 
perché so che non verrai 
ma non so quando

È evidente l'intento volutamente e positivamente provocatorio dell'autore nell'esordire nella raccolta con una poesia d'attesa di chi si sa già non giungerà ad un appuntamento mai fissato, e resta forte l'impressione in chi la legge che proprio al lettore la poesia sia rivolta. 
Consorti, in altre parole, sembra lanciare ironicamente un monito, in esordio di silloge, su una mancanza insita e connaturata al rapporto tra scrittura e lettura; tra scrittore e lettore. 
E ci ricorda, col sorriso che si percepisce in tutta la silloge e nonostante la serietà delle sue composizioni, che il rapporto tra scrittura e fruizione è sempre crepato da un'assenza incolmabile di entrambi i soggetti, una diserzione che tanto ricorda il beckettiano Godot. 

Ben si può dire che questo gioco dei paradossi sia presente in tutta la raccolta, peraltro. Ed è spesso l'ultimo verso delle composizioni a svelare al lettore una possibile chiave ermeneutica dei versi.
Così, ad esempio, ne All’alba mi accompagno sulla spiaggia, il cui testo sotto si riporta. 

All’alba mi accompagno sulla spiaggia 
e mi guardo scrivere poesie 
su una sedia a dondolo celeste 
cigolante come il mare 
In certi momenti mi invidio

Di tutta evidenza il taglio ironico della composizione. Tuttavia non si può mancare di notare che proprio il sapiente uso dell'ironia permette all'autore, non solo di creare effetti di stupore in chi legge, ma accompagni quest'ultimo verso possibili chiavi di comprensione di una visione altra. 
La poesia in esame, infatti, non si caratterizza solo per un dialogo profondo e un'osservazione reciproca di diverse parti di un sé molto presente, ma per una compenetrazione di elementi naturali (mare, volta celeste) che portano chi scrive al sentimento più umano, forse, che si possa esprimere. 
L'invidia - in questo caso di sé stessi - è il frutto di una osservazione della possibilità, carente in chi invidia, d'essere compenetrati dalla natura, immersi in essa ed in armonia. 
L'invidia, anche quella che ironicamente l'autore dice di avere per se stesso, è il frutto di questa consapevolezza, ancora una volta di una mancanza. 
E tutto questo viene espresso con l'incisiva delicatezza di chi, senza dubbio alcuno, deve aver saputo esplorare quelle sensazioni nel profondo, prima di tradurle in parola.

Per questo e mille altri motivi Voce del verbo mare (già il titolo porta con sé ironia) è una silloge molto matura e piena che sa trascinare il lettore verso un sorriso di comprensione paradossalmente fertile e serio allo stesso tempo.

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