Lettere a una persona speciale (21 - 30)

L. Fontana


21 La gioia d'un incontro 

La gioia di un incontro dicevo tra me e me.
E un piccolo sorriso mi mutava l'espressione.
Poi finita la telefonata, come spesso avviene, quel sorriso si è trasformato. In scrittura.
E io scrivo, l'avrai capito di mondi da me visitati anche nel sogno. Sogno e segno.
Di qualcosa che avanza. Lento. Come le tue cadenze. Come i tuoi gesti. Come le tue assenze, mai definitive, sempre con tracce dei tuoi "tornerò".
E poi, lo sai, io sono gufo, e l'altro e l'altrove mi attirano, sempre.
Come i richiami per gli uccelli. E allora certo dell'incontro la gioia; ma anche lo stupore, lo stordimento, il non sentirsi adeguati, non ancora, e poi "sì lo sono, lo siamo" fuori dalle nostre timidezze.
La gioia di un incontro dicevo.
E in questa formula usata, abusata, monotona e monotóna, ci mettevo un cuore che batte. Forte. Maschio. Anche quando ogni tanto salta una battuta. E mani che hanno vissuto e un naso che ha odorato la vita.
Che ogni incontro è un po' preparato dai precedenti, dal nostro arrivarci esperti/inesperti delle cose dell'uomo.
E il non dire, il non dirsi ciò che è non certo indicibile, ma tanto più prezioso se velato di silenzio.
E il tacere, il tacersi, coccolando dentro di sé quella unica parola che è chiave antica, di rame e ferro battuto. E apre (o chiude), quando usata, porte di legno spesso, stagionato. Per sempre.
La gioia di un incontro. Certo. Formula abusata
Perché tu non sei un incontro, petalo.
Tu sei l'incontro.
E non dire niente. Anzi. Non leggermi.
Lascia che sia un silenzio sovrano, un vento caldo e le nostre dolci titubanze a guidarci, ancora e ancora.
Lasciati sedurre non dalle mie parole ma dal mio passo lento.
Come di montanaro esperto. Nella neve.

22 Innaffiare i pensieri 

Pensavo poco fa, tra me e me, mentre annaffiavo le piante in terrazzo, che l'unica costante che posso dire esistere nella mia vita, nome a parte, è una certa tenacia.
Per alcuni in verità si tratta di testardaggine. Ma io credo che qualche elemento positivo nel non retrocedere, finché non convinto d'essere in errore, ci sia.
D'altronde, parlando fuori dai denti, petalo, non si esce dai deserti che nella vita ho dovuto attraversare se non si è un po' testardi.
La tentazione alla rinuncia, alla disperazione è la vera sirena dei perigli di Ulisse ed è una trappola sempre presente.
Io non sono particolarmente intelligente, o colto, o sensibile. Sono solo un testone che, insistendo, è riuscito a ottenere qualche limitato risultato.
Questo lo pensavo tra me e me, e infatti è un pensiero limitato, che gira e gira e gira intorno a sé stesso, negandomi l'accesso ad una verità più profonda.
Poi ho pensato a te e al tuo modo di porti nella vita.
E il mio pensiero era tra me e te. E questo, ormai lo avrai capito, mi apre la mente.
Tu, senza nulla dirmi, non mi stai chiedendo di rinunciare alla mia tenacia.
Mi mostri però, senza nulla dirmi, un diverso linguaggio della tenuta.
Una diversa morbidezza e delicatezza e, soprattutto, una differente via d'accesso alle mie risorse più profonde.
C'è la tenacia del samurai. Forte, immobile, lo sguardo fisso sull'orizzonte e sui valori che difende.
Questa penso di averla incarnata a sufficienza nella vita. È importante a volte nella vita sapersi posizionare con potenza.
E poi c'è la tenacia della farfalla. Sceglie un fiore.
Ci svolazza intorno, ci si posa.
Poi vola ancora un po' e poi ci ritorna, per succhiarne il nettare.
Ed è altrettanto importante saper vivere in quel modo le proprie scelte.
Questa 'tenacia delicata' la sto imparando da te, senza che tu me ne faccia cenno con la parola.
E di questo miracolo di trasformazione da samurai a farfalla io ho pieni gli occhi.
Credo che ci sia un istante preciso in cui, anche il Samurai debba ringraziare. E questo è per me quel momento.

23 Quando l'anima si piega 

Oggi ti vorrei fare sentire questo brano.
E raccontarti di un'anima che a volte si piega su se stessa e tesse canti e prega. Sì prega.
Chi o che cosa non lo so.
Ma prega. Incapace di prendere il volo, di trovare lo spin, di volare, si piega e canta.
E prega.
Io su quell'anima stendo coperte di lino perché provi calore e mantenga accesso il suo lumino.
Lei mi guarda e ringrazia e mi sussurra piano: "Non temere tornerò, tu continua a cantare per me, per il mio ritorno".
Ho imparato a prendermi cura di lei finché non ritrova la sua postura verso il mondo.
Le preparo latte caldo e cannella, e le racconto della mia guardia da samurai alla sua incolumità.
Lei mi guarda con tenerezza e mi sussurra: " Non essere sciocco, Sergio, sai bene che sono io a fare guardia al Samurai".
Ci sorridiamo. Lei si stringe alle mie braccia forti, forse troppo forti, e mi sussurra.
"Tienimi stretta, Sergio, proteggi il mio sonno, se ti fa sentire meglio".
Io la tengo tra le braccia e accarezzo i capelli all'anima mia, finché non sono certo che il suo sonno è tranquillo.
Hai i capelli belli, l'anima mia, sai petalo.

24 Sguardi Bambini 

Ho immaginato per un istante il tuo sguardo bambino, mentre ti spingevano piano verso il cielo e tu ridevi felice.
Che le nuvole sono lì, da sfiorare, con dita piccole.
Ho immaginato poi di darti io la spinta, dolce e controllata.
Poi mi sono detto che, no, tu voli da sola. E a me fa piacere soltanto vederti felice e estasiata del cielo che si avvicina ad ogni tua salita.
E ora taccio davvero.
Perché c'è un cuore che batte e non ha più parole.

25 Quella parola 

Per comporre quella parola, petalo, non basterebbero tutti gli alfabeti del mondo.
E forse è per questo che ancora non devo dirla.
Non basterebbe l'alfabeto ebraico, nemmeno con tutti i suoi simboli antichi.
Né quello greco, con i suoi suoni che affondano nel mito, come un biscotto di frolla nel caffellatte, al mattino.
Non basterebbe quello italiano la cui dolcezza rende acre anche il più divino dei mieli.
Né le sonorità nasali dell'alfabeto francese che è seduzione pura, corporea, tattile.
Per comporre quella parola, che porta nel vento il tuo nome e lo richiama e lo coccola lento, quella parola che solleva con delicatezza il tuo corpo leggero, e lo trasporta nel luogo da te prescelto per stare, di fronte al mio sguardo, avrei bisogno di alfabeti fatti di luce.
Di lettere fatte della persistenza di un raggio di sole capace di filtrare tra le nuvole, di giochi di lemmi fatti di colori dalla tonalità pastello.
Avrei bisogno, petalo, dell'alfabeto del Silenzio che compone diafane melodie lassù in un cielo che ride, lieto del nostro incontro.
Per questo non pronuncio ancora quella parola, petalo.
Aspetto che abbia termine la mia balbuzie e cerco un suono che parta da uno sterno che ha troppo lavorato per non sapere che quella parola, se pronunciata con l'intenzione che già ora silenziosa mi sostiene, sposta galassie, e muove tempi, e rende i miei occhi verde muschio del colore della prima erba di primavera.
Io so che quella parola renderà onore al creato, e per questo attendo che le mie labbra siano di nuovo degne di pronunciarla per te, davanti ai tuoi occhi, che portano stelle e fiori di montagna e sorrisi di un tempo che fu e sarà.

26 Piccole finestre 

Guardiamo a volte il mondo, petalo, da una piccola finestra perché il mondo entri nei nostri occhi poco alla volta, goccia a goccia.
Per poterlo centellinare - il mondo che ci avvolge - come il migliore dei vini.
È un'illusione, certo.
Perché nel mondo, petalo, noi siamo immersi e dal mondo costantemente nutriti.
Ma ci è utile a volte posizionarci in un finto altrove, così, per poter dire di essere capaci anche di compenetrare l'Altro.
Mentre l'altro siamo noi e noi siamo l'altro.
Allora è bene sai che questa illusione persista.
E immagino di affacciarmi alla stessa tua finestra per guardare il mondo come una coperta, che ci avvolga entrambi, assieme.
Magari sorridendoci con timida attitudine, come quando fuori piove e si beve una tisana assieme al futuro-presente-passato che ci avvolge.

27 Piani obliqui 

C'è un piano obliquo in ogni cosa, petalo. Qualcosa che taglia e cuce allo stesso tempo.
Come quando medito sulla linea dell'orizzonte al mare, e, all'improvviso, un volo di gabbiano interrompe il flusso tra me e l'infinito.
Uno sfarfallio.
Un battito di ciglia, improvviso e breve.
È là, petalo, in quel preciso istante, che gioco ogni mia scelta.
O abbandono la pratica o innalzo a sacro questo passaggio perché mi permette la gioia del ritorno all'infinito.
In fondo tra distrazione e attrazione le differenze sono sono sottili.
E i giochi, petalo, su questo piano obliquo hanno sempre il profumo del sublime.
Forse, però, non capisci, per mia criptica parola, ciò che voglio dire.
Allora racconto, anzi mi racconto.
Oggi mi sono messo - era ora - su un progetto di scrittura per me molto delicato.
Delicato perché tocca corde mie profonde; delicato perché è sostenuto da 4000 anni di storia, ma allo stesso tempo questo sostegno ha un prezzo.
Mi richiede la schiena molto dritta, una concentrazione da amanuense, e soprattutto un tributo etico al mio passato non da poco.
È un progetto che mi impone di stare dentro le parole, dentro le lettere, senza divagazioni, né distrazioni.
Affronto quel tipo di scrittura solo dopo aver meditato.
Anzi quella scrittura stessa è meditazione per me.
Ero dunque fermo, immobile, nello spazio vuoto dopo una parola, alla ricerca della successiva.
In attesa. Immobile e silenzioso.
In quell'istante il passaggio.
Erano i tuoi occhi.
E i tuoi occhi, lo sai, mi portano via. Sono per me l'Altrove.
E, come dicevo prima, ho scelto.
Sono tornato con gioia all'infinito spazio che si manifesta dopo una parola, prima che la successiva faccia la sua apparizione.
E gran parte della gioia, lo dico con commozione, è stato nel percepire il tuo sguardo su di me, come una calda carezza d'incoraggiamento sulla nuca.

28 Sono intelligente? 

Sai, dicono di me che sono intelligente. Ma io non credo. Ho commesso troppi errori in mezzo secolo di vita, alcuni dei quali irreparabili, per potermi dire intelligente. Che l'intelligenza, petalo, se non è accompagnata dal cuore, serve a poco.
Alcuni mi dicono sensibile. Ma io non credo nemmeno a questo. La mia cosiddetta 'sensibilità' è stata spesso solo un urlo da bimbo sofferente verso il mondo.
Tu dirai che è ben questo essere empatici. Riconoscere e accogliere il dolore altrui perché in fondo è il tuo. Ma ho sovrapposto troppe volte il mio vissuto a quello altrui per potermi dire sensibile, credimi.
Altri parlano della mia intimità con la parola e, senza false modestie, credo che sia vero.
Solo che pochi sanno da quali ferite sgorghino i miei lemmi. Le parole bruciano, e come il fuoco vanno dominate con cautela.
Le parole pesano molto più delle pietre di Carlo Levi. Sono montagne da scalare sulle quali spesso ti sbucci le ginocchia e le nocche.
Io da sempre scrivo per sopravvivere e, se la mia voce forse è ora più sicura e riconoscibile, certo non nego per questo la fonte del mio dire, che sta in un'assenza troppo grande per non essere compensata.
È lì, la guardo e ci costruisco attorno il mio giardino fatato. Perché attorno al fuoco che brucia si devono costruire muri a secco, perché non divampi e incendi il bosco.
Per altri ho doti di intuizione, anche il mio maestro me lo diceva mentre le nostre spade di legno si incrociavano.
Sì e no, petalo; sì e no.
Certo so leggere i miei sogni, e spesso pure quelli altrui - viviamo tutti in un grande sogno collettivo - ma so bene che anche questa capacità di lettura del mondo può divenire una trappola pericolosa.
Perché si deve sempre lasciare spazio alle letture altrui e in questo tu hai avuto un ruolo fondamentale.
Tu, balsamo per l'irruenza del mio fuoco sacro, mi hai indicato una via diversa.
E non è sempre facile deporre le armi, rinunciare all'odore acre di battaglia e dirsi vinti.
Vinti e felici di esserlo.
Essere vinti e felici, senza cedere alla tentazione di non ridare la sua sacralità a una parola abusata: perdono.
Di sé e degli altri.
Oh sì è così facile sminuire il percorso e le sue asperità.
Ma è altrettanto banale sostenere che non sia possibile.
Come vedi io non cedo alle lusinghe del mondo. Diffido sempre dei cori di plauso molto più che di quelli di maldicenza. E non perché non riconosca le buone intenzioni e ottimo cuore della gente. Ma so che gli è preclusa, salvo rari casi, la visione della fonte dolorosa delle mie cosiddette qualità e del prezzo, davvero alto credimi, che ho dovuto pagare per essere il piccolo uomo che sono.
(se mi dico piccolo è perché lo penso davvero e non perché cerco altri facili plausi).
Allora, petalo, chi è stato, chi è Sergio? È bene che tu lo sappia.
Un allievo. Un allievo dalla buona volontà. E tale mi considero ancora alla mia età. Se qualcosa posso trasmettere ora è questo. A posizionarsi con la schiena dritta nell'apprendimento.
Altro di certo di me, credimi, io non potrei dire.
Ho più facilità a dire chi sei tu. Ho più visione della tua Qualità e del tuo Passo che del mio. Ed è bene che sia così.
E ora è l'ora di immergermi in questa estate forzatamente milanese e lasciarmi sedurre dalle fronti sudate e dalle birre gelide e dalla chiacchiere da bar che tanto mi sono care, lo sai.
Però prima di farlo mi fermo, ti guardo e ti carezzo piano i capelli.
È il mio modo per ringraziarti di esistere per come sei e per chi sei, per me e per il mondo.

29 Pensieri caldi 

E così, alla fine di una giornata in cui anche i pensieri si fanno caldi, mi siedo e ti scrivo. E immagino, e ti immagino, e un po' mi immagino. È un esercizio antico.
Vedersi e vedere il mondo, dall'alto.
Un esercizio a cui ci si può avvicinare con sincerità se sì è masticato a lungo il gusto stopposo e amaro della polvere.
Non si vola prima di aver messo su delle forti ali.
E in quei mesi di formazione ci si deve adeguare a mangiare cibo premasticato da genitori goffi e a dividere il nido con fratelli invadenti in mezzo a sterco e piume e resti di lombrichi e piccole prede.
Così, in quell'atmosfera che sa tanto di sopravvivenza, crescono e si rinforzano piume e penne, prima del primo volo.
Ma poi si vola. E si guarda, e ci si guarda, dall'alto.
Ognuno ha il suo volo.
Il mio è il volo del gufo, lo sai.
Non fa rumore.
E osserva anche di notte al buio ogni minimo spostamento.
Un gufo lo senti arrivare quando è ormai su di te.
Non ho la potenza dell'aquila, né la velocità del falco pellegrino, ma volo silenzioso anche nelle fitte boscaglie. E se vedo, vedo.
E ho visto un giovane uomo di mezza età scrivere in un bar affollato sul cellulare parole forse senza senso.
Ho sentito il battito del suo cuore salterino ma giocoso.
L'ho visto sorridere come un tredicenne mentre ti scriveva e alzare lo sguardo per cercare una parola che gli sfuggiva.
Eh no, non non gli sfuggiva affatto; si tratteneva dal dirla.
Guardava in alto per trovare la forza di tenerla dentro di sé.
E rideva. Rideva davvero mentre scriveva.
Uno spettacolo strano da osservare.
Uno spirito ragazzino in un uomo con la barba bianca.
Poi sono volato via che anche gli occhi dei gufi devono riposare.
Ma prima di posarmi sul ramo della antica quercia sono volato anche sopra di te.
Cosa ho visto resti nel silenzio, petalo, o nel già intuito e ancora non detto, o in ciò che, forse, un domani si dirà.

30 Il calare lento delle cose 

C'è una discesa, un calare lento delle cose, come una pioggia sottile, che porta in sé i semi del Sacro.
Può sembrare un'uscita dal sentiero delle emozioni, dai colori dei suoi fiori, dai profumi dei suoi arbusti.
Tutto è calma e quiete e le cose ci scorrono davanti come immagini di un film in slow motion.
Questa discesa, questo osservare e osservarci e osservarsi dall'alto, a volo d'aquila, ci pare così lontano dall'intensità della vita da sembrare straniante. Addirittura spaventevole. Aneliamo al ritorno, al battito accelerato del cuore, alla densità e alla intensità degli incontri che è la traccia, il solco del nostro vivere.
Che cos'è dunque questa calma subitanea? Questa repentina intuizione dell'Altrove?
E perché capita a noi? Proprio a noi?
E la discesa della pioggia fine, petalo, è l'irrigazione dei nostri semi emotivi. È il silenzio che prepara nuovi germogli. Non temerla. Lascia che sia. È il sacro che entra, non detto, nel taglio dolce e felino dei tuoi occhi, nel timbro regale della tua voce. Lascia che sia e osserva questo nutrimento puro del tuo percorso nelle emozioni.
Lascia che cali, che scenda su di te questa pioggia fine di consapevolezza del tuo essere, presente a te stessa, prima di ogni espressione emotiva.
E le tue emozioni, petalo, lo sai, sono l'ossatura su cui sto costruendo il mio percorso.


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