(Redazione) - Di poesia, di poeti, di Custodi Acque fossili abbracciano la pioggia (di Alfredo Rienzi) - una nota di lettura di Anna Rita Merico

Acque fossili abbracciano la pioggia (1)

Acque fossili abbracciano la pioggia benedicente e calma:
falsa laguna collegata al mare da un sommerso canale
dal tempo in cui vacillarono i regni di Edom, senza cadere.

Pare una donna, dal volto coperto,
che oscuramente fissa nel calmo specchio d’acqua
uno spazio screpolato incolore del cielo occidentale

in equilibrio in mezzo alle colonne della misericordia e del rigore
la sta osservando il poeta, l’iniziato al mistero minimale
immobile, scolpito come l’alfa e l’omega sul marmo funerario

ne riconosce il profilo dei seni e il fiato fecondante
i nudi piedi e bianchi, sotto la palude di fango e siero,
il profumo d’issopo. Solleva l’orlo della lunga veste:

la pelle è cifrata da fuoco e morsi di bestie d’ogni specie:
non una traccia venga cancellata
non una parola vada perduta.
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NOTA DI LETTURA (di Anna Rita Merico)

Contenere l’acqua appena dopo un diluvio arcano, un diluvio colmo di esiti di Creazione. Lattea acqua di umidi tremori. L’acqua che bagna e collega, unisce e accompagna. Nel movimento tutto è così immobile. Chi lega stasi sacra a immagine è una donna irriconoscibile al suo Tutto: respiro irraggiungibile eppure presente al gesto dello sguardo del poeta che la attraversa. Lei, la posseduta dal tempo e dagli occhi che hanno visto, lei la schiacciata capàsa che tutto contiene. Lei che giunge da dimensioni lontane, lei… sapienziale passo di bianca pelle. Il suo corpo è l’antico testo scritto da bestie d’arcano passo. Lei sa che la parola, prima di sorgere dalle nebbie acquose, lattee del fondo è fuoco di marchio impresso su diafana pelle.
Dove era la parola prima della sua stessa genesi? Come ha incistato la sua scissione quando ha mostrato nudo mondo?
Un’iride, quella del poeta, l’iniziato al mistero minimale riconosce, magnetico, la cartografia segnata sul diafano del corpo insottanato, le verità cifrate, il marchio rosso e radente del fuoco. Eppure non è corpo. E’ dentro di rito fondante alle confluenze di varchi. Arcane le acque, primo plancton di nutrimento. Doppie le acque prim’ancora delle lattee suzioni.
Custode è l’argine allo straripamento, l’argine alla dissipazione della parola con i suoi verbagni segni. La femminea figura nel proprio possedere un sotto ed un sopra, supera e intramezza ogni regno possibile. Sua la sottana che copre ogni libro pensato, ogni inizio di segno cigliato. Sua la sottanapelle che tiene, come cellula annicchiata, la parola prima d’ogni visionaria partogenesi.
La parola non visibile genera visione che genera parola visibile. Vortice di radice, alba d’intenti, dentro di nucleolo ribosomale in cui il soffio trema, il minutamente intimo dispiega la propria potenza di forgia.
E la pioggia sovrasta lenta e grata nel ritmo dell’uguale, nel ritmo di ciò che, pur scendendo, non cade. Forme di attraversamento delle acque si dipanano: lagune, canali, mari. E’ un convergere che mostra l’immobile dell’essere nella sua primigenia, pastosa ontologia.
E la visione genera parola. Una visione madre di mondo. E la visione ha volto coperto come la femminea figura assorta nel partoriente della visione. Nascita fuori da ogni carne. Nascita dallo screpolato di uno spazio a noi vicino. Spazio che ancora c’interroga. Nascita che canta la morte come suo stesso compimento perché nascita è compimento di forma altra, è morte di forma precedente. E la visione ha volto coperto perché il molto svelare uccide.
Il marmo funerario fa da culla allo spuntare dell’ogni. E seni e fianchi e fiato s’adoperano nel sotto. Il sotto è un doppio ove ferve seme di radice e calore. E respiro lallante dilata e stringe e morso s’annuncia e bestia si dice come squama che morde, innocente, in cerca di forma.
Nessun gesto è possibile. Nessun’alterazione nel tuttofermo.
Solo, solo la poesia. Femminile d’eterea pelle in partogenesi –ora- conserva inizio di traccia, fuoco di forgia, energia di vortice e, al proprio iniziato al mistero minimale versa idro affinchè né si possa cancellare, né si possa perdere quel fiato primigenio di mondogenesi, di parola nucleolo.
Guardiamo muti ed esterrefatti la fonte del segno, la sete della parola, il movimento di volo dell’ala radente. Guardiamo muti, tramutati in battito, custodi del volo.

(1) - Alfredo Rienzi, Custodi ed invasori, Mimesis Edizioni 2005, pg. 29
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NOTA BIO-BIBLIOGRAFICA
SU ANNA RITA MERICO

Nata a Nola (Na), attualmente vive in Salento. Inizia la propria attività di ricerca all’interno dell’M.C.E. (Movimento Cooperazione Educativa) e, contestualmente, in ambienti legati al pensiero della soggettività femminile a partire da Laurea in Filosofia e tesi su Carla Lonzi. Molte le collaborazioni con I.R.R.E. Puglia e Ministero per sperimentazioni nazionali (Progetto P.O.LI.TE.) ed europee (Progetto Tam-Tam, Spagna-Grecia-Italia) sul tema della didattica della differenza sessuale.
Lunga attività di ricerca su tematiche inerenti la filosofia della differenza sessuale: collaborazioni con dipartimenti universitari attraverso progettazioni europee, pubblicazioni su riviste di settore e testi collettanei, formatrice in corsi presso enti istituzionali ed associazionismo.
Pubblicazioni, in poesia: Era un raggio…entrò da Est (2020, Musicaos ed.). Raccolta: Fenomenologia del silenzio (Musicaos ed. 2022)
Presente su blog e riviste online/cartacee (critica letteraria e poesia).
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