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Dialoghi poetici coi Maestri - 32. Pier Paolo Pasolini

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Ho voluto la mia solitudine sono senza amore, mentre, barbaro o miseramente borghese, il mondo è pieno, pieno d’amore… e sono qui solo come un animale senza nome: da nulla consacrato, non appartenente a nessuno, libero di una libertà che mi ha massacrato (Pier Paolo Pasolini) UNA SOFFERENZA SOLITARIA So dove va lo sguardo se nega, nel sogno, il proprio dolore. E so che tu hai saputo, non tanto declinare le lettere d'una sofferenza solitaria, quanto descrivere quelle che tutti noi rifiutiamo di trasformare in vita per non dirci vivi. La vita nostra pesa proprio perché non animale e il nome che portiamo sul dorso ci è stato donato troppo spesso da padri assenti. (Sergio Daniele Donati - inedito 2020)

Nel mondo di Rossana Oriele Bacchella

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  Rossana Bacchella Inutilità È tornata gialla la forsizia ieri spoglia e il sole tiepido ha ripreso il suo giro alto nel nostro cielo e ho piantato viole gialle sul mio balcone come per dire “Io posso”. Lontano è il richiamo del buio se sto sulla via se sto con la penna tra le dita su una panchina per sentire il mondo e tutto il blu del cielo. C’è qualcosa di meraviglioso che non so in tutta questa inutilità. (Rossana Bacchella,  da 'INDIZI DALLE PERIFERIE' - Kanaga Ed.) ______ Forse della primavera ancora non arriva l’odore e i cespugli non vestono il giallo sull’erba ingiallita ancora non spunta la margherita o l'azzurro di minuscoli fiori All’incerto tepore non segue la sua venuta e umani orecchi, poco avvezzi non odono sotto la scorza dura dei germogli il fragore Forse della primavera ancora non colgo il sapore ma già ne sento l’umore È come un preciso presagio nel ricordo lasciato da quell’impronta profonda di quand’ero bambina che nel ciclo mai esausto sempre ritor

Timeout

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Studio su tre mani di A. Dürer Urge un gesto sovrano, un movimento iconico  della mano che fermi il tempo.

Voce di stella

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Foto di Sergio Daniele Donati Si piega al volere del vento, al volo del falco il tempo; e non è più il momento di seminare grano. Là, tra le pieghe d'un sorriso ebete ho sentito un urlo acuto, una voce di stella: « perché non torni ad esser ciò che non sei mai stato? »

(Redazione) - Lo spazio vuoto tra le lettere - 05 - Le mani e il Poeta

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A cura di Sergio Daniele Donati Le mani sono le parti del corpo umano che più manifestano la presenza dell ' altro da noi; in noi. Con le mani apprendiamo distanze e protezioni dal mondo.  Con le mani sempre col mondo veniamo in contatto. Le mani sono portatrici del bene e del male che creiamo nella nostra breve esistenza. Le mani trattengono, le mani si aprono e lasciano andare. Le mani benedicono. Hirokazu Kobayashi Il grande maestro giapponese Hirokazu Kobayashi ( 1) , che ho avuto modo di incontrare più volte nelle mie peregrinazioni nel mondo delle arti marziali, diceva: " Le nostre mani non sono nostre . Sono corpi estranei, provenienti da mondi altri, attaccate al nostro corpo per indicarci la Via".  Ho faticato molto a comprendere il senso di quel messaggio sino a che non mi sono ricordato dei miei studi sul pensiero ebraico.  Ogni lettera dello alef-bet ( 2)  richiama una parte del corpo e ce ne sono due che ricordano la centralità delle mani nel percorso spiritu

Una memoria anfibia

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"Evanescenza" di Sergio Daniele Donati Sta nella pelle - tra le dita della mano -  una memoria anfibia. Gracidano i pensieri di notte - un ritmo lento; canto di passaggio - Tu questo lo sai e conosci il peso  della penna, prima che lasci sul foglio tracce alchemiche. Segni di trasformazione d'un silenzio di ghiaccio in parola; color indaco.

Due inediti di Gisella Genna

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Golfo iridescente, svegli d’azzurro gli occhi son visti, non chiedono, devono questi essere perle, venature nell’alto campo del cielo. ___ Tra pensiero e pensiero - fuori dall’abbazia l’esatto sentire ed erba rossa attendono pioggia crepuscolare. Siamo io e te, padre. _____ NOTE BIO-BIBLIOGRAFICHE Gisella Genna è nata nel 1973 a Milano, dove vive e lavora. Giornalista e docente, si occupa di moda. A marzo 2020 è uscita per Interno Poesia la sua prima raccolta in versi Quarta stella . Si sono occupati della sua poesia blog letterari e riviste cartacee e online tra cui La Lettura – Corriere della Sera, la Repubblica, Atelier, La dimora del tempo sospeso, Carteggi Letterari, Il Rifugio dell'Ircocervo, Rai Poesia, Inverso, e altri.

Due poeti allo specchio (Viviana Viviani e Sergio Daniele Donati)

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IO SO CHE TU SAI Io so che tu sai del passo che si fa incerto alla porta del Silenzio, e sai dell'ironia che soccorre la mano incapace di accogliere sul palmo gocce dell'olio più sacro. Io so che tu sai e sorrido di nascosto del tuo finto stupore. (Sergio Daniele Donati - Inedito 2022) SO IL SILENZIO So il silenzio cavo delle montagne e quello fragile della notte la reticenza ostinata del telefono il mormorio inudibile del ripensamento e il tepore muto dell’intimità. Solo mi è ignoto il silenzio di quando tu non parli. (Viviana Viviani - Inedito 2022)

(Redazione) - Dissolvenze - 04 - Carambola (su Arnold Odermatt)

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A cura di Arianna Bonino La Rolleiflex è un oggetto bellissimo.  Io non ho idea di come si scattino fotografie cosiddette professionali né tantomeno artistiche, ma anche solo a guardarla, la Rolleiflex è già di per sé un oggetto meraviglioso.  È una reflex biottica, vale a dire una macchina dotata di due obiettivi, uno disposto sopra l’altro, in verticale.  Fu la tedesca Franke&Heidecke a commercializzare dal 1929 questo tipo di macchina fotografica, destinata evidentemente ai professionisti del settore.  I due obiettivi della Rolleiflex avevano compiti specializzati: uno serviva per la ripresa, l’altro per comporre l’inquadratura.  Questo gioiellino di tecnica fu la soluzione al problema dei continui scambi tra vetro smerigliato e porta lastre che rendevano complicato e snervante il lavoro dei professionisti dotati di macchine fotografiche di diversa fattura.  La Rolleiflex è una macchina portentosa anche per la robustezza, la qualità ottica, la luminosità del mirino e soprattutt

( Redazione ) - Su "Partiture di pelle" - silloge di Mattia Cattaneo, Architetti delle Parole ed. 2021

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Partiture di pelle, recente silloge del poeta Mattia Cattaneo ( Architetti delle Parole ed., 2021) rappresenta una sorta di viaggio musicale nel corpo della parola .  Già il richiamo del titolo della raccolta è portatore di un profumo particolare, dai sentori di cuoio e pelli, che tanto ricorda le botteghe artigiane in cui si conciano le migliori pelli per dei tamburi di pregio.  E l'artigianalità di questa silloge deve essere intesa qui nel suo significato più puro ed elevato;  ciò che richiama ad una abilità fina di modellare i materiali con perizia certosina.  È solo infatti di una raffazzonata idea d'arte pensare che essa esuli dall'idea di artigianato, che esorbiti dal rapporto profondo che ogni espressione artistica ha col corpo di chi si mette al servizio di una Musa. Ma leggendo Mattia Cattaneo è impossibile cadere in questa trappola, giacché l'autore stesso al corpo ci riporta sempre.  Parola come corpo, come pelle e midollo. E ci troviamo estasiati

Due poeti ancora davanti a Man Ray (Rita Bonetti e Sergio Daniele Donati)

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SERVE UN TALENTO E se io ti amassi senza avere il coraggio di dirtelo? Non trovo una soluzione Serve un talento da poeta per passare le ore a scolpire parole oppure restare appesi come trapezisti a fare salti mortali nell'aria per ora ti guardo da lontano amare chi non sono e non sarò mai tu che resti nella luce avvelenata mentre la notte diaccia il vetro delle mie pupille e l'ombra del tuo corpo sul mio letto sfatto (Rita Bonetti - inedito 2022) DOVE CULMINA L'AMORE Sai pensavo che là, dove culmina l'amore, radica il seme dell'assenza; e trova terreno bruno e fertile il grido della mancanza. Ci vuol talento - è vero - a distogliere lo sguardo dalla piena d'un fiume, e a posarlo lontano sulle albe della solitudine. Siamo sempre altrove e inadatti a dirci funamboli del sogno; eppure là, in alto, ci rende languidi la luce di stelle forse ormai spente. Non c'è scalpello che possa dare forma a una parola capace di contenere la

Fa' che non torni (la follia di Odisseo)

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  Foto di Sergio Daniele Donati No. Fa' che non torni quell'onda ancora lontana; lascia che si sperda nell'abbraccio da macellaio  di Oceano la schiuma che ustiona. Fa' che quell'onda non riporti sulle spiagge ch'io ho pulito con maniacale minuzia il liquame del ricordo. E fa' che il mormorio subacqueo  di chi trama un ritorno sanguinario  sia assorbito da un cielo di perla. Oppure fa' ch'io non torni; dai spinta eterna al mio calcagno e portami lontano da questa spiaggia che ho troppo irrorato  di speranza infantile; perché, lo sai, la sabbia, anche se innaffiata dall'acqua più pura non dà virgulto e le orme del profeta sono cancellate dall'onda  della colpa. Fa' che non torni - ch'io non torni - e cambia il nome  in quello che urlai al monocolo di Polifemo. Non fu scherzo né trucco, allora; fu forse l'unica volta  che diedi voce  al mio profondo desiderio di diluirmi nell'oblio. E allora, fa' che non torni  a pulsare nel

Dialoghi poetici coi Maestri - 31. Umberto Piersanti

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VOLTI volti, volti nella mente infissi, sempre più infissi e incerti, e poi così lontani, lontani e persi, nell’oscura veglia mi siete d’intorno, vicini, così vicini alle mani e agli occhi, padre da un grande tempo dimori oltre la valle che la nebbia copre, la grande nebbia che sta oltre, oltre ogni casa e campo, come chi ha la vista quasi spenta risalgo con le mani alla tua fronte, su ogni piega mi soffermo e insisto, del tuo magro sorriso ricerco il dono e i tuoi occhi madre sono i più chiari, io me li stampo dentro, mi fanno il sangue lieto e nulla può il dolore che m’abbranca, restano chiari e azzurri oltre lo sguardo, lo sguardo mio che tanto s’appanna sorella dalla veste chiara ora m’allacci i pattini e spingi alla discesa, lascia ch’io tocchi ancora i tuoi capelli così lunghi e scuri l’altra ha quei tacchi larghi, larghi e spessi degli anni di guerra, tra le ginestre lei rifulge tanto che degli occhi appannati lacera il velo e padre e madre, e la bruna sorella l’altra più chi

Stanze della preparazione (Notturna)

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Si riempiono di suoni lontani i pensieri, nelle ore che precedono il viaggio nella landa della metafora. Li lasciamo scorrere come se non portassero senso; come se alla fine del percorso non restasse che illusione. Eppure mai tace la voce che ricorda, nell'abbaglio del giorno, il nutrimento del sogno. Siamo traduttori - di giorno - dell'epica senza eroi del sogno condiviso dall'aquila e dal paguro. Possiamo fingere di credere che sia il contrario, ma è il sogno a illuminare il reale, la penombra a tingere d'ocra la luce che ci circonda invisibile e indifferente ai nostri destini.

Tre poesie di Chiara Olivero tratte da "Tutte le distanze”, Puntoacapo editrice 2020

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Chiara Olivero - Ph. Greta Valentina Galimberti Poesie di Chiara Olivero tratte da Tutte le distanze” Puntoacapo editrice 2020 A-mors Se solo tu sapessi come è facile morire, la grazia di un tocco il crollo di ogni indomita incertezza lasciare il cuore sparso dappertutto calpestarne i cocci, perdersi negli anfratti che non conosco. Ma forse è questo il senso – il taglio netto – delle cose imperfette, senza nome. Rinascimento La bellezza è qualcosa che ti somiglia con gli occhi negli occhi socchiusi osservare, in ascolto i sensi allertati nell’attesa dei gesti un disegno di linee scomposte, le mani le rime che non scriverò. Rimani, rinascimi. Poetica Creare, inventare nuove rime, dare nuovi significati alle parole spogliarsi degli orpelli che ci legano, sottrarre, scavare – less is more – opporsi ai virtuosismi soltanto per colpire, ridurre il gioco all’essenziale. Il vuoto fa paura ma il nòcciolo sta al centro, il succo è ciò che resta. ___ NOTE BIOBILIOGRAFICHE Chiara Olivero (Casal

Lamed (segni)

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  Lamed di Sergio Daniele Donati È là il segno antico, il più antico. Quello che mette in movimento  serenità nascoste - coperte dall'incertezza del vivere - gli stupori di passi infantili  in montagna - e guarda il merlo e il fischio della marmotta  e dietro il tronco della quercia ho sentito cantare un elfo - È là dicevo la carezza del Maestro, il sorriso che non retrocede al vento freddo in faccia; lo sguardo che sa - che tutto sa - dell'imperfezione del mondo e si china a spostare foglie morte dal sentiero degli allievi.  "Vai" , ti dice, "vai all'incontro con te stesso; apri le mani e ricevi e poi canta; non dimenticare il canto e trasforma". E tu vai e lui resta, guardia delle tue spalle,  solo, a contare i passi che spera che tu faccia;   i passi che allora  non ebbe il coraggio di fare, e si segna il viso col fango sul ciglio perché resti segno - almeno sui suoi volti - dei limiti del suo insegnamento.

Due poeti allo specchio (Mariateresa Bari e Sergio Daniele Donati)

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Calanchi Nei calanchi dell’anima sgorgano afone le parole fiotti rossi ferite aperte sulla pelle opale del cielo Nell’orrore di ogni abisso colmo di vuoto soffre il giorno ma non s’arrende e offre il fianco Nello strappo questo è il patto al parto di un'alba imbuco la voce (Mariateresa Bari – Inedito 2022) Mai Mai prima d'ora, prima di questa stagione che declina e distilla da ferite aperte perle eburnee di consapevolezza, mai, dicevo - ma poi il mio, lo sai, è un balbettio d'infante, un vagito neonato, un sussurro delicato - mai, prima che perdessi i lemmi che invocano la discesa d'un qualsiasi cambiamento ho visto la parola tornare nel luogo fangoso della sua origine. E là, amica mia l'ho vista coprirsi il capo col limo e attendere e germinare lenta. Non c'era pianto nel suo zittimento, tornava nella culla; nella culla silenziosa d'una madre protettiva. (Sergio Daniele Donati – Inedito 2022) ___ NOTE BIOBIBLIOGRAFICHE Mariateresa Bari è nata a Monza nel

Stanze della nostalgia

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  No, non chiedermi perché guardo in basso. È solo un gesto parassita per non vedere; per non vedere. E poi dovrei parlarti d'un bimbo che cercava rifugio nei dorsi dei libri per tacitare il silenzio e d'una tempia che pulsa ancor'oggi d'una rabbia repressa; per una parola mai detta. Nostalgia è altro; non il ricordo che spezza. La nostalgie est un regard timide - le dernier rayon de soleil,  sur un passé, jamais vécu. No, non farmi quella domanda. Accontentati  di sapere ch'io amo il suono di ciò che mai s'è degnato di rispondere alle mie chiamate e che se trovi il mio sguardo perso è perché sto litigando con un'assenza sarcastica; con un coro di voci bianche. No, amica, mia, non c'è nulla, di più presente nei midolli d'un uomo d'una infanzia mai vissuta.  Inedito 2022 di Sergio Daniele Donati Foto dello stesso autore

(Redazione) Riflessioni, non recensioni - 04 - Su "Rebecca, la prima moglie", Alfred Hitchcock 1940

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A cura di Stefania Lombardi “Rebecca, la prima moglie” Del senso di estraneità quando si è al proprio posto Se penso a Rebecca - La prima moglie (originale: Rebecca) la mia mente vola al film del 1940 diretto da Alfred Hitchcock ; sappiamo che è tratto dal romanzo Rebecca, la prima moglie di Daphne du Maurier. Il film del 1940 vinse due Premi Oscar, tra cui quello per il miglior film. Incipit L’incipit sembra una storia di fantasmi perché comincia con un sogno ricorrente avvolto nella nebbia che, dal basso, ascende. I sogni son già per loro natura accessi a dimensioni che trascendono l’esistenza materiale, fatti di immaginazione e di ricordi; i sogni ci possono così riavvicinare a chi non è più in questo mondo, come accade con i fantasmi. La voce narrante (che scopriremo essere la protagonista senza nome) sogna Manderley , un castello dove ha abitato e che ora è il fantasma di se stesso. Ella stessa, nel sogno, giunge al cancello di Manderley e lo trova sbarrato; ma lo attraversa come