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Het (in tre versi)

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  Disegno e  foto di Sergio Daniele Donati Lo chiederà a te il cambiamento,  e tu sorridi, chi non ha coraggio,  né un passo bambino verso la Porta di Fuoco

Ti benedica - יְבָרֶכְךָ

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  Paul Klee - All'inizio A mio figlio Gabriel  e a chi ne sorregge i passi Lo chiedo a te che scivoli tra le pieghe di lemmi stentati, balsamo e olio sacro sulle ferite  d'un uomo piccolo, benedici quell'ossidiana pura e non ricada sul figlio l'inciampo del padre, e traggano giovamento dal soffio che crea gli accenni di peluria sulle sue labbra. Accolgano  i tuoi volti una voce che cambia e assume timbri di muschio e sgretola in briciole  sacre ricordi d'assenza. M'hai donato facoltà di procreare, ora incidi un solco profondo tra padre e figlio e siano d'ambra e oro antico i ponti stretti tra passato e futuro. Si rivolga alla terra del ritorno, solo dopo lungo viaggio verso lo straniero, il suo passo. E fa che dimentichi, e poi ricordi, un padre che inciampa e balbetta a ogni respiro, e dedica ogni sforzo a tornare eretto in tempo per vedere la tua pace e i tuoi volti volgersi al figlio, e dimenticarsi infine del mio nome. Sia perfetta ai tuoi occhi la trasm

Che poi, se manca

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Davìd di Gian Lorenzo Bernini (particolare)   Che poi, se manca l'apnea al sorriso, il balzo all'incontro, il silenzio alla parola, la vita stinge e scolora e acari invisibili ne corrodono la tessitura. Se manca un “eppure” alle nostre certezze, un “altrove” alla nostra dimora, una “sincope” ai nostri ritmi piani, la vita sbiadisce e infeltrisce e strappi d'usura ne lacerano il ricamo. Se manca lo sguardo ritroso al bello, la timidezza al gesto, la titubanza alla prima nota, la vita collassa e implode sotto il peso d'un sogno mal posto e immemore della balbuzie creativa del neonato. Si piega su se stessa la vita se manca la memoria, se vive di ricordo, se manca di slancio, se incapace di stasi. Si piega, come si piega un foglio di carta perché diventi aeroplanino da lanciare lontano.

Sparring partner

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  Dicono che sia nata prima la seconda gobba sul mio naso che i miei denti da latte. Parloai, scribacchini, gente capace solo di vedere negli altri un volto; alla volta. Io, certo, paro, colpisco e schivo e ogni tanto capita che aggiunga nuove gobbe al mio nasone. E rido, rido rido; ormai il mondo non ha più strumenti per farmi triste. Oh, sì, c'è stato un tempo (io lo ricordo) in cui il mio naso era dritto che sembrava la giusta ipotenusa per i cateti che congiungono labbro superiore e centro della fronte -  e centro della fronte e sopracciglia. Si è rotto - il nasone - per una disattenzione, forse. Avrei dovuto colpire prima io. Ma nel pubblico c'era lei, e non potevo vincere, che non è nelle mie corde ignoranti la stoffa del campione. Io per gli altri non vinco. Perdo per loro. Le prendo, resisto, mi rialzo e rido; per gli altri. E poco importa se in pochi capiscono il messaggio. Dicono, ridendo delle gobbe sul mio naso, che in fondo era scritto che non avrei mai vinto nient

Due poesie di Flavio Malaspina

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  Ritratto dell'Autore - foto di AC (si pubblica su sua gentile concessione) LISCHE Ci sono cose che non si possono dire si posano dentro la bocca scivolano in fondo alla gola e pesano come macigni. È geologia dell’ansia tettonica dell’angoscia, tolgono il fiato e nel loro movimento tellurico annientano la parola e fanno della voce tremore. Perché ci sono cose che non si possono dire. Restano laggiù come enormi e candide lische di estinti cetacei. RESPIRARE La vita a venire sarà a levare finalmente sarà esistenza respirare. ____________________ BREVI NOTE BIOGRAFICHE : Flavio Malaspina nasce a Milano nell’ottobre del 1959.Cresce nei quartieri popolari della “Cagnola” - “Villapizzone” e Bovisa. Scrive da sempre e da sempre ama la poesia. Ha pubblicato due silloge : “Il dopo è solo per gli dei” edizioni Controluna 2019 e “la dispensa del ragno” edizioni DivinaFollia 2016. Vive a Trezzano sul Naviglio MI.

Arretra e si ferma la parola

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Foto di Sergio Daniele Donati Arretra e si ferma la parola davanti all'essere di silenzio che ne tiene i fili.  La spina dorsale di ogni dire  è una Vav che congiunge l'impronta all'altrove.  Destava stupore ai vostri occhi il mio incedere cauto tra interpunzioni e segni, eppure fu allora per me incanto  la danza dei vostri piedi di roccia in roccia nel fiume.  Che la parola dia vita non lo credo più.  La parola è tradimento e finzione; ogni impulso vitale è, prima del dire, nell'acqua e nel sasso e nel piede vostro che lo sfiora. Praticano dunque ora il disincanto piedi e parole, balzi entrambi per evitare l'umido e stupisce sempre in piedi e scrittura il loro accompagnarsi all'impulso d'avanzare e tacere.

Zain (in tre versi)

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Disegno e foto di Sergio Daniele Donati E tacere del bello che dimora sulla lama del coltello.

Dialoghi poetici coi Maestri - 2. Ronny Someck

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  Ronny Someck - Foto di repertorio GRANO Un campo di grano fluttua sul capo della mia donna e su quello della mia bimba. Quanto appare banale descrivere così  il biondo, eppure, là cresce il pane  della mia vita. Ronny Someck  - tratto da "Il bambino balbuziente" 2008 Mesogea Edizioni trad. dall'ebraico Sarah Kaminsky e Maria Teresa Milano MANGROVIE Siamo mangrovie, Ronny. Le nostre radici si nutrono di cieli umidi  e simboli eterni  giocano a Monopoli con gli sguardi dei nostri figli, senza passare mai dal via. Sergio Daniele Donati  - 2021 Inedito

Nome

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  Inizia con un sibilo, si apre nella vocale che congiunge e termina in un cerchio, il nome mio. Altro non saprei dire.

Dialoghi poetici coi Maestri - 1. Osip Mandel'štam

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  Osip Mandel'štam -  foto di repertorio Dimmi, disegnatore del deserto, geometra delle sabbie arabiche, la furia sfrenata delle linee ha davvero ragione del vento? -Non tocca la trepidazione dei suoi giudaici affanni; dal balbettio lui modella l'esperienza, dall'esperienza beve il balbettio. (Osip Mandel'štam – novembre 1933 comparso in Quasi leggera morte - Ottave Adelphi Ed. - Nona ottava a cura di Serena Vitale) Perché mai dovrei gettarle lontano? Sono chine secche, assetate di pioggia, speranze di diluizione e assorbimento su fogli porosi. Che cantino loro la roca brama d'esistenza; nostra è la danza e, forse, la preghiera se inciampa nei passi del silenzio. (Sergio Daniele Donati – marzo 2021 inedito)

Notturna

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  Foto di Sergio Daniele Donati Verrà il giorno del canto dell'assiolo e ci immergeremo in nevi, sciolte dal ricordo; e rivoli d'oblio ci solleticheranno il collo. Sarà il giorno del sospiro del mughetto e dell'ironia del ginepro e dimenticheremo i nomi delle cose del mondo. Ci basteranno - eccome se basteranno - profumi senza tempo e non trarremo più nevrotiche liste e combinazioni di lettere da memorie mendaci. Sì, rideremo,  liberati dalla parola,  despota seducente. E ci abbandoneremo a giochi d'infanzia con sassi sporchi di terra nelle mani, e bocche colorate da cioccolati fondenti o dal blu notte del mirtillo. Allora, in quel giorno, ci libereremo dal giogo, dell'imitazione e entreremo nel gioco dell'amore, là, nel bosco ove ogni narrazione ha termine felice e inizia - così, senza sforzo - un passo senza meta, il battito senza etica d'un cuore che vive.

Ventidue semi (pomeridiana)

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  Foto di Sergio Daniele Donati Coltivo lento, con gesto meticoloso, piante esotiche i cui semi mi furono donati a un mercato da un bizzarro signore. Sul banco delle sue spezie e polveri rosse, bluastre e arancioni si perdeva l'olfatto, tra pimenti e paprike e saponi d'Argan. C'erano pepi di Cayenna e chiodi di garofano e bacche rosse e ginepri seducenti. Ma il mio sguardo è avvezzo all'osservazione del celato e, tra colori e odori che proiettavano le mie fantasie e speranze a Zanzibar, vidi un sacco polveroso. Dentro ventidue semi inodori e dai colori scialbi e stanchi. Mi disse allora il vecchio: "Attento giovane, se li guardi troppo non potrai più disfarti di loro". E un tremolio - non so bene se divertito o prudente - si manifestava tra le sue ciglia. "Dammeli tutti, haver", dissi. Il vecchio abbassò lo sguardo. "Sono semi ancora vivi", disse. "Vengono da lontano e dovrai piantarli in terre aride e ostili e attendere eoni prima che

Vav (in tre versi)

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  Disegno di Sergio Daniele Donati Ti prego ascolta ora il canto: "e fu - sarà".

Oblivion (3) Y Final

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Alla prima spremitura l'olio sacro sembrava pece, ricordi? Aderiva alle nostre mani senza altro appiglio alla vita che i nostri corpi, sudati. Furono i tuoi passi e i miei respiri a render puro un amore colloso; e, mentre colava a terra, s'aprivano varchi di risate senza scopo tra i nostri sterni. Ora io vado e tu cammini su fili d'argento puro, e in quei varchi, benedetti dalla follia dei nostri passi allacciati, affonda le radici un giovane albero, forse un salice, capace di ricordo.

Lettere ebraiche

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  Foto di Sergio Daniele Donati Ogni tanto è utile porsi la domanda sul proprio planare attorno a un argomento. Che si tratti di studio, racconto o percorso poetico, insegnamento o altro, è evidente che lo Alef-Bet ha plasmato la mia forma mentis e continuo a pormi la domanda del suo valore (anche etico) nello sviluppo del mio pensiero. Ma queste sarebbero valutazioni e riflessioni destinate ai miei soli cassetti (che ne sono pieni) se non percepissi che lo Alef-Bet è portatore di un valore universale trasmissibile. Anzi, solo quando (e in quanto) trasmessi i significati anche simbolici delle lettere ebraiche acquisiscono luce propria. Le lettere ebraiche non sono trattenibili, così come non si può imprigionare il vento. Se ne può (e, a mio avviso, si dovrebbe) ascoltare il suono di lontano e lasciare che questo ci trascini verso paesaggi in parte sconosciuti. Ovvio, io vengo da una famiglia di tradizione ebraica e, quindi, le lettere dello Alef-Bet sono state le mie compagne sin da pi

Davide di Gabriella Candida Candeloro

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Il vento indugia, solletica le cime appese agli alberi di barche all'ormeggio. Fischiano, come uomini al cantiere come uragano di voci tutte diverse. Larghe, le vele dei cavalieri di onde, screziano il cielo bruno con spirali roteanti; aquiloni leggeri li inseguono. Tutto è immenso, tutto è largo. Ma il mio occhio, la mia mente, il mio passo, Sono attratti dal minuscolo, da un puntino rosso all'orizzonte. Uno svolazzo, un fruscio di vita che approda argentino tra le mie braccia tese. ________ NOTA BIOGRAFICA: Gabriella Candida Candeloro nasce Abruzzese e cresce Emiliana, perciò tra le sue passioni è inevitabile quella per la cucina. La creatività permea la sua vita da sempre e si esprime nel disegno, nella decorazione nella ceramica nel canto e nel teatro. La lettura le ha restituito spesso il senso del vivere e la scrittura più che una passione è una compagna, un centro imprescindibile come un organo vitale. Ha pubblicato recensioni e interviste sulla web-zine Kultural, un cop

Uno zero

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  Lionello Balestrieri - Beethoven, 1900 Oggi apro un cassetto, e non so perché il ricordo del tuo nome - quello vero - produce balzi nei miei tempi. Li vorrei lenti,  ma saltellano come fiammelle attorno a un suono barbaro  e vuoto. Il tuo farti ombra ha messo a fuoco un nome vacuo - è cosa chiara. Ti sei resa impronunciabile e, per imitatio dei , lo sai, di te parlano nel bisbiglio. Non io, che resto fedele a una promessa: “né un più, né un meno”, dicevi, “ma uno zero”. Così è stato e così sarà; è il saldo del mio debito. Lo pago, con animo leggero. Le convenzioni matematiche,  però, non le decido io; Sergio è piccola cosa, anche di fronte al nulla - soprattutto di fronte al nulla. Gli zeri, lo si voglia o meno, formano le migliaia e poi i milioni, quando seguono una solitudine. Beethoven Violin Sonata No.9, Op.47 'Kreutzer' (esec. Oistrakh/Oborin )

Se camminando a stento di Cristina Simoncini

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Foto di Cristina Simoncini Foto e testo di Cristina Simoncini Si pubblica su gentile concessione dell'autrice (in vena di ironia) Temo che camminando a stento, infrenandomi sul margine del tempo, non sia stata per te né luna né stelle ma rèfolo di vento, Mi hai vista, sì? hai sentito lo spavento? Ma se tu mulinando sul mio silenzio avessi sbirciato per capire cosa c’era dentro, sai che risate, quel turbinìo di luci, quel mormorìo di fate, quella mattanza di ragioni sconfessate, io mi sarei affacciata alla finestra e ti avrei lanciato la mia intransigenza, tutta annodata, e tu salendo avresti calcolato ad occhio la gittata, e in un momento di puro intendimento forse avresti detto Guarda come dondolo, sono provvisorio! E io avrei risposto da lontano Lo senti come ride il mio destino? Sarei scesa sul retro e avrei dissotterrato il cuore dal giardino. E se d’improvviso tu avessi capito l’aspetto prodigioso della cosa e avessi aperto le braccia a un controsenso, io a scanso di tempo ci

Vive la speranza (Lulav)

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Vive la speranza in innesti d'agrumi su cortecce di conifere. All'ostinata ricerca di profumi mediterranei, ignori i muschi da cui proviene lo straniero. Eppure son quei passi a rendere sapido il mirto. e stucco per il palato il frutto della palma. Sei passi profughi giungono a te mentre al salice concedi uno sguardo distratto, e il cedro inscrive nel tuo cuore profondità sacre. Tieni in mano ora il frutto d'ogni stagione dell'uomo; per l'uomo che, straniero, irrora la tua terra.

Estendi, ancora

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  Foto di Sergio Daniele Donati Giovanni Benedetto Platti concerto in Sol Min per Oboe e orchestra II - Largo A mio padre Le note, virgole pungenti, poggiano su colli di ricordo e sfiorano guance, bambine. Venticelli antichi seguono scherzosi i ritmi di un cuore, giullare. Di lontano una voce di cristallo canta il canto che fu. Estendo sino al limite della mia foresta ascolti più che umani Tra le erbe, osservi tonalità di colore mutarmi gli occhi. Piangevo la tua perdita allora, tra nevi e cime e querce. Poi la voce, nenia, battito tribale, mi parlò di te profugo. E fu un sorriso d'edera, e un bisbiglio di genziana; zoppichiamo assieme, nel bosco, papà, e lasciamo che si taciti il nostro eterno coro di dissenso.

He (in tre versi)

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  Disegno ed elaborazione fotografica di Sergio Daniele Donati Un intervallo di quinta giusta tra il Silenzio del Creato e il brusio della Vita

Shofar (so far)

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Sapevo saresti arrivato poi a mettere voce  tra lembi aderenti della mia pelle. “Il soffio che strappa riempie d'oro gli spazi vuoti che crea”, dicevi. E sorridevi, e ridevi; i tuoi volti offuscati al mio sguardo da veli salati sui miei occhi. Fu allora che compresi. Io non sarei stato mai maestro. Avrei rivolto per sempre sorrisi ebeti e stolti, a un mondo troppo saggio. Tu facevi “no, no, no” con la testa mentre laceravi a brandelli, vesti per me preziose, e raddrizzavi una schiena piegata dall'assenza. E non c'è peso più grande, lo sai Maestro, che quello delle piume che non hanno carezzato i tuoi volti. Tu questo lo sapevi, alchimista della parola, e lanciavi dal tuo corno ululati che dividevano galassie da galassie, e riempivano i pori della pelle d'un vuoto fertile per il tuo allievo. Fu allora che compresi. Io non avevo nulla da trasmettere al mondo se non i miei inciampi. Ne traesse una lezione o li gettasse a terra, solo quello poteva essere il mio dono.

Dalet (in tre versi)

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  Foto e disegno di Sergio Daniele Donati Ti si chiede di svanire e sostenere il povero dietro la porta del sogno

L'impazienza di non saper dimenticare (un inedito di Marina Baldoni)

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  Foto e inedito di Marina Baldoni -  si pubblica su gentile concessione dell'autrice Hanno mani scomposte e commoventi, i ricordi, sguardi e sorrisi spaiati ognuno nella sua propria verità i contorni spettinati dalle scuse e dai fraintendimenti così, a mente, dividere contare duplicare sulla punta delle dita, fragile, l'impazienza di non saper dimenticare ___________________________ NOTA BIOGRAFICA: Marina Baldoni è nata nel 1962 a Loreto, dove vive. Ha pubblicato due raccolte di poesie: In un angolo del Mare (2010) e Fili di sale (2011), entrambi per Controvento Editrice. Nel 2020 è uscito Alogenuri d'argento, per Arcipelago Itaca Edizioni. Da alcuni anni frequenta la Scuola di cultura e scrittura poetica "Sibilla Aleramo" di Civitanova Marche, fondata e diretta da Umberto Piersanti. Nel 2018 ha vinto la prima edizione del concorso "Poesia Immaginata", spin-off del premio letterario nazionale Paolo Volponi.  Le sue passioni sono la lettura, la scrittur

Mi chiedi di scrivere

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  Foto di Sergio Daniele Donati A mia madre Mi chiedi di scrivere perché mi ricordi bambino e sai che spezzavo punte di matita, calcando troppo sul foglio. Mi chiedi di scrivere e mi ricordi chino sul foglio la notte e chissà se ricordi la tua mano  sulla spalla; "Sergio è tardi". Mi chiedi di scrivere e io guardo il tuo volto e chissà se sai che il tuo sguardo evanescente spezza mine  di carbone nel mio  che si prepara al tuo Silenzio.