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Dialoghi poetici coi Maestri - 66 - Jaques Brel

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  Che dire, Jaques?  Che potrei aprire quel rubinetto, e lasciare che coli densa la nostalgia mia per ciò  che mai riuscii ad essere? Che una volta aperto non sono certo di saperlo richiudere,  ché tutti i miei  " ne me quitte pas" , a differenza tua,  non sono divenuti canto ma strozzo e un dolore  sottile, sotto la cervicale? Potrei dirti che i miei sembrano più gli occhi sbarrati e impauriti di un bambino che le tue perle di pioggia, che non mi hanno lasciato  nemmeno la forza di una supplica, di un suono, un grido, sui palmi delle mani. Potrei dirti che  un giudice barbaro dal nome palindromo ha emesso una sentenza  di condanna inappellabile  a mio carico, e che non conosco la durata della pena  perché è sentenza  scritta col sangue  di un silenzio molto,  molto più grigio del cielo  del  paese piatto  che è il tuo. Si muore lentamente, Jaques,  quando si perde il canto ,  molto più lentamente, e con un'agonia che forse non merita chi alla parola ha creduto. _____ Te

(Redazione) - Parola Eretica - 02 - Jolanda Insana, una poetessa greca dentro al presente

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  A cura di Gabriela Fantato Parola eretica voci di poesia che non omaggino il cinismo, lo scetticismo e l’individualismo attuali; voci fuori dal coro, lontane dal “diarietto intimo” e privato, lontane dai giochi linguistici, parodici … e fini a sé stessi; voci capaci di tentare una visione etica del mondo, e darne testimonianza. Non posso evitare il veleno amando io il pungiglione della vita e in dosi quotidiane lo prendo antidoto contro il grande veleno amaro e così pur avendo ferite aperte sulle mani, tocco le cose e punto i piedi per spostare la parete massello del falso male, traendo la vita alla sua vita nel piccolo quadrato che sta dentro il magico quadrato della forza e del suo giorno (Medicina carnale, 1994 Mondadori)                C’era e non c’è più dal 2016, aveva una voce particolare, ben riconoscibile: Jolanda Insana . Era nata a Messina nel 1937, in una terra ariosa e sopravvissuta al terremoto, in una città siciliana con una grande storia, una città anche allegra ma co

Anche questo fui (confessione)

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  C'è oggi una nebbia milanese che seleziona memorie e distilla ricordi bambini, voci sopite, coperte dalla corazza che indossai in seguito. Sono timide paure,  non dette allora perché la risposta era sempre la  stessa: "che vuoi che sia,  alla tua età  noi si scappava dalle SS". Eppure lo vedo ora quel bimbo senza sostegno rintanarsi nella cameretta delle ansie grigiastre. Lo vedo prendere tra le mani una vecchia settimana enigmistica e dirsi con rabbia - a sei anni - "imparerò il coraggio da solo". Lo vedo scegliere  con triste consapevolezza di un probabile fallimento le parole crociate più difficili  e cercare di risolvere le definizioni senza incroci, senza facilitazioni, senza felicitazioni,  e fallire,  lasciare lo schema incompiuto, incredulo di aver osato  uscire dalla persecuzione di persecuzioni non sue per potersi dire, inascoltato: "anche io tremo, sai, la notte. Anche io".  _________ Testo inedito di Sergio Daniele Donati

(Redazione) - Figuracce retoriche - 13 - Analessi, Prolessi, Histeron proteron

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  A cura di Annalisa Mercurio Allacciate le cinture! Ho affittato solo per oggi la macchina del tempo. Posti limitati, affrettatevi a salire a bordo! Le tre figure retoriche di oggi infatti, ci faranno viaggiare avanti e indietro nella dimensione temporale della narrazione. ANALESSI A(h!) (u)NA (volta) LESSI! Questo esordio se non fossimo in ‘ figuracce retoriche ’ potrebbe sembrare del tutto fuori luogo, ma, in questo caso, non solo si tratta solo del ‘ gioco ’ di associazione di idee per poter meglio memorizzare il nome della figura retorica del giorno. infatti, coniugando il verbo lèggere al passato remoto, ho fatto un flashback. Avrei potuto continuare descrivendo ciò che mi circondava mentre leggevo, sensazioni, odori… Avrei fatto così un salto indietro nel tempo: un’ analessi . Nell’etimologia della parola, analèssi  deriva dal greco  ἀνάληψις   ( an álēpsis):   ἀνά   ( an á) di nuovo e  λῆψις   ( lēpsis ) prendere. Si tratta di un periodo, o di alcuni versi, in cui si inseri

(Redazione) - Suggestioni - 02 - Amore (Gaio Valerio Catullo e Pablo Neruda)

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  A cura di Emanuela Sica __________ VIDEO LETTURA DI EMANUELA SICA   "Carme 51" di Gaio Valerio Catullo Assomiglia a un dio, superiore, se è lecito, agli dei colui che guarda e insistentemente ascolta che ridi dolcemente te stando seduto di fronte ciò a me misero strappa tutti i sensi: infatti o Lesbia, appena ti vedo non mi rimane un filo di voce; ma la lingua si intorpidisce, una fiamma sottile si diffonde sotto le membra, le orecchie risuonano di un rimbombo particolare. Gli occhi si appannano di notte. L’ozio, o Catullo, ti è dannoso a causa dell’ozio ti esalti e sfreni troppo; l’ozio un tempo rovinò re e città prospere. ________ "Qui ti amo"  di Pablo Neruda Qui ti amo Negli oscuri pini si districa il vento. Brilla la luna sulle acque erranti. Trascorrono giorni uguali che s'inseguono. La nebbia si scioglie in figure danzanti. Un gabbiano d'argento si stacca dal tramonto. A volte una vela. Alte, alte, stelle. O la croce nera di una nave. Solo. A volte

L'amore alla mia età (a mio figlio)

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Particolare di " Eros e Psiche" di Antonio Canova   A mio figlio Gabriel L'amore, alla mia età, è un suono lontano, un fuoco d'altre valli, il cantico del tempo. L'amore, alla mia età, è passaggio di nuvole  sui cieli grigiastri d'un Nord che impera. Lo vedi anche tu il bianco umido  che scolora ciò che rimane della sacra e maldestra mia grazia d'adolescente, dell'urlo che m'apriva lo sterno al nuovo?  L'amore, alla mia età, è una voce uterina. Mi dice " resta" ;  e io resto  e poi vado e abbasso le ciglia.  Perché l'amore, alla mia età,  è pudore, tacitazione, silenzi ritrosi.  Ma tu ama e rinnova il grido, che fa fiorire la vita; e non credere al mondo. L'amore, alla tua età,  è parola e non attende che d'essere detto per poter brillare nel sacro nero dei tuoi occhi d'ossidiana. ______________ Testo - inedito 2024 -  di Sergio Daniele Donati Foto dal web.

(Redazione) - Lo spazio vuoto tra le lettere - 27 - Qualche riflessione sulla parola

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  A cura di Sergio Daniele Donati L'anno nuovo è appena cominciato - come un neonato lancia i suoi primi vagiti - e mi ritrovo in mano riflessioni che datano qualche decennio.  La parola che riflette sulla parola stessa  in fondo è il più antico e folle dei paradossi, ciò che ci dice, senza mezzi termini, che dal logos non siamo strutturati per uscire, se si escludono alcune esperienze contemplative estreme, e il pensiero si struttura attorno al linguaggio.  Pensando parliamo e parlando arricchiamo il nostro vocabolario cognitivo e cogitante.  La parola struttura il pensiero - e non il contrario ( 1 )  - e il campo su cui ci muoviamo e, molto più spesso, inciampiamo come poeti e amanti della parola, va esplorato con la cautela del cercatore di tracce, nei boschi. Un bosco pieno di insidie che cozzano inesorabilmente con frasi da noi apprese e ripetute, come slogan.  Le ascolto spesso proclamate  a macchinetta anche dalle menti che io considero più fini, quasi a voler trovare consol

Un sogno che torna

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Sta là, nel riflusso azzurro, un timido riflesso d'opale d'un passato che batte  e chiede alle mie tempie nuova vita nella parola. Eppure taccio e lascio che emettano lemmi  in lingua arcana i midolli dell'alterità. Mi faccio pietra, ove coricare il capo e lasciare che il sogno mi insegni il riparo all'ombra di una scala angelica. I cori li lascio a un credo che poco mi appartiene. Vengo da una storia di silenzio e so bene che il canto, se esce sgraziato  dalla mia ugula, altro non è che imitazione d'una melodia   che qui si tacita. O forse è coperta  di finta eccellenza sull'ansia bambina per non aver mai avuto  completa coscienza dei miei passi zoppi nel deserto sacro delle origini. _______ Testo - inedito 2023 - di Sergio Daniele Donati 

Cinque poesie inedite di Giusi Busceti

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  ______ Trafitta per Giuseppina Giordano Sono venuta io al capezzale oscuro che la finestra poca luce vede. Papà è un ragazzo, è fuori con gli amici, le sorelle aiutano in negozio, il fratello non sa neppure che lui presto morirà, il vecchio altero è distante. La scala scricchiolante e tu in bianco e nero, ignota nonna consunta come nella foto. L’ho guardata, bambina negli inverni sgranati: sola tu ombra tra gli specchi rispondevi occhi spenti la chioma ancora nera logorata dal cobalto, la pelle spoglia. Quelle parole io le ho indossate all’incontrario, le ho sfogliate fino a te, millenovecentodieci: qui ora sola come all’acqua, quel giorno alta fiera giovane gardenia candida al lavatoio spremi schiuma ma il bosco alle tue spalle di colpo si rovescia contro il suolo O lunga veste intima trafitta io mi strappo con te. No, no’u vulíva, idda! Freme, papà che chiama padre quel ramo unghiato - ma la campana del paese intero copriva la tua voce ha detto il Sì. In quell’ombra ho capito: il f