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Estratto dalla raccolta inedita "Elaborazione di un lutto" Ornella Mereghetti, con breve ante-nota di Sergio Daniele Donati

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  L'AUTRICE - RITRATTO La Poesia deve dar spazio al dolore, alla ferita e alla sofferenza? E, se sì, in che modo la scrittura può divenire strumento di elaborazione?  Sono domande antiche che trovano risposte con declinazioni diverse, a volte persino opposte, ma che, in ogni caso, devono tener contro del dato primario della libertà di ogni parola.  Personalmente non credo che la scrittura in sé sia per forza un veicolo di elaborazione di alcunché, eppure lo diventa se è accompagnata da una spinta silenziosa al movimento. Lo so sembra un paradosso ma, perché la scrittura possa aiutarci ad elaborare, non basta saper scrivere - altrimenti la nostra diviene una semplice de-scrizione. È necessario, prima e durante e dopo la scrittura, sapersi ascoltare a fondo. Solo così il balsamo della scrittura diviene elaborazione e lenimento.  Ogni ferita si sutura col filo sottile dei lemmi solo se - e a patto che -  si sia in grado di ridare a quel filo fatto di suoni ogni sua potenzialità. In al

Altérité (alterità)

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Foto di Sergio Daniele Donati C'était toi  - ne l'oublie pas - qui m'as appris à ne pas fermer les yeux sur l'alternance  des contraires. Et, quand tu me promets la terre, je sais bien qu'en même temps tu me refuses le ciel. Tu es surpris que je ne sache pas encore comment vivere à l'intérieur d'une pensée raréfiée Mais mon ventre n’a pas été créé en forme d’alambic. Comment peux-tu me demander de pouvoir saisir le message de tes gouttes pures et sacrées, alors que tu m'as donné une terre au même moment que tu m'as volé le ciel? Mon visage est ridé et fatigué, et mes paumes sont couvertes d'une boue qui ignore mon nom - suis je doué pour créer des anagrammes ? - et il est peut-être temps que tu me coupes le souffle et que tu crées un autre homme, sans côtes. Qu'il reste seul! _____________ Sei stato tu - non lo dimenticare - a insegnarmi a non chiudere gli occhi sull'alternanza dei contrari. E quando mi prometti la terra io ben so che nel

Poesie tratte dalla raccolta inedita "Il corpo necessario" di Daniele Gigli

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  L'AUTORE - RITRATTO 1. Il fremito è lo stesso, il solito – quello che da decenni ti tormenta e ti si attacca sulla bocca dello stomaco al risveglio, aperti gli occhi, quando per un istante sei l’Adamo il sesto giorno e poi non più, e il gorgo di memoria e di incombenze ti soverchia e ti si para lì davanti – ecco il mattino: esigere, volere. Bisogna essere ben spudorati a vivere – a vivere, non a eseguire, mentre ogni cosa grida vanità e scelta di vento. Eppure… Questa felicità, quanto è indecente mentre là fuori soffrono e s’ammazzano – guerra nei corpi, guerra nelle menti. E infatti è sempre ansiosa, in bilico, perforata da un non detto che ci scava e sgretola e consuma. Questa felicità che sembra di cristallo e che non osa, che non si dice ad alta voce e teme – il passo delle cose, lo scorrere del tempo, l’invidia del demonio che ringhiando osserva. 2. L’antica inimicizia si risveglia con un alito di vento – basta un’ombra a volte, un fuoco vergine che sbriglia il desiderio «è

(Redazione) - Dissolvenze - 26 - Toolbox

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  A cura di Arianna Bonino Allora, considerando che, come tutti sappiamo, capita con una certa frequenza di dover dimostrare l’isocronismo della caduta di corpi lungo una spirale, ecco le istruzioni per costruirsi lo strumento atto a tale scopo: 1. Rispolverare l’attrezzatura da bricolage e creare una base esagonale di legno  (per rispolverare si può soffiare, certo. C’è solo da considerare che s’alzerà un pulviscolo di cristalli e ricordi, ma tant’è) 2. Fissare alla base esagonale di legno sei aste di ottone ricurve che, unendosi in un vertice comune, formino un paraboloide  (la creazione dal nulla di strutture complesse e intricate, si sa, è un gioco da ragazzi: siamo tutti esperti in materia) 3. Avvolgere a spirale una coppia di fili metallici, in modo da formare un binario che sale dalla base alla sommità dell'apparecchio  (l’elettricità ha un ruolo fondamentale nella dinamica di ciascun esperimento. È da una scintilla che tutto sempre prende il via) 4. Al vertice del paraboloi

(Redazione) - Conversari - 02 - Due occhi di merlo

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  A cura di Maura Baldini La sua poesia non fa rumore, non accenna all’enigma, non rovescia gli occhi con colori sgargianti, non lascia sgomenti; si posa, invece, sulla tavola ancora apparecchiata, sul guanciale spiumato dall’uso. Talvolta avvolge di gelo il cuore, come quel buio che entra inatteso negli occhi, quando la giornata ci pare ancora lunga e invece è finita. E, come ogni fine, ci atterrisce, interrando la speranza, per poi farla germogliare ancora nel riverbero di una candela accesa durante un temporale. Thierry Metz , nato a Parigi il 10 giugno del 1956, non s’inerpica sul verbo come i poeti accademici, gli sperimentatori per opportunismo, ci lascia, invece, addosso la fatica della parola frugale, eppure esatta e aggraziata come il suo sorriso, filo di luna su un volto massiccio, presto sconquassato dall’alcol. Il poeta ci conduce nell’alchimia di giorni tutti uguali, nel peso della manovalanza del lavoro e della vita, ci poggia sulle spalle il cappotto della fatica, e talv

Impellenza (ascoltando Chopin)

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  Foto del grande maestro Man Ray Mi dici:  "scrivi" e ignori il mio sguardo perso su un mare di rimpianti e l'onda di silicio e la memoria dei canti. Mi dici  "scrivi" mentre la mano trema e il gatto miagola da un aldilà  di tetra confessione. Mi dici:  "scrivi" e la porta cigola su cardini millenari e male oliati, mentre tu mi dici:  "scrivi" come se la scrittura fosse  atto di presenza e non d'evanescenza al mondo. Mi dici  "scrivi" e uccidi ciò che resta d'un nome ambiguo nel solco tracciato dall'aratro della Storia.  Mi dici:  "scrivi" e io scrivo, schiavo, ancora una volta, d'un detto - in lingua arcana.  Tu vuoi che apra quel cassetto e mi dici:  "scrivi" e sorridi del mio volto trasfigurato e delle voci di nani  che abitano nei suoi legni.       Era gente piccola      invasa da un sogno  di pienezza      quasi disumano;      gente dal volto strano      e dal profilo di luna      calante ch

(Redazione) - Il Femminile - 05 - Wislawa Szymborska: poeta del particolare

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A cura di Patrizia Baglione ________ Nata a Kòrnik il 2 luglio nel 1923, Wislawa Szymborska è stata una delle voci più originali della poesia contemporanea. Premio Nobel per la letteratura nel 1996, le sue poesie affrontano questioni esistenziali e si sforzano di fare luce sulle domande più antiche e radicate dell’esistenza umana.  Una poesia minimalista, priva di artifici retorici che, partendo da episodi e sentimenti comuni, porta il lettore a superarli con uno sguardo più consapevole e profondo. La sua scrittura è leggera, semplice solo in apparenza, dato che è il frutto di una padronanza assoluta della lingua e della metrica, così come del suono e della musicalità delle parole. Una poesia ricca di lirismo e chiaroscuri, anafore e similitudini. La Szymborska riesce ad avere uno sguardo incisivo e pieno di meraviglia verso le cose ordinarie della vita, rendendole a loro volta straordinarie.  Non bisogna mai smettere di provare stupore , il poeta è un essere che abita una frattura t

Senza titolo

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Foto dell'artista Noëlle Oswald, fonte costante d'ispirazione  Interrogarsi lenti,  nell'intervallo d'un sospiro, e fare di questo canto pioggia, su ali di farfalla. Tra costole feline la coscienza del creato;  nel piede del danzatore  un cosmo tornato atomo . lo comincio dove  si diluisce il mio nome  e vado; per tornare. Tu, dio burlone, bisbigli  che, forse, mai sei stato,  mentre il cielo versa lacrime di stelle tra i canneti del tuo nascondimento. _____ Testo - inedito 2023 -  di Sergio Daniele Donati 

A proposito de "La tera coverta" (La terra coperta) di Carlo Rettore (Puntoacapo ed, 2023)

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Prima ancora di essere dialogo - o forse per poterlo diventare - la poesia è incontro. E ogni incontro, come sosteneva Freud, nasce come un primigenio inciampo disturbante nell'alterità.  L'altro da noi è, primariamente, elemento di disturbo per il piccolo equilibrio instabile che costruiamo attorno a noi stessi, come se fosse uno scudo. L'incontro con l'altro ci obbliga ad uscire da una zona di conforto per riconoscere nell'alterità i semi della nostra stessa identità - non c'è nulla di più rifiutato della conoscenza del proprio Sé - e del nostro possibile viaggio di ritorno in noi stessi .  La poesia, dicevo, ha anche questa spinta inziale - faticata e faticosa - soprattutto perché chi la legge è, in un certo senso, obbligato a lasciare che le altrui parole lo modifichino, che lo spostino da dove pensava, fallacemente, di aver messo radici per esplorare territori nuovi o, quantomeno, dimenticati.  L'incontro con l'altro, quindi, inizialmente è sempre

(Redazione) - "La poesia non ci salverà" (riflessioni di poetica, pensieri e testi di Valeria Raimondi)

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LA POESIA NON CI SALVERÀ (Siamo consapevoli della follia della vita. Perciò scriviamo. Sapendo che la parola non cura, intravedendo la guarigione, ammettendo l’incurabilità) 1 Nell’arte o, meglio, nell'atto creativo, la pena coincide con la cura : la pena è quella che viviamo ed attraversiamo, è nella dimensione dell’essere, nel trascorrere tragicomico degli eventi; la cura è nella lucida consapevolezza della follia della vita, che pur non vogliamo rinnegare. La narrazione poetica è il luogo della cura . Ma la poesia e la scrittura sono salvifiche non come mero sfogo personale ma perché, per loro natura, mostrano un orizzonte più vasto, una dimensione altra che può comprendere e salvare dalla follia dell’esistere, ma mai potrà… normalizzare. Perciò io difendo il diritto alla cura , ma anche quello all’ incurabilità. Si scrive nel mezzo, sospesi su un ponte, intravvedendo la guarigione: non si potrebbe mai più scrivere, una volta attraversato il ponte, perché solo da lì lo sguardo