Dittico lunare
Sai, quando si parla sottovoce e si lascia al bisbiglio l'onore di dar per inteso l'antico patto e l'onere di fermarci davanti all'ara ormai vetusta d'un idolo di Terach - a memoria di ciò che fu, prima che ogni nome divenisse impronunciato e lontano - è proprio allora che sorge la Luna. E ci indica col suo sorriso sdentato il valore del nascondimento, il malore d'una presenza senza sosta. Che tutto ciò che torna - e tutto torna - debba celarsi a uno sguardo abbagliato dall'illusione dell'eterno è scritto col fuoco su pietre d'ardesia, col sangue delle mani di generazioni di scavatori, a mani nude, di terre arse dai venti del deserto. Io ne canto di notte nel bisbiglio la tacitazione e l'eterno gioco a rimpiattino, e chiamo - sì, chiamo a me - la facoltà d'incontrare la nenia eterna delle stelle, il mugugno un po' ligure di un Artefice scontroso. Foto e testo (inedito 2022) di Sergio Daniele Dona