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Dittico lunare

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Sai, quando si parla sottovoce e si lascia al bisbiglio l'onore di dar per inteso l'antico patto e l'onere di fermarci davanti all'ara ormai vetusta d'un idolo di Terach - a memoria di ciò che fu, prima che ogni nome divenisse  impronunciato e lontano - è proprio allora che sorge la Luna. E ci indica col suo sorriso sdentato il valore del nascondimento, il malore d'una presenza senza sosta. Che tutto ciò che torna - e tutto torna - debba celarsi a uno sguardo  abbagliato dall'illusione dell'eterno è scritto col fuoco su pietre d'ardesia, col sangue delle mani di generazioni di scavatori,  a mani nude, di terre arse dai venti del deserto.  Io ne canto di notte nel bisbiglio  la tacitazione e l'eterno gioco  a rimpiattino, e chiamo - sì, chiamo a me - la facoltà d'incontrare la nenia eterna delle stelle, il mugugno un po' ligure  di un Artefice scontroso. Foto e testo (inedito 2022) di Sergio Daniele Dona

Trittico del Samurai

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Sono danze collose in cui il piede fatica  a staccarsi da terra e si trascina con la delicatezza del Samurai sulle sabbie d'un ricordo battente.  Sono danze senza contatto - senza contratto - in cui la moneta di scambio è la promessa malsana  d'un futuro che nega il presente, mentre soccombe sotto l'albero di ciliegio un passato guerriero - la poesia della spada trova sepolcro nella parola d'un aedo cieco e distratto. (...) poi è un passo credere a un corpo  di parole sfatte; all'uso improprio dei respiri della vita  Di te ricordo lo sguardo mio di allora,  ancorato alle tue stelle; l'astronave delle mie labbra  sulla via Lattea del tuo collo. Di noi ricordo il suono vacuo,  il sonno, ora; una carenza d'ossigeno, una carezza d'addio. Per questo l'elsa divenne rifugio e il fodero certezza. La lama che riposa sogna il non-combattimento  come l'alba la luna. E la mano che la forgia non trema mentre recita formule

(Redazione) - Specchi e Labirinti - 12 - Girando intorno a Mario Praz (Terzo episodio)

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A cura di Paola Deplano L’ultima uscita della rubrica “Girando intorno a Mario Praz”- una sorta di “rubrica nella rubrica” - è dedicata all’incontro con un altro elzeviro del grande anglista, seguito da una breve recensione del suo saggio più importante, a partire dal quale si sono formate intere generazioni di studiosi . UN CASO IMPROBABILE Il Lessing lasciò scritto che il genio può solo occuparsi di avvenimenti che son radicati l’uno nell’altro, di concatenazioni di cause e d’effetti: ridurre questi a quelle, pesare questi contro quelle, escludere il caso dappertutto, far sì che ogni cosa avvenga in modo che non sarebbe potuta avvenire diversamente, questo egli sosteneva essere il compito del genio. Non dovevano trovarsi impossibilità in un dramma, e il poeta tragico aveva senz’altro da scartare quegli avvenimenti storici che apparissero incoerenti. Per questa stessa ragione, della improbabilità del complesso intreccio, Augusto Guglielmo Schlegel faceva riserve sull’ Edipo Re . La v

Il quarto Alef-Bet - 03 (Bet/Ghimel)

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  Brivido davanti all'uscio. L'ipotesi d'un passo fuori  nel cortile, verso la schiena d'un povero impaziente di donare insegnamenti stretti. E poi il canto dell'abbandono - tre vecchie vestono il nero del Coro del ritorno ; là in quel luogo, davanti all'incognita d'un viaggio a spirale. Foto e testo inedito (2022) di Sergio Daniele Donati ©

La leva d'Atlante

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Mente il mito. È senza sforzo la leva d'Atlante sul mondo, la piaga d'ortica sulla pelle di Giobbe, il chiodo sul palmo dell'ebreo crocifisso dall'illusione del nuovo. Avviene senza sforzo e di questa leggerezza si ride come ride e s'incanta il monte per il candore della valanga. In foto Giobbe di Marc Chagall (particolare) - dal web  Testo inedito (2022) di Sergio Daniele Donati ©  

Il quarto Alef-Bet - 02 (Alef/Bet)

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Scrivere dell'attimo  che precede ogni scrittura, del calore contenuto nel ghiaccio, d'una casa che attende un ritorno, prima che sia detto luce perché luce sia. E poi fermarsi a osservare il ritiro del Soffio nelle nostre gengive per permetterci la Parola; e sorridere  al futuro che si dipana davanti ai nostri occhi come nebbia,  e stillare lacrime di cristallo da occhi antracite  spezzando come pane  il ricordo d'una unità perduta.  Foto e testo inedito (2022) di Sergio Daniele Donati ©  

(Redazione) - Letti da Francesca - 08 - su "Il silenzio del lottatore", Rossella Milone, Minimum Fax 2015

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A cura di Francesca Piovesan Quest’estate ho riletto la raccolta di racconti “Il silenzio del lottatore”. Mi capita di rileggere libri che con il tempo tendo a dimenticare, almeno in parte. Mi capita di rileggere libri che mi riportano alle origini: il racconto. Io nasco così, scrittrice di racconti, e in fondo lo sarò sempre scrittrice di racconti, anche se le mie parole si fonderanno in un romanzo, anche se i miei quaderni presenteranno pagine di intrecci temporali e di trama, io sarò sempre la narratrice breve, quella del tempo condensato che rileva tutto, e lascia in sospeso. Rossella Milone è una collega di tempo, abile, brava, con una lingua compiuta che mi ricorda Alice Munro. Rossella Milone lavora con le sue parole, e con le parole degli altri. Rossella Milone è la coordinatrice del progetto Cattedrale, un osservatorio che promuove la forma letteraria del racconto. E qui, in queste duecentoventisei pagine, la forma prende vita. La forma di Milone racconta delle emozioni, della

Al limite boschivo (Dedicata a Thomas Bernhard)

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Dedicata a Thomas Bernhard Al limite boschivo , là, dove risulta facile  dichiarare sacri i muschi  e vagare con lo sguardo, senza appoggiare il ricordo ai suoni di cetra dittatori che martellano le mie tempie, al limite boschivo - dicevo -  ascoltavo la tua voce.  Non deflagrava, né era miele; sgretolava - questo sì - i cristalli di rocca delle mie certezze e parlava d'un uomo  con lo sguardo bambino  di mio padre, il cui pigolio arreso portava la ferita  d'un ritorno impossibile, d'una chiave  di comprensione negata  dai fiumi della storia. Al limite boschivo io no, non perdonavo,  né recitavo i Salmi nella lingua senza tempo; mi accucciavo su quella roccia in posizione fetale - l'occhio sinistro rivolto ai suoi ambrati licheni - e piangevo, come piange, senza saperlo, il salice mentre raccoglie dal ruscello delle memorie le lacrime di popoli annegati  nei gorghi e mulinelli d'una parola tiranna. Foto e testo inedito (2022) di Sergio Daniele Donati ©

Il quarto Alef-Bet - 01 (Tav/Alef)

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Torna da un orizzonte profano l'onda del silenzio e lascia sulla rena  ricordi vuoti di rocce, sciolte dall'opera  immobile del paguro. La porta che si chiude  non sia un vuoto ma il luogo dalla cui serratura filtrano bagliori corruschi, prima che luce  sia detto perché luce sia. Ogni chiusura è sigillo e prisma e scompone  l'unico nel molteplice, l'afonia nel sibilo acuto d'una natura vergine a sé stessa. Innalzavamo a un firmamento assente inni d'incoscienza, la fronte ancora segnata  da limo sacro e fertile. Fummo detti figli del canto prima del primo suono, prima del primo intento e della prima visione. Fummo detti figli del soffio prima del primo alito, del primo aliseo e del primo seme. Per questo i padri  ci sfiorano le nuche; perché non sia detto  che il lichene dell'oblio possa intaccare la gola  d'un figlio che ricorda il suo futuro.

(Redazione) - Lo spazio vuoto tra le lettere - 12 - Fedro, chi sei? (PARTE SECONDA-LA DINAMICA DEL VIAGGIO)

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  A cura di Sergio Daniele Donati Nel precedente articolo sul Fedro di Robert Pirsig  (per leggerlo cliccare qui)  ho accennato alla dinamica del nascondimento, delle voci che si dissolvono nel silenzio delle praterie che accompagnano il lettore nel racconto, in altre parole dell' evanescenza di ogni dire nel flusso di un tempo tiranno.  La voce narrante e protagonista del romanzo si trova, nella sua ricerca di tracce,  proiettato in un viaggio, reale ed onirico  allo stesso tempo, in cui i tre tempi (presente, passato e futuro) si manifestano in relazioni fra loro inusitate. Robert Pirsig è maestro di queste "divagazioni" tra un presente, denso di insegnamenti filosofici attuali, e il recupero di un passato personale critico.  Sono i limi, scivolosi ma fertili, della rielaborazione del passato sotto la luce del presente. E il futuro? Il futuro il protagonista lo porta dietro di sé, sul sellino della moto. È il figlio adolescente Chris che assorbe la stranezza di un padre

(Redazione) - Dissolvenze - 11 - Dissetando il corvo

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  A cura di Arianna Bonino Il motivo per il quale mi sono interessata a Paul Flora è il fatto che l’introduzione al suo bel libro Malinconie è firmata Friedrich Dürrenmatt. Nel libretto, orientato in orizzontale come un piccolo albo, ci sono dei disegni molto stilizzati, a penna, nero su bianco. Le uniche parole che compaiono sulla copertina sono quelle obbligatorie per poterlo definire, convenzionalmente, libro. Autore: Paul Flora; titolo: Malinconie ; editore: Baldini & Castoldi. Immagine 1 All’interno, oltre ai dettagli minimi e indispensabili, come l’anno di pubblicazione (1960) e il curioso nome della collana “Comica Diogene” , c’è solo un breve testo introduttivo, come dicevo a firma del grande scrittore svizzero Dürrenmatt. So benissimo che questo pezzo è su Claude Flora e non su Friedrich Dürrenmatt, ma bisogna dire qualcosa di Dürrematt per capire qualcosa di Flora e questo va fatto perché Dürrenmatt è noto per i suoi romanzi e racconti polizieschi le cui trame fanno da

Accapo

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Foto di Sergio Daniele Donati  © poesia esule / poesia esile Ogni accapo omaggia il desiderio del poeta d'osservare la caduta di lemmi - un precipitar di particelle -  che spinge la parola nel gorgo in cui il significato si perde, per ritrovar sé stesso. Ogni accapo è una ghigliottina dove la parola decade e la sua sovranità si trasforma in gleba per lo sguardo bambino  di chi resta  osservatore di un'aurora boreale in un cielo di silenzio. Testo inedito (2022) di Sergio Daniele Donati  ©

Il menestrello, il poeta e io

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Foto di Sergio Daniele Donati  © "Il bello è una manifestazione di arcane leggi della natura, che senza l'apparizione di esso ci sarebbero rimaste eternamente celate.“ Johann Wolfgang von Goethe Attiva neuroni stanchi il menestrello dal passo di daino e appoggia a un ricordo flebile e a polpastrelli induriti l'alba d'ogni suono. Così il poeta dallo sguardo di smeraldo, di fronte al sibilo serpentino d'un silenzio senza sosta. Il primo tocco della loro campana di rame insinua nei miei timpani vibrazioni binaurali e risveglia tra l'aracnoide e la  pia madre la guardia senza corazza contro i fuochi fatui  della mia stessa parola.  Accorda il menestrello i suoni della sua viella  a quello d'una ciaramella immaginaria - unico strumento capace di trasformare  in ricordo collettivo le sue lacrime di sabbia. Così il poeta, mentre mastica tra meningi incallite e miasmi di lemmi il magma che forma ogni dire.  Io sto, di fronte a questo spettacolo arcano, a questiona

(Redazione) - Riflessioni, non recensioni - 11 - “Senthooram" (A Mango tree)” - Senthooram (Un albero di mango)

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A cura di Stefania Lombardi   Scritto e diretto da: Manjunathan Subramanian Lingua: Tamil (1) Sottotitoli: inglese Anno: 2018 ____ Per la prima volta in questa rubrica si parla di un corto sconosciuto in Italia. Lo faccio semplicemente perché è bello. Nessun’altra ragione. Il corto di 17 minuti parla alle nostre origini, alle nostre radici, al nostro legame ancestrale con la natura e di cui gli alberi ne sono simbolo e vita. Gli alberi con le loro radici nel passato e le loro fronde rivolte al futuro, alle future genti, sono passato, presente e futuro al contempo. Sono la Storia. Senthooram è un albero di mango centenario. Senthooram è anche una donna non più giovane che, con l’albero centenario, condivide nome, sorte, destino, vita. Sono profondamente legati e interdipendenti. All’inizio del corto Senthooram è la “old lady” senza nome trascinata fuori dalla propria abitazione, nella notte, da un bimbo, figlio di uno degli scagnozzi di un politico. Questa storia è anche politica e con