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Con una lingua piana (Oblivion)

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Disegno di Francesca Rocco Le nascondevi veloce le tue intenzioni dietro occhi felini; era il gioco della seduzione per me inutile e vana; 'ché io ero satellite - e tu pianeta fertile - già tempo prima  del nostro incontro. Ti chiedi ora perché sia  così difficile per me  lasciar andare, ma se togli la luna alla terra  - scusami il linguaggio piano - chi mai poserà più il suo sguardo sognante sullo spettacolo delle maree?

Bisogna lasciarlo parlare (il Sacro)

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Bisogna lasciarlo parlare, come un sussurro, un bisbiglio piano, senza vette, né incagli; come se non fosse lì, per te come se non fosse lì, come se non fosse. Bisogna lasciarlo parlare nel canto d'un ubriaco di notte,  o i passi strascicati d'un uomo stanco all'alba di un giorno indesiderato. Bisogna lasciarlo parlare tra i denti caduchi d'un anziano, sotto le unghie sporche di terra, tra i piatti sporchi di bagordi, dimenticati sul tavolo. Bisogna lasciarlo parlare mentre accendi una sigaretta e ti rifiuti di cantare la filastrocca del domani e volgi l'ascolto al suono del silenzio sovrano. Bisogna lasciarlo parlare e dire dell'impossibile, della veemenza della pausa, dello strappo del corno d'ariete, della voce roca che continua a dire "luce" prima che luce sia al mondo su cui è ormai scesa  la palpebra pesante dell'oblio. Bisogna lasciarlo parlare per dire dell'origine, della sorgente, delle acque sotterranee, e del cielo che ride, mos

Non rifiutare l'ascolto (Oblivion)

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  Foto di Francesca Woodman Lo sai, fu il ricordo d'un passato crudele  a impedirti d'ascoltare quel suono, e fu il profumo della calla  che ti porgevo a non farti sentir degna  d'un espressione di candore. È stata la tua mancanza  di veli e tessuti, il tuo mostrare ferite nude a far barcollare  il mio passo senza pretese. Era un passo ignorante, hai ragione,  erano inciampi su inciampi ma d'un uomo ancora puro.  «Non può essere per me,»  dicevi, «perché per me non è mai stato prima » .  "Vorrei poterlo dire," pensavo, "perché per me non è mai stato prima". Avevo un fiume nel petto che chiedeva solo di scorrere. Chiedeva solo  il tuo ascolto, non di essere accolto.  E poi, quel tuo sguardo perso, perché ti coprivi il volto? Il fiore che ti fu dato  era molto più delicato  delle tue più grandi fragilità. Chiedeva solo il tuo silenzio e un piccolo sorriso. Vero, non tutti i fiori vanno colti,  né ogni offerta dev'essere accettata. Ma si poteva dire

Resh (in tre versi)

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  La Quercia - di Sergio Daniele Donati Sono sacre le cortecce del principio del ritorno, del ricordo del futuro.

Dove sta la ragione? (Oblivion)

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Foto di Sergio Daniele Donati Avevi ragione tu. Io vengo da un mondo piccolo abitato da esseri strani e in quel luogo ho imparato a respirare. Tu sei destinata ad altro, a matite rosse e regole da seguire  fino a scorticarsi la pelle. Tu sei luce e io penombra, io boscaglia e tu mare.  Il nostro incontro, avevi ragione tu, - se solo avessimo solo avuto un buon traduttore, un editor dei nostri cuori - fu cosa, come dicevi,  da  ridimensionare. Ma nel mio mondo piccolo righelli e compassi, squadre e goniometri  sono strumenti sovrani. Ho misurato come un geometra ciò che, almeno a me, accadde; fu ben più grande della cornetta in cui  cercasti di stiparlo.   Lo contiene però un atomo di speranza quando chiudo gli occhi e ringrazio d'aver potuto amare.

Dialoghi poetici coi Maestri 14. - Natan Zach

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Nathan Zach - foto di repertorio Non scordarti di chiudere la finestra prima di uscire non scordarti di chiudere la porta a chiave non scordarti di baciare tua moglie sulla bocca e sull’orecchio non scordarti di dondolare la piccola culla senza spaventare il bambino. Non scordarti la torcia elettrica e portati dietro le batterie. Tu sai quando parti ma non quando tornerai. Forse tornando la finestra sarà chiusa e la porta di casa chiusa a chiave, tua moglie non distinguerà i tuoi passi e tuo figlio non saprà più chi sei. Attento, o tu che parti per terre lontane, non metterti in cammino se intendi tornare. (Natan Zach, tratto da "Poeti israeliani" - Einaudi, 2007, trad. it. Ariel Rathaus) ___________ Dietro la porta, prima del tuo viaggio sorrisi, racconti e grida di bambini. Sul muro il ragno, immobile proietta ombre di medusa. Mentre indossi i sandali che hai comprato al mercato il ragno si sposta sul muro. Dietro la porta, all'inizio del tuo viaggio volti stretti e

L'ascolto del Sacro (Kaddish - קדיש)

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  Tra le pieghe dell'onda vibra una voce, un sussurro che il rombo del ricordo non può coprire, una voce che avanza e ripete, a chi la sa intendere e orecchie bambine, nenie di consolazione. È il canto della qualità, la coperta di neve su tracce di felino. Non chiede attenzione e abbraccia il silenzio. Il Sacro canta, in assenza di pubblico, nelle vene d'un corpo giovane e tra le canizie e i calli del saggio. Cancella ogni memoria, ci congiunge per salto al presente e si pone come specchio davanti ai seicentotredici nomi del nocciolo della pesca. Sacro è il filo d'oro, la cucitura e l'increspo delle labbra quando abbandonano le maschere di Narciso e s'aprono al sorriso. È il tempo d'ogni riconciliazione, nelle mani che accolgono i sudori d'un figlio adolescente. È dove lo si chiama; tra le stasi delle pietre e i respiri del pastore. Nelle pieghe delle onde una voce canta un canto e i piedi del sacerdote si coprono di sabbia e acque e sale. Sacro è l&

Dialoghi poetici coi Maestri 13. - Mario Benedetti

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Normandia - di Sergio Daniele Donat CHE COS'È LA SOLITUDINE Ho portato con me delle vecchie cose per guardare gli alberi: un inverno, le poche foglie sui rami, una panchina vuota. Ho freddo ma come se non fossi io. Ho portato un libro, mi dico di essermi pensato in un libro come un uomo con un libro, ingenuamente. Pareva un giorno lontano oggi, pensoso. Mi pareva che tutti avessero visto il parco nei quadri, il Natale nei racconti, le stampe su questo parco come un suo spessore. Che cos’è la solitudine. La donna ha disteso la coperta sul pavimento per non sporcare, si è distesa prendendo le forbici per colpirsi nel petto, un martello perché non ne aveva la forza, un’oscenità grande. L’ho letto in un foglio di giornale. Scusatemi tutti. (Mario Benedetti - Da Umana gloria 2004) _________ SUL FOGLIO Ero pronto a discutere con te, Mario, della grande nostra nemica.  Avevo steso sul prato, puliti e in ordine come sempre, arnesi e utensili  per le mie argomentazioni. Volevo che  ancora

Kof (in tre versi)

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Kof di Sergio Daniele Donati È imitazione del Sacro ogni nostra parola e cammina lento, su teste di simulacri,  il sacerdote del Silenzio.

Ricorda (sempre Oblivion)

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  scrittura esile/scrittura esule Ricorda, o almeno lascia che io ricordi. C'è stato un tempo in cui i nostri sguardi si incrociavano; e poi fuggivano ritrosi a terra. Ed era la medesima terra ad accogliere le nostre timidezze.  Una terra fertile, allora. Là, a terra, ci scambiavamo un canto e le mani non osavano ancora sfiorarsi. Erano i tempi di noi bambini e timidi (elettivi dicevi), di un noi ancora bambino e timido, ma eravamo ancora aperti a tutte le parole da venire. Ed erano parole che, forse, non abbiamo mai detto, ma per certo entrambi abbiamo immaginato, milioni di volte. Gli occhi chiusi, lo sai, abbiamo pensato miliardi di volte quelle parole compiere voli sulle nostre pelli e tramutare il nostro epitelio in tessitura d'amore. Che al potere della parola, lo sai bene, abbiamo sempre creduto entrambi, con tutte le nostre fibre. Ed è inutile fingere tra noi; ci crediamo ancora. Ricorda, o almeno lasciami ricordare, la dolcezza del primo bacio, la timidezza della tua v

Gregor non si fa prendere di Viviana Viviani

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Stasera c’è festa nella nostra vecchia casa, invitati stirati di fresco bevono finti alcolici e parlano di fisco e stelle, tutti a misurarsi e fare drammi, in soldi, in anni, in chilogrammi. Io bevo acqua passata e mordo un po’di polvere guardando sul soffitto il ragno cui desti un nome; dicevi: «mai uccidere un ragno» li portavi fuori con delicatezza, ma Gregor non si fa prendere e non so ancora perché chiamavi amore una bugia e davi ai ragni nomi di scarafaggi. Gli invitati se ne vanno uno a uno due a due. Solo Gregor rimane; non lo vedo ma so che lo ritroverò sulla carta igienica o dietro al quadro di tua madre. La casa ora è vuota; esco sul balcone faccio bolle di sapone e una diventa la luna. (Tratta da "Se mi ami sopravvalutami" di Viviana Viviani - Controluna Edizioni)  _____________ Brevi note biografiche:   Viviana Viviani è ingegnere e giornalista pubblicista, collabora con le riviste on line Pangea news e Hic Rhodus e nel 2019 ha pubblicato la silloge poetica Se mi

Dialoghi Poetici coi Maestri 12. - David Sylvian

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  David Sylvian - immagine di repertorio BRILLIANT TREES When you come to me, I'll question myself again; Is this grip on life still my own? When every step I take Leads me so far away, Every thought should bring me closer home. And there you stand, Making my life possible. Raise my hands up to heaven, But only you could know. My whole world stands in front of me, By the look in your eyes. By the look in your eyes. My whole life stretches in front of me, Reaching up like a flower, Leading my life back to the soil. Every plan I've made is Lost in the scheme of things. Within each lesson lies the price to learn. A reason to believe Divorces itself from me; Every hope I hold lies in my arms. And there you stand, Making my life possible. Raise my hands up to heaven, But only you could know. My whole world stands in front of me, By the look in your eyes. By the look in your eyes. My whole life stretches in front of me, Reaching up like a flower, Leading my life back to the soil. (Da

Dialoghi poetici coi Maestri 11. - Fernando Pessoa

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  Fernando Pessoa - Immagine di repertorio AMO TUTTO CIO' CHE È STATO Amo tutto ciò che è stato, tutto quello che non è più, il dolore che ormai non mi duole, l'antica e erronea fede, l'ieri che ha lasciato dolore, quello che ha lasciato allegria solo perché è stato, è volato e oggi è già un altro giorno. (Fernando Pessoa - da “Una sola moltitudine” a cura di Antonio Tabucchi traduzione di Maria José de Lancastre ) __________ IL MERLO A volte lo ascolto - il merlo sul tetto - e mi pare che il tempo si fermi; che ogni suo fischio resti eterno tra cavi elettrici e tralicci. L'assenza del tempo è, forse, la burattatura della mia pietra folle. Ne rido mentre l'orecchio si posa sugli intervalli di settima di quell'uccello; ne ride anche lui e canta; sa che di eterno in questo mio scrivere c'è solo la ripetizione della stessa promessa. (Sergio Daniele Donati – 2021 Inedito)

Milano di notte

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Foto di Sergio Daniele Donati Milano di notte non ha più lucciole ma cicale. E lenta svapora ricordi d'infanzia  in memorie provenzali. Milano, la sobria,  di notte non ha più lucciole  ma cicale e copre immagini corrusche e lascive con mónotoni d'archi. Cammino e ricordo e osservo. Sei cambiata, Milano. Ti ritiri sempre più, senza lasciare traccia, al passo disattento  di chi ti abita. Hai abbandonato  la via fasulla dell'immagine  e ti sei fatta suono, di notte. Lento s'abbandona  il mio sguardo libero al suono dei tuoi insetti; tra i volti tuoi uno solo m'appartiene, quello che canta, coperto di veli sacri, la danza del ritiro. Milano, la notte,  non ha più lucciole  ma cicale che lanciano lontano, oltre le orecchie d'un uomo piccolo, mistici messaggi di risonanza. E non c'è apertura di mari, né sempiterni lumi  in quel canto. Solo la polka,  nemmeno troppo vivace, di chi torna felice alla sua dimora, e copre di maschere un volto senza nome né progetto. M

Tzade (in tre versi)

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  Tzade di Sergio Daniele Donati Del Giusto commuove sempre il passo ignaro di ritorno verso la sua bottega di calzolaio.

Che poi (ancora Oblivion)

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  Che poi, se non avesse steso i suoi balsami, - mirti e cedri e oli di palma - sui suoni metallici dell'assenza, se non avesse coperto di veli sacri e lievi la pesantezza d'un corpo che langue sotto il ritmo tribale e barbaro dell'abbandono, se non si fosse coricata al mio fianco e cantato le antiche nenie  del mio popolo, mi si sarebbero spezzate  le ossa, frantumati i midolli, straziata la pelle e il cuore  avrebbe deciso d'entrare sottomesso  nel reame del silenzio. Un lemma antico ha salvato un uomo indegno del suo passo regale, gli ha sollevato lo sguardo e ha trasformato in parole il bollore e le febbri  del suo sangue.  La parola che salva e lenisce, eleva e rende sacro il fango d'ogni esistenza. La parola che canta  inni di speranza nei lobi d'un uomo ignaro del suo nome.

Alef-Bet e Perdono - Ayin (ע) e Pe (פ)

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  Foto di Sergio Daniele Donati Se rivolgiamo uno sguardo adulto al mondo ( soprattutto delle relazioni ) il primo elemento che risalta, luminoso e terrificante, è la sua imperfezione. Le sue crepe e intoppi e faglie sono così grandi che il solo osservarle rischia di farci cadere in un abisso senza fondo. Ma qualcuno ci ha donato un occhio mobile e un cervello capace di rielaborazione. E allora la seconda cosa che notiamo del mondo (sopratutto delle relazioni) è la sua tenuta. Faglie e crepe e varchi profondi come ferite non impediscono all'uomo di continuare a trasmettere speranza. Perché? Perché l'uomo non cerca solo la verità storica e statica delle cose. Se ci avessero donato occhi e bocca (le Ayin ע e le Pe פ dell'alfabeto ebraico) solo per descrivere il mondo come è, ci sarebbe bastata una vista monoculare, da ciclopi. E la nostra funzione nel mondo sarebbe stata ben triste. Scribacchini, magari eruditi e colti, del limite, nostro e dei nostri simili. Nella

Cyrano

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  Non tace, né arretra la voce che mi forza lo sguardo verso il basso. Non tace, e urla e poi bisbiglia con toni da cospiratore la mia incapacità di rivolgermi alle stelle. Si stempera, certo, quella voce nelle sere di primavera quando il dono della calma mi permette uscite allo scoperto. Ormai scrivo a me stesso lettere d'amore, scrivo a me stesso l'amore per le lettere. Tu non tornerai mai nel luogo del nostro incontro; e anche se ci passassi mi confonderesti con la cicala sul platano, che io sono l'anice, il Pastis da diluire in acqua nel caldo dell'estate. Una memoria di seduzione da mandare giù veloci prima di correre verso il mare. Le mie parole hanno sempre contenuto troppo poco sale per attaccarsi alla tua pelle. Dicono che so scrivere, ma io parlo una lingua barbara. Certo, conosco regole e lemmi e trucchi da prestigiatore della parola; suoni che impongono a chi scrive la maschera posticcia del poeta. Conosco la parola che scioglie i fianchi delle donne e provo

Dialoghi poetici coi Maestri 10. - Franco Battiato

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  Franco Battiato -  foto di repertorio OCEANO DI SILENZIO Un oceano di silenzio scorre lento senza centro né principio Cosa avrei visto del mondo senza questa luce che illumina i miei pensieri neri. (Der Schmerz, der Stillstand des Lebens Lassen die Zeit zu lang erscheinen) Quanta pace trova l'anima dentro scorre lento il tempo di altre leggi di un'altra dimensione E scendo dentro un oceano di silenzio sempre in calma. (Und mir scheint fast Dass eine dunkle Erinnerung mir sagt Ich hatte in fernen Zeiten Dort oben oder in Wasser gelebt) (Franco Battiato – da Fisiognomica 1988) _________________ LE DISCESE Mi faccio goccia, sulla pelle di mani amiche. So che culleranno la mia esistenza prima di immergersi - d'immergermi - nelle acque dell'oblio. È di quelle mani di madre il calore che non mi svapora e discende la mia evanescenza in prismi e arcobaleni. Vado, e così fai tu, e sorrido alla fine d'ogni fine, al diluirsi lento del mio nome in una luce calda d'a

Pe(i) (in tre versi)

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  Foto di Sergio Daniele Donati È dolce la via della parola; nasce da un inciampo e termina in un sorriso.