L'avvocato va
In attesa del dispositivo di sentenza l'altro giorno, mi chiedevo cosa fosse quel lieve disagio. Aveva una collocazione precisa nel mio corpo. Si manifestava come una sorta di piccola vibrazione a livello della clavicola destra; un battito, una pulsazione che faceva cucù alla mia coscienza con ritmo sincopato. E portava con sé pensieri; e portava via da me pensieri. Sono uscito un attimo dall'aula per respirare le polveri sottili di Milano (quelle sì che fanno bene). Poi il cancelliere è venuto a cercarmi. “Avvocato l'aspettano per leggere il dispositivo”. Sono rientrato di malavoglia. L'esito era scontato; l'aveva combinata troppo grossa e la sua recidiva certo non lo agevolava. “Carcere”, avevo previsto. E carcere è stato. “Sì, sì, faremo l'appello. Ci sentiamo presto”, ho bofonchiato distratto al condannato, e sono uscito dal Tribunale. Avrei voluto tornare a piedi in studio; Milano era davvero radiosa. Ma dopo qualche metro ho s