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Sull'adagio per archi di Samuel Barber (op. 11)

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Foto di George Christakis Io, piccolo uomo,  che da quel nostro sogno comune ho ricavato sopravvivenza e alberi e muschi  e mani carezzevoli immaginate sul tuo viso,  ti dico che so, amore mio.  So che tu vai, lontano,  dove i tuoi passi lenti ti conducono.  E so che non c'è spazio, statua di sale,  per il rimpianto nella tua scelta.  E so che il silenzio che ora mi chiedi è una cerniera sigillata con cera lacca, rossa.  Mi volto allora io, che posso,  verso il mio passato di cherubino, ormai senz'ali.  E invoco, col tono rauco di un flauto spezzato,  un gelo eterno sul mio cuore.  Ma resta accesa in me la fiamma che tutto scioglie.  E io, piccolo uomo, la maledico.  Perché il suo fumo sale lento e storto  perdendosi nelle brume dell'evanescenza.  E non c'è spazio, né tempo, né segno che possa coprire il mare placido della mia nostalgia. 

Potresti appoggiare di Cristina Simoncini

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Foto di Man Ray Pubblicato su concessione di Cristina Simoncini Potresti appoggiare una mano sulla mia testa, contenere l’idea impazzita, il fiotto di rabbia, e lasciare il tuo tempo un momento con me, nel buio improvviso che avanza?

Per una vite di uva fragola di Maristella Tagliaferro

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Per una vite di uva fragola di Maristella Tagliaferro E’ il sangue della Terra che succhiamo dai tuoi lombi, profuma di fragola, odora di mela. Turgidi al tatto sono i piccoli capezzoli rossi. Ho voglia di tornare là tra le vigne Corvine e la Rondinella color rubino. Catullo ne canta il gusto di lamponi e d’amarena, a gran voce reclama il Vino più amaro e più buono. E’ fra le fronde bionde di Folle Blanche che distillate ci donano l’oro ambrato di Cognac, odoroso d’antiche querce, che accolsi la coppa dell’Amore e le sue parole segrete. Ma è da Cipro, dall’isola spumeggiante di luce e profonda di mistero che mi giungono aromi accecanti, dolci di miele, aspri e acerbi di limone. Mi parlano dell’Oriente, dei profumi d’incenso, dei tessuti morbidi al tatto, delle spezie dell’Asia lontana. Di un tramonto infuocato lungo il padre Nilo e dei ritmi dell’Africa nera. Mevlana compone un Sema viaggiando t

Aria che entra

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E l'aria che entra, e quella che esce, e il cielo stellato, e "la luce bianca,  papà, bianca", e star soli, connessi alla sorgente, per un po'.

Azzurre attese - Il segno nella pratica

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Dedicata a mio figlio,  il cui nome mi accompagna dal mattino, al risveglio, fino all'entrata fatata, la sera, nel mondo del sogno. Dedicata, al "maestro bambino" del mio ultimo seminario, e al suo saggio passo delicato nel mondo più sottile che io conosca. Quello della trasformazione. Dedicato alla "bimba madre" che difendo da se stessa e dal mostro che la minaccia. Che i suoi occhi velati di lacrime possano finalmente sorridere ad un cielo stellato.   Dedicata al bimbo che fui e che ancora respira dentro di me. Che possa per sempre trovare pace, sogno e sorriso nel mio stesso abbraccio.  Quattro infanzie, quattro incontri, che hanno fatto che io non fossi più lo stesso di prima. ______________ Viola, come la striatura del cielo prima della notte, figli del mondo, sono le pergamene dell'odio. Imparerete, leggendone i freddi venti, a rifiutarne il fascino e a trasformarne il segno. Rosse, come melograno aperto, figli del vento, sono le pergamene dell'amo

Piano Sonata in Re maggiore di Joseph Haydn (Glenn Gould)

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Andante con espressione Ci ho provato, Glenn, ad appoggiare le mie mani sui miei lemmi come fai tu sui tasti del piano che suoni.  Ci ho provato davvero.  Ho persino alzato la mano, in un lungo gesto di sospensione ad ogni pausa prolungata, come se fosse una pausa del pensiero mio, scrivendo poi senza sapere cosa volevo dire.  Ho provato ad inseguire le lettere come fossero fughe barocche, canticchiando, come fai tu, mentre la nera tastiera del mio computer mi osservava come si guarda divertiti un buffo personaggio.  Ho rincorso, ascoltandoti, la scrittura gestuale, istintiva, senza scopo, né significato, in cui i pesi dei polpastrelli sulla tastiera e la postura eretta della schiena hanno più valore di ogni chiasmo, enjambement, metafora, sineddoche.  Cercavo, abbandonando ogni ricerca, una figura retorica diversa.  Una similitudine dell'anima a cui appoggiare i  miei intenti...assenti. Ed ero talmente rapito, Glenn, dal mio scrivere senza senso, che tutti

Controtempo

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Foto di Fabiana Piersanti E verrà il tempo delle foglie morte, col pensiero che scrocchia sul suolo, come per gioco, come piede di bambino felice, e lo sguardo fine  sullo scorrere degli attimi. E verrà il tempo antico delle castagne e dei ricordi e delle fiabe ripetute, parola per parola a sguardi stupiti e infanti. Io ci sarò, ci sono sempre stato, con la gioia di una nota battuta mille volte, sul clavicembalo del mio cuore e mille volte diversa. Perché l'autunno  è la stagione del mio ritorno. Ma ora, controtempo, nella primavera della mia rinascita, piccolo rapace al primo balzo incerto nel vuoto, prendo il volo. Ed è una notte estiva, calda e stellata e accogliente, ad abbracciare i miei uuubuuuuuiuuu di gufetto felice.

Sguardi ritrosi

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Adoro incontrare uno sguardo ritroso,  l'attimo evanescente del suo distacco da uno dei miei volti,  il vuoto che lascia in un etere denso di "eppure",  senza null'altro chiedere,  se non di poter ritornare  al suo mondo fatato di sogno.  Adoro incrociare uno sguardo ritroso,  il permesso volatile che mi concede  d'esser parte di un mondo che fugge,  lasciando però flebili tracce di un'intimità soffusa. Gli sguardi ritrosi hanno la potenza delicata del petalo, del subitaneo struscio di un gatto sulle mie gambe, di un tocco di campane lontane in una notte stellata.  Dello sguardo ritroso non conosci la sorgente, ti si rivela nel suo svanire, come  lume intermittente di lucciola solitaria. Il mio è lo sguardo del gufo,  si posa e penetra fino a cogliere le profondità indicibili di ogni sua visione.  Incapace di svanire repentino, il mio sguardo ha il goffo passo di chi scruta immobile nella notte. Il mio è lo sguardo di un gufo. Uno sguardo che quando osserva si

Odor di gelsomino

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In ricordo del mio Maestro Poggiasti il suono del tuo sterno all'intenzione più pura. Il Silenzio, granito, abbracciava la docile piovana manifestazione  che irrorava i tuoi ultimi lenti pensieri. Il tuo non detto fu tradotto nella parola dell'Uomo e, ascoltato desiderio, si posò sul petalo da te prescelto Quel petalo ero io. Atto finale, dipartita, creazione e trasmissione il tuo, bisbiglio notturno, evocava la mia Via, odor di gelsomino.  Io, maestro, ero là, testimone della tua angelica trasformazione.  E non piansi ciò che eri stato. Mi girai, e con passo lento,  raccolsi pioggia dalle mie orbite per disperderla su una fertile terra ansiosa di riceverla.

Alef (la grande trasformazione)

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Non chiederti perché io non prenda in mano la penna. Troppo stretto è il silenzio tra le parole, perché io possa colmarlo dei miei segni. Non chiedermi perché io non prenda in mano la penna. Troppo ventosa e esposta è la linea del balzo tra due lettere, perché io possa creare ponti dorati di significato. Io resto, inerme e teso, riempito solo dei miei propositi. Intenti antichi come il blu del mare, senza nome, senza forma. Non chiederti perché io non prenda più la penna in mano. Ho incontrato scritture, quelle che elevano l'anima, sfogliando uno ad uno tutti i miei volti. Ne ho assorbito il suono profondo col quale la mia penna ancora acerba non si può accordare. Non chiedere perché non prenda in mano la sua penna a chi ha saputo varcare la soglia dell'altrui scrittura nel Silenzio. Non chiedergli di aggiungere tratti inutili a ciò deve restare nel mondo dell'indicibile. No, amata mia, non parlo del “non detto”, ma di ciò che si inscrive in un cuore nel silenzio,