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Incipit

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"All'inizio" di Sergio Daniele Donati "Un incipit che si rispetti," mi dicevi, "deve spaccare gli argini e trascinare il lettore lontano, perché non possa più tornare indietro e continui la lettura, come un nuotatore; in mezzo a un fiume in piena". Io ti guardavo e, pur capendo, tacevo; per non dissentire. Perché, lo sai, non ho mai scritto per esser letto e non amo trascinare nessuno, né sentirmi poi in dovere di salvare chi perde la bracciata. E poi - ormai l'avrai capito - ho un tam-tam nel cuore, un battito tribale, e non sono attratto da ciò che si cela; m'attira il velo, le sue trasparenze e la sua capacità di dar valore al non detto.  Se un parola nasconde significati e segni non cerco rivelazioni; indago invece i materiali che hanno permesso il loro nascondimento.  Forse è timidezza, o forse ritrosia, ma i miei ritmi sono lenti e i miei soli primaverili; sempre.  La parola che spezza e frammenta - sia sempre benedetta dai Ci

Il condannato

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E fu trovandosi legato a un palo che capì la costrizione del lampione, l'obbligo di illuminare sempre solo gli altri.  E fu trovandosi, quasi per caso, a calpestare antiche tracce che si sentì liberato da un pesante fardello.  “Non esiste altro dono da ricevere?”, andava ripetendo a se stesso, quasi fosse il più nascosto dei mantra.  “Non esiste altro dono da desiderare?” Rimaneva intanto in ombra, come l'asta del palo, l'anima sua. E quei fucili che prendevano la mira lentamente, mirando al suo cuore, furono proprio loro a spingerlo a pronunciare la parola, unica, irritrattabile, definitiva.  Alzò lo sguardo, lo posò su ognuna di quelle cinque grigie, opache, canne di fucile.  Lo posò negli occhi di ognuno dei cinque fieri fucilieri.  Fu uno sguardo unico o cinque, o forse dieci sguardi distinti? Certamente unica in quell'istante fu la parola che loro indirizzò.  Unica, potente, univoca e definitiva. “ANGELI”, disse. I fucili si abbassarono, i fucilieri pers

Melanconia e Shoah

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'Melanconia' di Sergio Daniele Donati Va così, ogni tanto, a ritmi non prevedibili; un refolo che si insinua, spesso a partire dalle tempie, e cola poi piano fino al midollo. Mentre scrivo per un cliente o cerco soluzioni impossibili per casi disperati, soffia lento le sue volute di fumo e culla l'affanno.  È la mia nota malinconica, una berceuse antica, di legno stagionato; e tinge di ocra e azzurro pastello i miei fuochi; indomabili. Ho imparato col tempo a metterla a frutto, ad ascoltarne il richiamo, legato a un palo, come Odisseo con le sirene. La lascio cantare; la canzone dei luoghi in cui non fui, delle assenze che mi hanno formato, dello sguardo che volge a un passato nebuloso. Non è mai dominante il mio accordo in minore; si intona ai miei gridi guerrieri, li placa con sfottò inesorabili, ma non li annega. Semplicemente arriva da luoghi inaccessibili, si posa sulla mia pelle e, senza scatenar fantasmi o agitare paure, canta.  Allora fermo il vortice della scrittur

La parete

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"Statica" di Sergio Daniele Donati "Ci vuole uno sguardo mobile", dicevi, "e attento, per cogliere in una parete una possibilità di salita". "Prima che la mano appoggi alla dura roccia, lo sguardo ne spazza via le polveri e crea nei tendini il fremito alla scalata".  Io non capivo; le mie radici affondano in pianure e nebbie autunnali e so distinguere il movimento d'un airone prima che si manifesti, così, da una impercettibile fibrillazione dell'aria. La montagna allora non era il mio elemento. Non ancora.  La montagna richiede lo sguardo di falco o, se sei dominatore, d'aquila. Io avevo -e ho ancora- uno sguardo che sfoca i contorni; non spazza polveri ma le ingloba in materiali indistinti. Mi muovevo bene -ed è così ancor ora- in boschi fitti, capace di giungerti alle spalle, come un gufo, senza fare rumore. E so bene che ciò avviene perché in me vive una legge antica.  Io non ti vedo e tu non vedi me.  Ma ti percepisco

Vuoi sapere cosa mi innamora?

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Cosa mi innamora? di Sergio Daniele Donati Vuoi sapere cosa mi innamora? Se ti avvicini a me e sei meravigliosa  -o meraviglioso, poco importa- ti ammiro, certo.  Vedo il tuo sguardo, dritto e deciso. Il tuo tatuaggio sulla spalla; la tua voce posata sul futuro. E ammiro.  L'uomo -o la donna- che sa indossare maschere dorate mi fa sospirare. Le vedo aderire ai volti di ciascuno e le ammiro; da sempre. Poi, però, ti vedo camminare e la tua caviglia si torce verso l'interno e una spalla è più alta dell'altra; e, se ti chiedo un caffè, e ti guardo negli occhi, tu abbassi lo sguardo. È là che mi innamoro; quando cade la tua maschera e ti riconosco, e mi riconosco.  In una caviglia incerta, in uno sguardo che si abbassa io sento la forza che chiamano amore e taccio; le mie parole sono soffi di un uomo che fuma; sul Sacro. Io mi innamoro sempre dell'incertezza, del passo zoppo, del centimetro guadagnato a fatica e anche della maschera da samurai su un volto da bam

L'antica lotta

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  L'antica lotta - Sergio Daniele Donati L'antica lotta è sopra, in cielo, tra bianco e nero.  Io sto sotto, i piedi su una terra fertile.  Ho camminato a lungo e non so quanti cadaveri ho lasciato alle mie spalle. Ma ora la terra su cui poggiano i miei piedi è fertile.  Lo ripeto a me stesso da tempo, come fosse un mantra, come se dirlo lo facesse diventare reale.  Ho bisogno di poter pensare di aver creato qualcosa.  Per questo ho sotterrato in terre lontane la mia spada e ho cominciato a camminare.  Senza meta, lontano, sempre più lontano. Nel cammino ho incontrato anime incomplete.  Volevano una parola, una soluzione, a chissà cosa, poi. Mi chiedevano sostegno. A me che avevo lasciato non so quanti cadaveri sul mio percorso.  Mi chiedevano cosa fare della loro vita. A me che ho seminato morte per metà dei miei giorni. Li ascoltavo, poi guardavo il cielo, poi di nuovo i loro volti.  "C'è una guerra in cielo", gli dicevo. Non capivano. E forse nemmeno io.  Allor

Una meditazione a occhi chiusi

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  Foto di Man Ray scrittura esile/scrittura esule È arrivato l'istante. Inesorabile. Lento. E atteso. E porta con sé bave di lumaca e vischiosi fili di ragno. Atteso, inesorabile e lento.   Non sei pronto, non lo sei mai stato. Nemmeno quando contavi i tuoi respiri, gli occhi chiusi, meditando. Nemmeno quando ti fingevi pronto a essere trafitto dalla freccia. È arrivato, come fa lui; l'istante. Irruente. Atteso, lento e inesorabile. La palpebra vibra e non si alza. Il respiro si fa affannoso e tu osservi. Impreparato a ciò che attendi da tempo. Che il ricordo sarebbe tornato lo sapevi. Che avrebbe portato con sé tinte ocra e pastello a fiumi, lo immaginavi. Il muro crolla e resta una sola rovina. Palpebre abbassate e una mente testarda che conta i respiri. L'aria entra e sono mani, e carezze e profumi. La palpebra vibra e tu non la alzi. E crollano vestigia e mura armate mentre arriva - lento, inesorabile e atteso - l'istante. L'aria esce lenta e sono voci: dolci, a

La confessione

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  Foto di Sergio Daniele Donati Su Musica di Dmitri Shostakovich Suite from Lady Macbeth “ M'ha costretto un coltello, una lama sottile, avvocato, a diventar barocca. Là, nelle stanze in cui pesavano più le parole che un cuore che batte, ho imparato, a trovar rifugio.  Mie compagne sono state le metriche strette, le cadenze fisse e senza scampo. Là nelle camere ove soffocavano la bambina, ho appreso l'arte della sopravvivenza. E mi sono nutrita di larve di sentimenti, catturati dalle ragnatele; della parola. Tutto era buio e prevedibile, là. Ora lei mi guarda, e forse non capisce. Ma il suo silenzio urta e incalza. Vuole che continui, desidera cenni di significato cui applicare la sua logica stretta. Il suo pensiero alto cerca di armonizzare il mio racconto con categorie astratte: norme, fattispecie, esimenti e aggravanti. Ma il mio è reato non previsto da alcun codice. Un assassinio, se vuole, cui manca l'elemento soggettivo della vittima. Allora confesso, perché lei

Sbagli

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  "Sali o scendi?" foto di Sergio Daniele Donati Ciò che nasce storto non si raddrizza certo solo perché un raggio di sole lo illumina . Questo pensava mentre aspettava l'autobus alla fermata. E di tutte le sensazioni di rinascita della sera prima non rimanevano che tracce mendaci. Del vuoto che si colma, del vaso - da sempre crepato - che trattiene finalmente liquidi d'oro, e si colora di nuova vita non restavano che cocci e teste; a terra. Ciò che nasce storto non si raddrizza certo perché un raggio di sole lo illumina. E i suoni ovattati della città, le risate dei bambini per strada, i colori e i profumi di una Milano dalla bellezza crudele, che in altri momenti gli avevano riempito di senso la vita, diventavano opachi e grigi. Nulla – ma nulla davvero – lo distoglieva da quel pensiero. La pelle, maledetta pelle, trattiene odori estranei e li mescola ai propri desideri. La sua pelle era ormai l'unica testimone di una notte di oblio, in cui tutto sembrava poter

Sparring partner

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  Dicono che sia nata prima la seconda gobba sul mio naso che i miei denti da latte. Parloai, scribacchini, gente capace solo di vedere negli altri un volto; alla volta. Io, certo, paro, colpisco e schivo e ogni tanto capita che aggiunga nuove gobbe al mio nasone. E rido, rido rido; ormai il mondo non ha più strumenti per farmi triste. Oh, sì, c'è stato un tempo (io lo ricordo) in cui il mio naso era dritto che sembrava la giusta ipotenusa per i cateti che congiungono labbro superiore e centro della fronte -  e centro della fronte e sopracciglia. Si è rotto - il nasone - per una disattenzione, forse. Avrei dovuto colpire prima io. Ma nel pubblico c'era lei, e non potevo vincere, che non è nelle mie corde ignoranti la stoffa del campione. Io per gli altri non vinco. Perdo per loro. Le prendo, resisto, mi rialzo e rido; per gli altri. E poco importa se in pochi capiscono il messaggio. Dicono, ridendo delle gobbe sul mio naso, che in fondo era scritto che non avrei mai vinto nient

La festa di Francesca G. Marone

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  Foto di Francesca G. Marone Racconto inedito e foto si pubblicano su gentile concessione dell'autrice Era stata invitata a una festa di ragazzini, al tempo aveva nemmeno dodici anni, le sembrava una cosa molto eccitante andare a una festa dove avrebbe trovato la musica, i balletti, le bibite fredde, le amiche e gli amici, alcuni di questi da conoscere meglio in quell’occasione imperdibile.  La festa era quella delle gemelle, le figlie della signora bionda, l’amica di famiglia; erano venute dal Nord loro, sembravano tanto eleganti da farti sentire spesso fuori posto.  L’accento della regione di provenienza non si sentiva quando parlavano, quel modo di parlare sortiva soltanto l’effetto del non-napoletano, questo perché erano state in giro per svariate città del Nord Italia, il marito della signora bionda era un imprenditore molto ricco e con diverse attività nel paese.  Ora però lui l’aveva lasciata da sola con le gemelle, o forse lei era scappata, pare che lui fosse stato violent

Le lettere “rezdore” - A braccia scoperte

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Ne hai fatto una questione d'orgoglio, e loro t'hanno punito.  Che la scrittura è altro, anzi, è l'Altro che avanza. E, se avanza, tu devi retrocedere, renderti invisibile.  Le lettere sono donne altezzose e regali. Esigono spazi e tempi immensi. E non c'è spazio nell'eterno urlare “io, io, io”.  Il tempo si contrae, sino a diventare punto, dietro a quel dittongo ingombrante. Ritirati; ora. Non è tardi. Faranno il broncio. Si faranno desiderare.  Tu desiderale dal ritiro, dalla grotta silenziosa. Là, dove riposano ricordi color turchese, desiderale senza chiamarle.  Ogni regina ha bisogno del suo seguito. E torneranno. Lascia solo loro l'illusione che sia un ritorno spontaneo. Anche l'acqua del fiume, stolta, crede di essere libera quando si riversa nel mare.  E ignora la funzione degli argini, l'ineluttabile tragitto che le sue anse (le sue ansie) le impongono. Si dice libera quell'acqua per incapacità di vedere, di accettare di aver perso la sua vi

Abbaino di Francesca Piovesan

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Testo e immagini pubblicati su concessione dell'autrice Quando piove, qui è buio.  Resto intanato in un angolo, mi muovo poco, sistemo qualcosa di sfilacciato. Mi ci sono voluti circa due mesi per imparare a fare bene le cose, prima terminavo tutto a metà, mangiavo poco, sono stato magro, sottopeso. Quando piove chi vive con me fa poco rumore. Il suono della pioggia è più forte. La tv della stanza accanto non si accende, il gatto dorme sempre al solito posto, anche i vicini sono silenziosi. Io sono silenzioso, guardo l’abbaino che respinge l’acqua. Un paio di settimane fa è venuto un uomo a ripararlo; l’acqua entrava, formava delle piccole pozzanghere sul parquet rossastro. Ho provato ad avvicinarmi a quelle pozzanghere, per capire se ricordavo bene quei primi giorni di vita quando vivevo fuori, all’aperto, quando ero minuscolo, quando ero uno fra cento. Ho immerso nell’acqua una delle mie gambe; era fredda, acqua di Dicembre, acqua di ghiaccio, acqua di sole negato. L’ho ritirata

Un dolce ricordo (Nature Boy 2)

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Che poi, finché l'armonica resta nel taschino della giacca di jeans, possono brillare come stelle i tuoi occhi. Ma non avranno suono. Devono cadere a terra le stelle per illuminare i volti. E tu i tuoi sogni li porti ancora nel taschino. Li lasci volare di notte, quando nessuno li ascolta, nella stanzetta. Li lasci parlare di mondi desiderati e mai visti. Che l'amore, Nature boy, si immagina a lungo prima di viverlo. Sopratutto a sedici anni. Lo si porta in giro a quell'età l'amore, Nature Boy, strascicando i piedi. Distratti, portati lontano da un solo pensiero. Dentro al taschino della giacca di jeans, forse troppo larga, l'armonica aspetta il suo turno. E entri in quel bar, strascicando i piedi e i tuoi sogni, e l'armonica sempre nel taschino della giacca di jeans. E ordini una coca e ascolti. Sono bravi suonano bene il blues. E ti brillano i sogni negli occhi e vibra l'armonica nel taschino. “Ti ho sentito suonare nel vicolo”, ti dice il vecch

Marmellata di albicocche di Silvia Gelosi

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  Mentre la marmellata cuoce lenta, l'odore delle albicocche rende l'estate meno amara tra un temporale e l'altro. Mi tornano alla mente immagini di tanti anni fa, quando il caldo sembrava sempre diverso e io andavo in giro per lavoro, e c'era un luogo che non ricordo bene quale fosse ma che aveva un viale poco affollato, dove ognuno camminava svelto per andare o tornare nel punto in cui era partito con la stessa fretta probabilmente, tra i ciottoli grigi un po' malmessi.  Quasi tutte le vie laterali sbucavano senza nome, le seguivo per vedere il paese nelle sue ossa, le crepe, le porte, le case.  Un anziano signore in giacca, vestito bene e con tutti gli anni sulle spalle curve, attendeva i pochi passanti, increspando un sorriso in quei segni che rimangono sulla pelle, quei segni che la vita ti tatua addosso, quel detto in cui ciò che non ti uccide ti rende più forte, quando invece ti squarta, ti apre senza il resto, senza lasciarti nessun filo adatto per richiuder

L'amore esiste di Valentina Diana

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Foto di Valentina Diana L'amore esiste se la luce è buona, se la tovaglia è pulita, se il cane è giovane se i figli vanno bene a scuola. L'amore esiste se la foto è uscita bene, se lo specchio è lucido se la scarpa è comoda, se il soggiorno è spazioso. L'amore esiste se il dente è bianco, se il bonifico è periodico, se il pantalone è stirato, se la stanchezza è un dono, se il cognac è poco, ma buono. L'amore esiste se i giorni non sono contati, se il rischio è calcolato e contenuto, se il danno è ammortizzato. L'amore esiste se non inciampi nei piedi, se la pelle profuma di esotico, se hai un panorama negli occhi, se hai un progetto vincente, un cronoprogramma convincente. L'amore esiste se la cinghia di trasmissione non si strappa, se i valori sono tutti nella norma, se il cuscino non è troppo alto né troppo basso. L'amore esiste se Bach è equalizzato.  Se Gesù è nuovo e ha il vestitino pulito. Se lo squarcio è ricucito ad arte. Se il tempo è valorizzato. L

Venerdì sera (di Patrizia Pieri)

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Foto di Sergio Daniele Donati Racconto pubblicato su concessione dell'autrice Patrizia Pieri La conosceva da soli tre mesi, ma una cosa così grande nella sua vita non era mai accaduta. Sin dal primo incontro l’aveva subito “sentita” dentro di sé in modo profondo, e, se è vero che non aveva mai faticato troppo per ottenere un incontro con quante desiderava conoscere, con lei aveva impiegato tre mesi prima di combinare realmente un appuntamento. Tra gli impegni prenotati con notevole anticipo, le scadenze da rispettare, i messaggi urgenti e imprevisti in segreteria telefonica, lei aveva sempre rimandato, ma poi, a parte l’attesa, era stato un susseguirsi d’incontri fino alla sera fatidica in cui avevano trascorso la notte insieme. No, una donna così non aveva avuto neanche il tempo d’immaginarsela, c’era qualcosa in lei d' inspiegabile, qualcosa sì d’indefinibile ma così forte che non riusciva a togliersela dalla testa. È vero: pensava sempre a lei, soprattutto dopo quella notte.

La grande tela

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  È una tela enorme. Così grande che si fatica a percepirne i contorni.  Così immensa che sembra contenere tutti i colori, tutte le loro sfumature possibili.  È un quadro talmente grande che ognuno ci legge e vede cose diverse.  Ritratti, scene di battaglia, paesaggi campestri, persino dei canali veneziani con le gondole nere su riflessi vibrati dell'acqua.  Chi ha un animo infantile e sognatore pare che riesca leggerci palloncini e mongolfiere e zuccheri filati alle fiere del villaggio.  Piero lo guarda, entrando nella gigantesca sala del museo, e ne rimane colpito.  “È un quadro davvero gigantesco”, pensa.  E sente che quella scena di caccia al cervo gli ricorda qualcosa.  Forse le sue vacanze in Inghilterra di tanti anni prima.  Coi prati perfetti, senza un filo d'erba fuori posto, e la boscaglia fitta nella quale sembrava di percepire il richiamo a antiche saghe e battaglie medievali.  Mentre il bimbo al suo fianco si lecca le labbra alla vista delle ciambelle fritte della