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Visualizzazione dei post con l'etichetta Arianna Bonino

(Redazione) - Dissolvenze - 12 - RACCONTO A QUATTRO ANTE (parte prima e seconda)

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A cura di Arianna Bonino Questo armadio racchiude quattro brevissime storie. Ma, una volta aperte tutte e quattro le ante di questo strano armadio, si scoprirà che la storia è una e una soltanto. Forse. "MOUSE" BY SHIBATA ZESHIN (olio su tela) PRIMA ANTA: THE END “… fu così semplice, aprì il libro blu e lesse quella dedica …”. Era di fretta ancora una volta e quella mezza frase, quelle parole, lette di sfuggita, si mischiarono alle altre dei pensieri, all’”ordine del giorno”, alle liste delle cose da fare, a quella delle email da inviare, parole diverse che troneggiavano in primo piano, mentre le parole di quella frase -“ fu così semplice, apri il libro blu e lesse quella dedica …” - precipitarono sul fondo della mente, dove navigavano già tra le quinte le solite “fine mese, scadenze, impossibile…”, così come altre cianfrusaglie che aspettavano il momento giusto per entrare in scena. Quella frase del libro blu era scritta su un foglietto già calpestato da qualcuno in ascen

(Redazione) - Dissolvenze - 11 - Dissetando il corvo

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  A cura di Arianna Bonino Il motivo per il quale mi sono interessata a Paul Flora è il fatto che l’introduzione al suo bel libro Malinconie è firmata Friedrich Dürrenmatt. Nel libretto, orientato in orizzontale come un piccolo albo, ci sono dei disegni molto stilizzati, a penna, nero su bianco. Le uniche parole che compaiono sulla copertina sono quelle obbligatorie per poterlo definire, convenzionalmente, libro. Autore: Paul Flora; titolo: Malinconie ; editore: Baldini & Castoldi. Immagine 1 All’interno, oltre ai dettagli minimi e indispensabili, come l’anno di pubblicazione (1960) e il curioso nome della collana “Comica Diogene” , c’è solo un breve testo introduttivo, come dicevo a firma del grande scrittore svizzero Dürrenmatt. So benissimo che questo pezzo è su Claude Flora e non su Friedrich Dürrenmatt, ma bisogna dire qualcosa di Dürrematt per capire qualcosa di Flora e questo va fatto perché Dürrenmatt è noto per i suoi romanzi e racconti polizieschi le cui trame fanno da

(Redazione) - Dissolvenze - 10 - Di sale e di neve

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A cura di Arianna Bonino Boris Ryžhy è la sua faccia. Boris Ryžhy è la sua cicatrice. Non so da dove arrivi quel segno, ma gli dona una bellezza particolare, marchiando di dolore la chiarezza del volto. Non posso immaginarlo senza. Forse uno scontro con qualche sbandato; ce ne sono molti nell’adolescenza di Boris e forse non c’è quasi altro genere di frequentazioni nella sua prima giovinezza. Oppure un segno permanente di un incontro di boxe, disciplina in cui si distingueva e dietro la quale si nascondeva il poeta Boris. Una crepa su una maschera di porcellana, una fenditura asciutta, magari prodotta da qualcosa di tagliente che spinge da dentro e che, un giorno - venerdì 11 maggio 2001- esplode. Boris Ryžhy nasce a Chelyabinsk nel settembre del 1974, suo padre è un ingegnere minerario. La famiglia si trasferisce presto a Sverdlosk, dove Boris spenderà la sua esistenza. Muore ad Ekaterinburg nel 2001, nel nord della Russia. È lo stesso posto, ma il nome nel frattempo è cambiato. Il su

(Redazione) - Dissolvenze - 09 - Ma il nome di loro vivrà per sempre

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A cura di Arianna Bonino (1) Da ventotto anni, ogni estate che viene e precisamente nel mese di luglio, lo trovo con le dita, più che con gl i occhi: questo libro è nel secondo ripiano della libreria, di fronte alla porta-finestra che per prima si illumina ogni mattina all’alba. L’ho messo ventotto anni fa tra alcuni volumi di poesia: è lì il suo posto, anche se non è una silloge, non è una raccolta di liriche, non è un poema, non è un volume di sonetti o un’ode. Non è nemmeno un breviario di preghiere e invocazioni. Men che meno un romanzo o un’opera teatrale. Non ci sono personaggi in questo libro, anche se ci sono molte figure e tanti nomi. Ci sono sessantadue fotografie proprio all’inizio, subito. Intendo dire che è l’unico libro che io conosca che è fatto così: non c’è niente prima delle fotografie, che infatti compaiono all’istante, appena si apre, senza una prima di copertina con il nome degli autori e il titolo. E le controcopertine sono sgombre, non c’è scritto niente di nient

(Redazione) - Dissolvenze - 08 - Sul campo si chinò la sera/ai prigionieri le stelle accese

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A cura di Arianna Bonino Non so quando di qualcuno si possa iniziare a dire che è “un poeta”. Anche perché dare una definizione di poesia è per me impossibile. Ma so che Josef Čapek poeta lo è e ha incominciato ad esserlo molto prima di scrivere poesie. Dalla mia, ho Vítězslav Nezval e Jaroslav Seifert, che lo dissero poeta in virtù della sensibilità rivelata dal suo primo scritto “Le arti più modeste” (“Nejskromnější uměni”, 1920), una raccolta non di poesie, ma di brevi saggi dedicati al sopravvivere, nelle periferie, delle forme d’arti minori, ai piccoli artigiani e alla sapienza speciale dei loro mestieri destinati all’estinzione, ma allora non ancora fagocitati dalla massificazione della produzione industriale. Forse l’intento di Josef Čapek non era quello di fare poesia descrivendo l’arte del “pittore d’insegne” che “è assolutamente convinto della piena esistenza delle cose che rappresenta” o del tappezziere che crea sofà dalle svariate personalità date dalle diverse fantasie dei