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Stanze del "piccolo male"

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Ho smesso d'indicare al mondo vie da me mai percorse e mi sono seduto  su una panchina arresa  ad ammirare piccioni  ed esseri umani becchettare ai miei piedi briciole e detti di speranza. La discesa nell'Ade della parola si fa in silenzio, il volto coperto d'un vello rosso e le mani in guaine di pelli selvatiche  ad evitare ustioni. Le cime degli alberi, a volte, si piegavano a coprire la memoria e versi di gracchi lontani risvegliavano lacrime d'argilla sui miei volti immobili. Era il momento dell'oblio; dell'oblò appannato su un abisso sotterraneo ove pesci senza vita producevano scariche elettriche di conoscenza ancestrale. Mi teneva la mano mia mamma, durante quelle mie assenze, quando infante guardavo il vuoto incapace di ritorno. Mi teneva la mano e - ora lo so - piangeva mentre mio padre di là nella stanza dell'angoscia si dondolava lento e opponeva il corpo  al timore della mia - della nostra - follia. Nessuno sa - ma io so -  delle grid

Stanze della lacrima del bello

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Suoni che mutano nell'istante dell'incontro. La discesa sacra  del femminile rende  cauta la mia attesa e un tuono di silenzio dà cadenza ai passi e all'armonia del sottosuolo. Ho atteso eoni la tua venuta e il mio cambiamento - si forgiava allora come flauto silvestre.  Tu non guardare i miei zoccoli, osserva come abbasso  lo sguardo se t'avvicini alla mia malcelata timidezza. D'autunno si forgiano le intenzioni dei giovani amanti e sui muschi su cui si deposita il sidro sacro del loro desiderio resta una traccia di latte la danza della rinnovata stagione del verde amore dei boschi. In alto, sotto la pianta dei nostri piedi siamo alberi sacri per miriadi di formiche mirabolanti che scambiano per radici i nostri inciampi silvani. Ci dicono angeli solo perché volgiamo la schiena  a un passato indicibile e ci copre di rimpianto un vello di lino mal tessuto le cui tinte ocra, però, sono vestigia d'un rappo

(Redazione) - Lo spazio vuoto tra le lettere - 13 - Suicidio e "perdizione del tempo" in Jarmila di Ernst Weiss

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  A cura di Sergio Daniele Donati Ernst Weiss fu autore di enorme spessore nel panorama culturale mitteleuropeo ed ebraico. (1) Nato nel 1882 a Brno, nella provincia della Moravia, da famiglia ebraica, condivise la sorte del suicidio con altri tormentati autori della sua epoca, Zweig in primis.  Questo dato del suicidio [Nda] è essenziale per capire ed è presente nella sua ultima opera Jarmila c he, a parer di chi scrive, si situa in diretto legame con altre immense opere della tradizione ebraico-mitteleuropea.  Salta all'occhio di tutta evidenza, ad esempio, il legame in linea di contenuto con   Amok  di  Stefan Zweig  -    ma anche con lo Zweig di Lettera di una sconosciuta  - (2) e con il Giobbe. romanzo di un uomo semplice  di Joseph Roth  (3) , opere centrali di quel periodo che nei prossimi tempi saranno oggetto di note di lettura sempre su questa rubrica. Jarmila,   ultimo romanzo di Weiss, è la storia di una passione travolgente in cui i personaggi sono delineati con tr

(Redazione) - Dissolvenze - 12 - RACCONTO A QUATTRO ANTE (parte prima e seconda)

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A cura di Arianna Bonino Questo armadio racchiude quattro brevissime storie. Ma, una volta aperte tutte e quattro le ante di questo strano armadio, si scoprirà che la storia è una e una soltanto. Forse. "MOUSE" BY SHIBATA ZESHIN (olio su tela) PRIMA ANTA: THE END “… fu così semplice, aprì il libro blu e lesse quella dedica …”. Era di fretta ancora una volta e quella mezza frase, quelle parole, lette di sfuggita, si mischiarono alle altre dei pensieri, all’”ordine del giorno”, alle liste delle cose da fare, a quella delle email da inviare, parole diverse che troneggiavano in primo piano, mentre le parole di quella frase -“ fu così semplice, apri il libro blu e lesse quella dedica …” - precipitarono sul fondo della mente, dove navigavano già tra le quinte le solite “fine mese, scadenze, impossibile…”, così come altre cianfrusaglie che aspettavano il momento giusto per entrare in scena. Quella frase del libro blu era scritta su un foglietto già calpestato da qualcuno in ascen

Il quarto Alef-Bet - 04 (Ghimel/Dalet)

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Porta d'ebano e argilla. Trasuda tra le resine  l'arte sottile di saper ricevere in dono le tinte pastello d'una parola nuova; in un cuore antico. Fotografia e testo (inedito 2022 ) di Sergio Daniele Donati ©

Pensiero surreale

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Pensiero surreale Goccia d'olio  su ruggini senz'aggettivo Poi lo starnuto dell'allergia  al polline urticante della parola ___ Foto dal web di Rodney Smith © la troverete qui Testo (inedito 2022) di  Sergio Daniele Donati ©

Altalena

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Non qui, non ora l'ombra del giudizio  trova spazio e tempo. È il tempo del ricordo di grida cristalline  nel parco giochi.  Qui e ora tace l'ansia carceriera  d'una morale a me aliena, e s'appiccica al mio naso poco fine lo zucchero filato d'infanzie mai vissute.

(Redazione) - 12 - Riflessioni, non recensioni - Kal (la pietra) - Kal (The stone)

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A cura di Stefania Lombardi Per la seconda volta, in questa rubrica, si torna in India e si parla di un corto in lingua tamil con sottotitoli in inglese. Il corto inizia con il celebre gioco della “campana” (in India, in lingua tamil, si chiama “Kal” che significa pietra). Una pietra che è scelta, e motivo di scelta. Vediamo la pietra messa davanti alla testa prima di iniziare il gioco, come una sorta di buon auspicio e vediamo anche il lavoro con le pietre, in una cava di pietra. Vedremo che queste scene sono collegate nella vita e nella pietra. Vedremo un vago riferimento al nostro italiano “Pinocchio” che, come il protagonista, un innocente bambino di 10 anni, quasi invidia i lavoratori della cava di pietra che non devono andare a scuola ma possono mangiare delle deliziose pietanze chiamate “vadas” (sono piccanti). Per il protagonista questi cibi, che la madre gli prepara solo nei giorni di festa, sono la molla che spinge le sue azioni; egli è lanciato, come una pietra, verso questo

Stanze della parola contratta

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Stento a dire mio quel tratto di penna. M'appartiene il polso -  e anche il fiato. Ma quel lemma scomposto - quel taglio beffardo sull'albume del foglio - che tacita ogni mio dire canta con voci straniere ai miei midolli semiti. Poi, lo sai,  finiamo coll'ospitare nelle rughe delle mani parole altrui - malsane - per non dirci capaci del volo che c'appartiene. Finiamo coll'opporre un silenzio di palude al sacro che abita le nostre pure intenzioni, perché incapaci d'una risata che sgretoli lo stigma sulla nostra pelle bambina. E ci incantano la notte voci sublimi di sonno - che il sogno poi nega - e la loro lettura  al mattino confonde; perché sotto all'omero candido del nostro oblio si nasconde un verso sovrano, una "voce di tenebra azzurra" ¹, un sospiro silvano, un tatuaggio sull'ebano d'un guerriero africano. Tu chiedi il gesto io oppongo il suono; non resta che un passaggio  stretto - alla parola - per divenire besciamella di significato

Due poeti allo specchio (Michele Carniel e Sergio Daniele Donati)

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Quando la tua pelle s'addormenta su di me, come fa la nebbia sui campi infreddoliti, s’accenna lieve la resurrezione d’un calore smarrito una difesa involontaria della mente all’oltraggio del corpo. La mano indaga la mappa epidermica si condanna ad un ergastolo di piacere, non aprire gli occhi regalameli individua nello spazio ciò che il tempo concede sfoglia su di me le tue paure, ma grazia le intermittenze labiali che non sanno - non sanno -. Non abbiamo colpa per l’inguidabilità dei sensi, se l’esasperazione distribuisce un volto svestito ho il dovere di risarcire l’inferno, quanto meno prendermene cura. MICHELE CARNIEL - INEDITO 2022 © DICE DI SÈ L'AUTORE Mi chiamo Michele Carniel, sono nato il 15 gennaio 1978 a San Donà di Piave, dove attualmente vivo con mia moglie. Sono un progettista navale e lavoro a Marghera (Ve). Ad ottobre 2019 ho pubblicato per Sillabe di Sale editore la mia prima silloge “Tra il Piave e la luna” . Nel 2020, 3 mie poesie sono state selezionate per

Due poeti allo specchio (Emanuela Sica e Sergio Daniele Donati)

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AUTORITRATTO DI EMANUELA SICA - 2022 © Da questo filare di venti freddi in cui s’annodano le vite dei miei compagni arse nei rivoli aciduli di fumo vedo la disfatta del cielo cadere pesante sulla mia testa. Dimmi Herr Gefängniswärter * dormi la notte pensandoci stipati tra blatte e ossa ammassate sulle travi come piante nodose, indifese, prossime al macero? Respiri dolori o li rinneghi per l’idea che ti separa dai nostri cuori dietro il filo di spinosa indifferenza carnefice per convinzione o per comando? Se, distrattamente, dovesse caderti una lacrima leggila come notizia d’umanità, sentila sulla lingua sapida, non sei morto, ancora c’è redenzione dal fango cavernoso di questi orrori. E tu madre ricomponi i pianti lasciami tornare nel tuo grembo caldo carezza il sudore, liberami dall’atroce notte foglia che si rinnesta nel ramo a diventare gemma nei sepolcri dei tuoi occhi. Portami ad un attimo prima di quel sedici ottobre urla ammutolite e mani strappate al Sukkot eravamo in casa, pr

Due poeti allo specchio (Cristina Simoncini e Sergio Daniele Donati)

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Autoritratto di Cristina Simoncini  © Ti rivedo ogni mattina rasato con cura maniacale fare il nodo alla cravatta, avvolgere la gamba intorno alla gambetta, una sola volta, passarla dentro il cappio e condannarla, la maestria del dito per la piega. Dallo specchio il doppio, assorto nel tuo sguardo ripete i movimenti con scioltezza, li inverte senza fare errori. Lui è l’insieme dei gesti – il sorriso sempre in canna, senza il peso dei pensieri da portare. Era questo l’uomo che osservavo, allora. Cristina Simoncini - inedito 2022 © Autoritratto di Sergio Daniele Donati © Non è la testa dei bimbi  a dimorare nelle nuvole, né la chiamata dei figli ha il potere dello strappo.  Il loro sguardo, sì, lacera  - e poi ricuce con fili d'argento - la tela delle nostra ansie paterne; ci eradica da una terra  di finto miele e ci sospinge verso il ciclone mai stanco d'un ritorno alle altalene.  Lo sguardo dei nostri figli, nei nostri specchi, è la voce che porta via dal giogo che spezza

Stanze della lentezza

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Una sorta di condensa di vapore cola dalla finestra  delle mie illusioni scomposte; un richiamo all'inverno del pensiero, alla letargia delle intenzioni. O forse è il miele del fiore dell'incanto a render cauta la mia palpebra nell'attesa senza tempo della stagione del nocciòlo. E poi sta qui - tra i cuscini d'un divano sfatto -  l'indicibile mistero color indaco d'un movimento subitaneo, di un'allerta dal futuro. Benché lento, il passaggio sul crinale s'ha da fare e il cambiamento - tanto sognato - è nei passi incerti d'un figlio adolescente. Per questo il flusso rallenta nei giorni spersi dell'ascolto e le voci mie e tue e sue intonano cori da noi indipendenti come cicale tra i rami d'un platano. Foto e testo (inedito 2022) di Sergio Daniele Donati ©