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Visualizzazione dei post con l'etichetta poesia ebraica

Stanze della parola contratta

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Stento a dire mio quel tratto di penna. M'appartiene il polso -  e anche il fiato. Ma quel lemma scomposto - quel taglio beffardo sull'albume del foglio - che tacita ogni mio dire canta con voci straniere ai miei midolli semiti. Poi, lo sai,  finiamo coll'ospitare nelle rughe delle mani parole altrui - malsane - per non dirci capaci del volo che c'appartiene. Finiamo coll'opporre un silenzio di palude al sacro che abita le nostre pure intenzioni, perché incapaci d'una risata che sgretoli lo stigma sulla nostra pelle bambina. E ci incantano la notte voci sublimi di sonno - che il sogno poi nega - e la loro lettura  al mattino confonde; perché sotto all'omero candido del nostro oblio si nasconde un verso sovrano, una "voce di tenebra azzurra" ¹, un sospiro silvano, un tatuaggio sull'ebano d'un guerriero africano. Tu chiedi il gesto io oppongo il suono; non resta che un passaggio  stretto - alla parola - per divenire besciamella di significato

Due poeti allo specchio (Emanuela Sica e Sergio Daniele Donati)

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AUTORITRATTO DI EMANUELA SICA - 2022 © Da questo filare di venti freddi in cui s’annodano le vite dei miei compagni arse nei rivoli aciduli di fumo vedo la disfatta del cielo cadere pesante sulla mia testa. Dimmi Herr Gefängniswärter * dormi la notte pensandoci stipati tra blatte e ossa ammassate sulle travi come piante nodose, indifese, prossime al macero? Respiri dolori o li rinneghi per l’idea che ti separa dai nostri cuori dietro il filo di spinosa indifferenza carnefice per convinzione o per comando? Se, distrattamente, dovesse caderti una lacrima leggila come notizia d’umanità, sentila sulla lingua sapida, non sei morto, ancora c’è redenzione dal fango cavernoso di questi orrori. E tu madre ricomponi i pianti lasciami tornare nel tuo grembo caldo carezza il sudore, liberami dall’atroce notte foglia che si rinnesta nel ramo a diventare gemma nei sepolcri dei tuoi occhi. Portami ad un attimo prima di quel sedici ottobre urla ammutolite e mani strappate al Sukkot eravamo in casa, pr

L'antico sogno (benedizione)

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העתיק הולך לאט  לאדמה האדומה  של זיכרון עתידי  אני מברך את חלומך להישמר מהנשימה העתיקה של העתיד L'Antico procede lento verso la terra rossa della memoria del futuro. Io benedico il tuo sogno perché sia protetto dal soffio antico del futuro Testo ebraico (inedito 2022), traduzione e foto di Sergio Daniele Donati

(Redazione) - Lo spazio vuoto tra le lettere - 07 - Per una lettura de "Ogni persona ha un nome" di Zelda Schneersohn Mishkovsky

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  A cura di Sergio Daniele Donati Zelda Schneersohn Mishkovsky, in ebraico: זלדה שניאורסון-מישקובסקי‎, più famosa come Zelda (Dnipropetrovs'k, 20 giugno1914– Gerusalemme, 30 aprile 1984), è una poetessa israeliana di origini est-europee. (per notizie sulla sua biografia si rimanda a questo  link ) La sua poesia è densa della religiosità tipica dell'ebraismo Ashkenazita e di richiami ad una modernità che non rinnega le radici del passato. Leggendone i tratti non è difficile riscontrare tracce di un certo misticismo ebraico che però non si traduce mai in simbolo di difficile comprensione; anzi, diviene forma di dialogo col lettore, capace di svelare ciò che il lettore stesso, nelle sue profondità già conosce. Nella sua poesia « Ogni persona ha un nome », di cui si riporta sotto il testo, nella mirabile traduzione di Sarah Kaminski e Maria Teresa Milano , questo appare evidente. Ogni persona ha un nome (di Zelda Schneersohn Mishkovsky) Ogni persona ha un nome datole dal Signore da

Ebraicamente

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«Mother and son» di Sergio Daniele Donati L'ebreo non chini mai la testa davanti all'uomo - così è detto - ma sappia coprirsi il volto col mantello sacro, con gesto pudico, se percepisce una voce sottile di Silenzio nel brusio della Vita. Lo stesso gesto - aggiungo io - faccia il poeta quando il suo dire si trasforma in incaglio e balbuzie. Parola e Silenzio si liberano da catene arrugginite, a volto coperto tra il caldo delle lane e i ricami delle sete. Il piccolo rivela l'intreccio, scioglie il bandolo del limite e lo tramuta in canto. A volte è bene tacere, non per assenza di parola, ma perché la sua cacofonia - in testa - divenga armonia per lo sterno. L'uscita del popolo dall'Egitto fu un grande silenzio, così sia la poesia per chi sa che scrivere è sempre più rinunciare alla parola che ostentarne una falsa potenza.

Stanze (SAMECH - AYIN - PEI - TZADE - KOF)

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  SAMECH (ס) Null'altro da dire: esistono voci lontane e proteggono e custodiscono la parola ancora inespressa di una voce bambina. La prima parola d'un infante è un sibilo di accoglimento di un percorso infinito. AYIN (ע) Mi chiedi cosa sia una visione  e dove si debba poggiare lo sguardo quando un vento freddo scivola sui pori della pelle? Sull'orizzonte sotto i nostri piedi , rispondo. E quando il vento si placa, verso la luce lontana  di stelle già morte. PEI (פ) Un dente deve cadere per passare dalla negazione del creato al suo abbraccio. La parola si deve far chiara per permettere l'infinita interpretazione, eppure, già lo dissi, il mio maestro era balbuziente e sorrideva tra i suoi denti ingialliti al compito sacro della trasmissione. TZADE (צ) E non c'è giusto fuori dalla testimonianza. Né l'etica si poggia su un'intuizione afona. Il Giusto raddrizza la schiena prima di parlare e torna curvo nel silenzio. Chi lo ascolta raddrizza la schiena  di fron

Timewind (lo sguardo laterale sul nemico)

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Statuette votive della civiltà pre-ellenica Museo archeologico di Atene (scatto di Sergio Daniele Donati) Cominciano sempre le cicale a strappar vesti dal presente; a lanciare richiami da un tempo lontano. Ripetono mònotoni senza sosta finché non crolla il sostentamento dell'illusione, là, sotto il platano. Il ricordo si tinge sempre di non vissuto e chissà se i passi di giada della coscienza possano davvero poggiarsi a un nome. Poi arriva l'aliseo, la berceuse, il messaggero. Ha inizio allora la meditazione; a occhi aperti e ti carezzano stimoli vegetali, profumi di spezie; s'aprono canali nel muro di David -suonava la lira e salmodiava perché scomparisse dalle sue viscere la visione esterna del popolo nemico; sul colle-. Amal-k * è il limite che grida e tatua sulle pelli segni di dissociazione  profonda dall'ala  angelica dell'Uomo. Il vento soffia nuove calci, là,  negli interstizi sottili,  striati da stucchi sgretolati, d'un muro sacro, eretto a secco, a

חלום - Sogno

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Vladimir Lubarov - Take care of your angel Goccia a goccia da un abisso fecondo trasudano significati e segni. La notte parla una lingua sconosciuta, intuita nelle viscere; rigettata dallo sguardo, al mattino. Il Giusto olia i cardini di quella porta sacra e trascrive e traduce con tratti di luce i segni del futuro. La sua penna è sottile e congiunge lenta ciò che nasce diviso, perché non sia del Cielo l'interpretazione del Sacro, né nelle Profondità Marine la sua comprensione. Goccia a goccia da un abisso fecondo trasudano significati e segni; il Giusto - bambino - ne distilla l'essenza e la dona al mondo, perché non venga trattenuto ciò che nasce per esser diffuso.

Preghiera ‎- תְפִלָה

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הסתכלתי יותר מדי בעיני זכוכית לא היו כוכבים והחושך מסנוור אני לא רוצה דרכים ישירים עשה להם מחזורים חיים שיהיה שם לנצח זרימת הכתיבה תן לי לשכוח את שמי ולשיר את השיר מכל הדורות אינני מבקש העלאה  אני מבקש ממך להיות אדם בארץ הקודש שנתת לנו Ho guardato troppo a lungo con occhi di vetro Non c'erano stelle e l'oscurità abbagliava Non desidero percorsi diretti, rendili cicli di vita; che sia perenne il flusso della scrittura. Fammi dimenticare il mio nome e cantare il canto di tutte le generazioni. Non chiedo elevazione. Ti chiedo di essere un uomo sulla sacra terra che ci hai donato.

La lettera ‎המכתב - ‏

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La lettera - foto di Sergio Daniele Donati פתחתי את המכתב הזה אחרי מאה שנים של חשיבה פתחתי אותו כי מעטפה זה לא כלא למילים פתחתי את המכתב הזה אחרי מאה שנים של חשיבה הייתה רק אות אחת בטקסט האות הראשונה האלף שתקה כמו תמיד Ho aperto questa lettera dopo cento anni di pensieri. L'ho aperta perché una busta non è una prigione per le parole. Ho aperto questa lettera  dopo cento anni di pensieri. C'era solo una lettera nel testo; la prima lettera la Alef, silenziosa, come sempre

Il Sacro Vento (Ruach – רוּחַ)

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  T'han chiamato spirito, soffio, ispirazione divina. Ma sei vento e plani indifferente sui nostri volti d'acqua. S'increspa allora la nostra espressione; sappiamo che il tuo dire separa e divide e crea ciò che noi - bambini - vorremmo ancora unito. Tu, plani indifferente e poi suturi e ricuci, ma per farlo rendi evidenti le ferite sulle quali noi - bambini - chiudiamo lo sguardo. Chi non s'incanta per la maestria dei tuoi gesti? Chi mai parla della fatica dell'onda per durare quell'eterno suo istante di vita?

Tav (in tre versi)

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Foto di Sergio Daniele Donati Viene per ultimo il soffio d'un silenzio senza fine; il velo che copre ogni nostro tremore.

Resh (in tre versi)

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  La Quercia - di Sergio Daniele Donati Sono sacre le cortecce del principio del ritorno, del ricordo del futuro.

L'ascolto del Sacro (Kaddish - קדיש)

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  Tra le pieghe dell'onda vibra una voce, un sussurro che il rombo del ricordo non può coprire, una voce che avanza e ripete, a chi la sa intendere e orecchie bambine, nenie di consolazione. È il canto della qualità, la coperta di neve su tracce di felino. Non chiede attenzione e abbraccia il silenzio. Il Sacro canta, in assenza di pubblico, nelle vene d'un corpo giovane e tra le canizie e i calli del saggio. Cancella ogni memoria, ci congiunge per salto al presente e si pone come specchio davanti ai seicentotredici nomi del nocciolo della pesca. Sacro è il filo d'oro, la cucitura e l'increspo delle labbra quando abbandonano le maschere di Narciso e s'aprono al sorriso. È il tempo d'ogni riconciliazione, nelle mani che accolgono i sudori d'un figlio adolescente. È dove lo si chiama; tra le stasi delle pietre e i respiri del pastore. Nelle pieghe delle onde una voce canta un canto e i piedi del sacerdote si coprono di sabbia e acque e sale. Sacro è l&

Kof (in tre versi)

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Kof di Sergio Daniele Donati È imitazione del Sacro ogni nostra parola e cammina lento, su teste di simulacri,  il sacerdote del Silenzio.

Ayin (in tre versi)

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  Foto di Sergio Daniele Donati Quell'occhio non l'ho più visto. Restano tracce di memoria sotto le unghie; quell'occhio non m'ha più visto. 

Samek (in tre versi)

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Fa' ben attenzione. Il diadema nella città d'oro sostiene chi vacilla.

Dialoghi poetici coi Maestri 7. - Leonard Cohen

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  Leonard Cohen - Foto di repertorio YOU WANT IT DARKER If you are the dealer I’m out of the game If you are the healer Means I’m broken and lame If thine is the glory Then mine must be the shame You want it darker We kill the flame Magnified and sanctified Be Thy Holy Name Vilified and crucified In the human frame A million candles burning For the help that never came You want it darker Hineni Hineni I’m ready, my Lord There’s a lover in the story But the story’s still the same There’s a lullaby for suffering And a paradox to blame But it’s written in the scriptures And it’s not some idle claim You want it darker We kill the flame They’re lining up the prisoners And the guards are taking aim I struggled with some demons They were middle-class and tame I didn’t know I had permission To murder and to maim You want it darker Hineni Hineni I’m ready, my Lord Magnified and sanctified Be Thy Holy Name Vilified and crucified In the human frame A million candles burning For the love tha

Mem (in tre versi)

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  Foto di Sergio Daniele Donati Sovrano di rame, ti prego, distilla gocce materne e carezze per la nuca di mio figlio dalle melme acide dell'abisso.

Tet (in tre versi)

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Tet (disegno e foto di Sergio Daniele Donati) Di nove argille si compone il creato. L'ultima sigla il patto e dona i ritmi  alle danze delle donne, d'estate.