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Stanze d'Abruzzo

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Il bello che emerge bussa insistente su tempie arrugginite e incita ad aprire un portone  di legno antico,  troppo a lungo serrato. Ne estrae resine e gocce d'ambra e apre uno spiraglio nella stanza - s'inonda di luci prismatiche, colori tenui, portatori d'un messaggio unico e inesorabile: il bello, dimenticato, mette radici profonde anche in chi vuole dimenticare. La luce scalda tenue e costante come candela il palmo delle mani e scioglie l'animo indurito di chi ha trovato difesa nel proclamare ciò che non vive. Tacita un dire, troppo a lungo abusato, e accorda al silenzio un'intenzione pura. Il bello è un ventre materno che protegge in una gestazione lenta una parola nuova. e fa esplodere in midolli  rinvigoriti petardi sorridenti d'intuizioni ridenti e puerili. Il bello è un sarto sapiente che cuce con fili di lino e canapa la parola alla parola, il silenzio al silenzio, e richiama da terra  mulinell

(Redazione) Specchi e labirinti - 09 - Si scrive radure, si legge vulcano (su “Radure” di Maria Allo)

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A cura di Paola Deplano È pastosa, la poesia di Maria Allo, con un bel sapore agrodolce di arance siciliane – le famose lumìe di pirandelliana memoria. Pirandello si sente, nel mite interrogarsi e vagare di questa scrittura, che è siciliana e cittadina del mondo. Si sente anche Quasimodo, ma ancor di più si sentono i panici poeti greci e latini che hanno fondato non solo la civiltà di Trinacria ma anche la personalità di questa donna pronta a mettere su carta – e bene – la sua personale idea scrittura. Il potere delle radici si sente forte e chiaro in queste pagine, in questi paesaggi che sono inequivocabilmente quelli che lei vede dalla finestra e che osserva nel proprio mondo interiore. Tuttavia queste radici, quasi per sublime paradosso, volano alte, altrove, verso il lettore sconosciuto, e gli lasciano qualcosa da riconoscere come proprio, con semplicità. Rivolgersi a chi legge e restituirgli, con altre parole, qualcosa di suo è il primo dovere del poeta, sembra dirci Allo in una d

Cinque inediti di Mirjana Zarifović

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Il velo Ti vorrei donare un velo, altri occhi per i tuoi occhi, la sera, sulle tue palpebre, un filo segreto pensare – oh non saprei, non potrei al mattino, immenso azzurro lago apriresti, palpebra risorta - Dovrei tesserlo io, il velo? Madre, io sto al faro, avvisto le navi, metto via il sale. Qui, un lento animale la nuvola apre e benedice l’isola e segna il rame. Una campana sola, che i sordi odono, sul fondo senza segni, musica-ustione, sul fondo del mare. Qui la spina, e dai nidi la luna, spira, spira… Madre, sto con il mare. Stendo le reti, nell’ardore delle rocce nuoto, nuoto nel rame. A dio, tu lo sai, chiedo che rinneghi, chiedo che non m’ascolti, che non si volti, pietà gli chiedo, e che andare mi lasci nel terso nell’ustione, che non mi protegga, che io erri e mi smarrisca, pietà chiedo, mentre vado, nell’ardore, nel sole, quello, quello che beviamo, agate e sole, quello che per nascita, sulle labbra abbiamo. A sud, l’ombra è nel faro. A nord, l’angelo mangia il pane e il da

Pesce pagliaccio

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Non so nuotare se non nei cieli dei miei sogni, né so galleggiare meglio del palombaro. Eppure d'ogni cosa percepisco la fine e il cominciamento mentre sussurro lento  cantilene ai distratti pesci dell'oceano dell'oblio; così perché non le intendano che come lievi carezze d'anemoni. Già, io sono un pesce pagliaccio - anzi istrione - non dar retta, tu che leggi, ai miei boccheggi. Il mare, sì il mare,  porta ben altri messaggi  ad un orecchio attento. Ascolta il canto della balena e il fruscio dell'alga e rifiuta - sì, rifiuta - la parola d'acqua  d'un pesce clown. Foto e testo (inedito 2022) di Sergio Daniele Donati

Dialoghi poetici coi Maestri - 42. Giorgio Caproni

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L’occasione L’occasione era bella. Volli sperare anch’io. Puntai in alto. Una stella o l’occhio (il gelo) di Dio? (Giorgio Caproni - tratta da Il franco cacciatore, Garzanti, 1982) Vita Ebraica A me gela il ghiacciolo caduto a terra, o delle stelle percepire l'afasia nel tempo. Non venero gli astri se non nella loro caduta come teste e cocci degli idoli di Terach. (1) Il mio Dio si cela al mio sguardo dalla notte dei tempi. M'ha donato però grandi orecchie, per intuirne la voce di silenzio nelle pause dei mono-toni dell'assiolo, o nell'istante fugace che separa con un sorriso il sogno  dalla veglia. Non ho occasioni da cogliere, Giorgio - il tempo traccia linee e cerchi e spirali, inesorabile, senza chiedere permesso - mia è solo la scelta di affidarmi  a un udito antico  e non all'astigmatismo del mio sguardo.   (Sergio Daniele Donati - inedito 2022) ___ (1) - Padre di Abramo e costruttore di idoli per i culti dell'epoca. La loro distruzione da part

Tre poesie di Barbara Rabita

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  Agglomerati come siamo noi nel sonno sospesi solo sfere di illusioni morbide e ruvide al contempo riaccendiamo confini invisibili abbiamo bisogno di limiti navighiamo su foglie come siamo noi disgregati. ____ Indian summer Su questo terreno arso il debbio rilascia fumo intenso e ricordi incenerisce l'immagine della vergine innocente sotto fremono lapilli di vita da erodere. La quinta stagione sgocciola le ansie inizia un nuovo anno di torve inquietudini. Spero, m'insinuo tra i meccanismi degli inganni lubrifico lo sterzo per virare verso nord faccio strame di neve sporco bianchi sudari. ____ S'informano I gentili incroci che il loro destino da ora in avanti sarà parallelo e ai preamboli ci sarà obbligo di consunzione. NOTE BIOBIBLIOGRAFICHE Barbara Rabita coltiva da sempre una passione per le lingue straniere: prima di laurearsi ha trascorso un anno all'estero per apprendere la lingua tedesca; dopo la laurea e un lungo periodo di lavoro in azienda, ha deciso di dedic

Dialoghi poetici coi Maestri - 41. Sandro Penna

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Era l’alba sugli umidi colli  e la luna danzava ancora assorta colle lepri del sogno. La lattaia discendeva il suo colle. Ognuno amava  la propria casa come una scoperta. (Sandro Penna) Là volsi lo sguardo a un futuro incerto; si crepò come foglia il sogno - stille di sangue verde  dalle sue vene - e iniziò allora il mio canto. (Sergio Daniele Donati - inedito 2022)

Stanze della Pietra di Annalisa Mercurio

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Immagine di Annalisa Mercurio Parlerò di pietre prone d’altre supine, e di passi incuranti che ne calpestano schiene e volti. Immagine di Annalisa Mercurio Di fughe sghembe – loro, nostre – che attendono un tocco di labbra all’ombra di bestiari e florilegi Immagine di Annalisa Mercurio Carezzo crepe di pietre. Fossero rughe – tue – ti proietterei al tocco in spicchi di cielo tra rosoni scolpiti nelle iridi – mie –aprendoti la visuale sull’eterna pazienza dei leoni al portale. Immagine da web D’umili chianche conserviamo petali odorosi di terra e ferri corrosi da silenzi animali Immagine di Annalisa Mercurio Fossimo noi, pietra, saremmo in attesa di cambi di luna dove tutto il cielo scorre tra rapaci, e rassegnati demoni. Foto di Bressaï (Gyula Halász) Testo di Annalisa Mercurio Inedito 2022  

Un dire monco

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Io non so più dire della potenza del lampo, del bruciore della ferita, del clangore delle spade; né so più parlare di firmamenti e acque o grandi luminari. La mia parola è da tempo incatenata a un rivolo sotterraneo che m'abbassa lo sguardo  alla ricerca della deflagrazione del passo della formica, delle ginocchia sbucciate d'un bimbo, della fatica che la natura tace a sé stessa per perpetuare la propria esistenza. Mi chiedi perché non parli mai d'amore e non ascolti la mia voce balbuziente, né guardi il palmo delle mie mani sporche di terra. Là risiede quella parola di cinque lettere; tra i calli d'una mano diventata vecchia, ancora bambina. Sergio Daniele Donati - inedito 2022 Foto dello stesso autore

(Redazione) - Lo spazio vuoto tra le lettere - 09 - una lettura "ebraica" della Silloge "Altri universi imprevisti" di Donato Nitti (Gazebo ed)

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A cura di Sergio Daniele  Donati Uno dei piaceri più grandi della lettura consiste, a mio avviso, nel saper planare sulle parole senza lasciarsi condizionare, prima facie, da ciò che so, o fingo di sapere sull'autore. Parlo sopra di finzione perché la pseudo-conoscenza dell' altro da noi  è un materiale strano, poco plasmabile ed a volte può divenire un impedimento alla reale comprensione delle cose. D'altronde il riferimento anche biblico è chiaro. Prima del primo atto creativo, si legge in Genesi,  un vento divino planava sulla faccia delle acque.  Sono molteplici le interpretazioni, anche mistiche, di questo preambolo alla creazione ma a me piace pensare che, tra i milioni di spiegazioni possibili ci sia anche quella che riguarda la necessità della assenza di preconoscenza della cose.  Una sorta di planare lento e inconsapevole sulle cose, un abbandonarsi al loro profumo, così come il corpo e il movimento sopra e dentro di esse ce le fa percepire, è il necessario carbura

Odisseo

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Non posare la tua mano  sulla mia spalla. Io sono un vento che porta via; sono il buco nel secchio che raccoglie i tuoi sospiri. Non posare la tua mano sulla mia spalla; ho lo sguardo fisso sulla battaglia persa della memoria; io sono il vento che mi porta via  e mi canta, con voce di sirena,  l'illusione del ritorno. Non posare la tua mano  sulla mia spalla; completa la tua tela di ragno, tacita il richiamo a tornare dall'abisso - il tuo abisso e chiudi le tue orecchie al sussurro dell'inganno che ti dice - che mi dice - impossibile a morire. Sergio Daniele Donati - inedito 2022

(Redazione) - Inediti di Lara Pagani (a cura e con note introduttive di Paola Deplano)

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Ecco la scrittura, la poesia di Lara Pagani: semplice, senza essere piatta; complessa, senza essere astrusa; originale, senza la ricerca dell’effetto a tutti i costi; femminile, senza perdere di vista ciò che accomuna gli esseri umani. (Paola Deplano) ______ Réglisse Al mondo esistono diverse maniere di mangiare le dolci rotelle nere, di quelle alla chimica liquirizia: c'è chi le addenta, chi le spezza, chi le allunga a non finire più. C'è poi chi le divora in fretta, per correre con la mano giù a cercare quella dopo (se è rimasta), e il piacere dell'istante se lo guasta frugando al fondo del sacchetto. Poi ci sei tu, che di tutto il resto del mondo non hai nulla: e mentre seduti fissiamo il vuoto la srotoli come un tappeto scuro sulla lingua, calmo e assorto. In attesa della fine imminente ti guardo e mi frulla contorto un solo pensiero per la testa: siamo entrambi strani, la tua perizia è non celarlo, pensarlo normale. Voce del verbo Fammi sirena prega

Testimonianza

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Foto di Sergio Daniele Donati Mi plasmava allora l'anima  un suono che veniva di lontano,  una marcia che m'annunciava - ancora neonato -  il legame nunziale della parola. Era un suono barbaro che portava odori di mughetto e promesse, e descriveva con seduzione  la sorgente del mio futuro  vagare a spirale  attorno all'altrui silenzio. Così si plasmava la mia anima e, tra l'abbaglio d'un vincolo eterno e il brusio dell'assenza, si formava allora la mia voce, la rete di salvataggio d'un funambolo  immerso nel sogno d'una unione impossibile. Non chiedermi dunque di parlare; ti taglieresti i palmi col fil di ferro arrugginito della rinuncia  al tuffo nel fiume silenzioso dell'oblio.  Sergio Daniele Donati - inedito 2022

L'antico sogno (benedizione)

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העתיק הולך לאט  לאדמה האדומה  של זיכרון עתידי  אני מברך את חלומך להישמר מהנשימה העתיקה של העתיד L'Antico procede lento verso la terra rossa della memoria del futuro. Io benedico il tuo sogno perché sia protetto dal soffio antico del futuro Testo ebraico (inedito 2022), traduzione e foto di Sergio Daniele Donati

(Redazione) Nota di lettura sulla silloge "Il sentiero del polline" di Guglielmo Aprile (Kanaga ed.)

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  Il sentiero del polline (Kanaga ed) è la nuova raccolta poetica di Guglielmo Aprile, poeta che si pregia già della pubblicazione di diverse altre raccolte di valore.  La scrittura dell'autore in questa si caratterizza per un marcato richiamo alla relazione tra l'elemento naturale e una spiritualità umana e non necessariamente teistica che si sente pulsare all'interno dell'intera raccolta, quasi che l'elemento naturale divenga simbolo di una traccia umana evidente.  Non a caso il titolo stesso della silloge si richiama ad una espressione della spiritualità nativo-americana, che tutti noi sappiamo caratterizzarsi per il valore, simbolico, di vita e di percorso che viene dato alla Natura.  Così ad esempio  in Stella nomade   leggiamo: Voglio sentire solo le foglie secche che crepitano  docili ai miei passi  mentre accarezzano il suolo lievi, fedeli al vento,  e i concerti dei passeri  lontano dalla gente  e dalle sue parole, sul viso nient'altro che il tiepido ab

(Redazione) - Dissolvenze - 08 - Sul campo si chinò la sera/ai prigionieri le stelle accese

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A cura di Arianna Bonino Non so quando di qualcuno si possa iniziare a dire che è “un poeta”. Anche perché dare una definizione di poesia è per me impossibile. Ma so che Josef Čapek poeta lo è e ha incominciato ad esserlo molto prima di scrivere poesie. Dalla mia, ho Vítězslav Nezval e Jaroslav Seifert, che lo dissero poeta in virtù della sensibilità rivelata dal suo primo scritto “Le arti più modeste” (“Nejskromnější uměni”, 1920), una raccolta non di poesie, ma di brevi saggi dedicati al sopravvivere, nelle periferie, delle forme d’arti minori, ai piccoli artigiani e alla sapienza speciale dei loro mestieri destinati all’estinzione, ma allora non ancora fagocitati dalla massificazione della produzione industriale. Forse l’intento di Josef Čapek non era quello di fare poesia descrivendo l’arte del “pittore d’insegne” che “è assolutamente convinto della piena esistenza delle cose che rappresenta” o del tappezziere che crea sofà dalle svariate personalità date dalle diverse fantasie dei